Le successive date di notevole importanza le ricaviamo da una profezia. Nel capitolo 9 di Daniele troviamo una serie di notevoli predizioni che sfidano ogni altra interpretazione se non quella di additare la venuta del messia e la sua morte nel 30 E. V., seguita dalla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nei decenni seguenti.

“Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. Sappi dunque e comprendi bene: dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino all’apparire di un unto, di un capo, ci saranno sette settimane; e in sessantadue settimane essa sarà restaurata e ricostruita, piazza e mura, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d’un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra. Egli stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta; sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore commetterà le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore”. – Dn 9:24-27.

   “Settanta settimane sono state fissate”. Così disse a Daniele l’angelo Gabriele. Data l’importanza della profezia, occorre stabilire bene il testo biblico. Prendiamo qui come riferimento La Bibbia Concordata, il cui libro di Dn è stato accuratamente tradotto dal compianto professor F. Salvoni, già direttore della Facoltà di Scienze Bibliche di Milano. Vediamo il testo. Daniele sta pregando: “Io parlavo ancora, pregando, confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo Israele, ed effondendo la mia supplica dinanzi al Signore, mio Dio, sul monte santo del mio Dio” (9:20, Con). Mentre Daniele ‘parlava ancora in preghiera’, si presenta Gabriele (9:21). “Egli venne e mi parlò dicendo: ‘Daniele, sono uscito ora per farti comprendere. All’inizio della tua supplica uscì una parola e io sono venuto a comunicartela, poiché tu sei prediletto da Dio. Ora penetra la parola e comprendi la visione”. – 9:22,23, Con.

 

24 Settanta settimane sono fissateper il tuo popolo e la città santa

per far cessare l’iniquità,

per sigillare il peccato,

per espiare l’iniquità,

per addurre giustizia eterna,

per suggellare visione e profeta

e per ungere il Santo dei Santi.

25 Sappi e intendi:Dall’uscita della parola

di tornare e di ricostruire Gerusalemme,

fino all’unzione di un capo: sette settimane.

Poi sessantadue settimane:

piazza e fossato si ricostruiranno,

ma in angustia di tempi.

26 E dopo le sessantadue settimaneun unto sarò soppresso,

e non sarà per lui…

Il popolo di un principe che verrà

distruggerà la città e il santuario.

La sua fine avverrà nell’inondazione

e sino alla fine vi sarà guerra

e devastazione decretata.

27 Egli salderà un’alleanza con moltiper una settimana,

e per mezza settimana

farà cessare sacrificio e offerta,

porrà all’estremità

l’abominio del devastatore,

sino a che la rovina decretata

si riversi sul devastatore.

 

   Il v. 24 non pone problemi. Le varie traduzioni sono concordi. Segnaliamo solo alcune particolarità del testo. “Sono fissate” è in ebraico נֶחְתַּךְ (nekhtàch), letteralmente: “Sono state recise/stroncate”. “Per suggellare visione e profeta”: il senso dell’ebraico וּלַחְתֹּם (ulakhtòm), “per suggellare”, è quello di “confermare”, “dare autorità”.

   V. 25. “Fino all’unzione di un capo”. L’ebraico haעַד־מָשִׁיחַ נָגִיד  (ad-mashìakh naghìd). Naghìd significa “capo”, “comandante”. Mashìakh è tradotto in greco christòs e significa “unto”. Si tratta quindi di un “capo unto” o consacrato. Il testo ebraico non ha l’articolo determinativo. Letteralmente è: “Fino a un capo consacrato”. Tradurre “fino a Messia [il] Condottiero” – come fa TNM – è speculativo. L’articolo determinativo non c’è nell’ebraico e, sebbene messo tra parentesi quadre, viene riferito da TNM a Yeshùa (si notino “Messia” e “Condottiero” con la maiuscola). Se la Bibbia avesse voluto dire così, avrebbe messo l’articolo, ma nel testo non c’è. La Scrittura dice solo: “Fino a un capo consacrato”. La parte finale del versetto appare oscura in TNM: “Ci saranno sette settimane, anche sessantadue settimane. Essa tornerà e sarà effettivamente riedificata, con pubblica piazza e fossato, ma nelle strettezze dei tempi”. “Essa tornerà”: essa chi o cosa?! “L’emanazione della Parola”? La “parola”? Non si capisce cosa TNM voglia intendere. Dato che è “riedificata”, sembrerebbe trattarsi di Gerusalemme. Ma come può una città tornare? La traduzione è senza senso. La traduzione corretta dell’ebraico è: “Dall’uscita della parola di tornare e di ricostruire Gerusalemme, fino all’unzione di un capo: sette settimane. Poi sessantadue settimane: piazza e fossato si ricostruiranno, ma in angustia di tempi”. Questa ultima frase che riguarda la ricostruzione non riguarda il periodo dopo “sessantadue settimane”. Il metodo profetico trascura spesso l’esatta successione cronologica. Il Salvoni inserisce un “poi”: “Sette settimane. Poi sessantadue settimane”; TNM inserisce un “anche”: “Sette settimane, anche sessantadue settimane”. L’ebraico ha

שָׁבֻעִים שִׁבְעָה וְשָׁבֻעִים שִׁשִּׁים וּשְׁנַיִם

shavuìm shivàh veshavuìm shishìm ushnàim

settimane sette e settimane sessanta e due

   Si potrebbe tradurre: “Dall’uscita della parola di tornare e di ricostruire Gerusalemme, fino all’unzione di un capo: sette settimane e sessantadue settimane. Piazza e fossato si ricostruiranno, ma in angustia di tempi”. In tal modo non si cade nell’equivoco di ritenere che “piazza e fossato” sarebbero stati ricostruiti dopo 7+62 settimane.

   Il v. 26 presenta una frase incompleta: “E non sarà per lui […]”. NR interpreta e aggiunge: “Nessuno sarà per lui”. TNM interpreta pure e aggiunge: “Senza nulla per lui stesso”. Ma l’ebraico, ripetiamo, ha una frase incompleta:

יִכָּרֵת מָשִׁיחַ וְאֵין לֹו

ikarèt mashìakh veèyn lo

sarà stroncato un unto e non c’è per lui

   Data l’incompletezza della frase, il significato è incerto e ci sfugge. Il Salvoni commenta: “Forse vuol significare che egli sarà messo a morte non per colpa sua bensì per la malvagità altrui; oppure che tale morte avrà valore non per sé ma per altri. Varie maniere sono state suggerite per completare la frase mutila: ‘Non vi sarà per lui il giudizio, la colpa, un successore’, ecc.”. – Nota a Dn 9:26, Con.

   Il v. 27 – che chiude il cap. 9 – inizia con la frase “Egli salderà un’alleanza con molti”. L’ebraico ha l’articolo determinativo davanti a “molti”? Stando al testo masoretico, sì: לָרַבִּים (larabìym). Si noti il segno diacritico (ָ) sotto il làmed iniziale (ל, lettera l). Quel segno si pronuncia a, che unito alla l la. Significa “per i” (se fosse solo le significherebbe “per”, senza l’articolo “i”). Cos’è un segno diacritico? I segni diacritici sono segni costituiti da punti e lineette inventati dai masoreti (“maestri della tradizione”) nel 6° secolo E. V., segni da porre vicino alle consonanti per indicare gli accenti e la corretta pronuncia delle vocali. Per secoli l’ebraico era stato scritto adoperando solo consonanti: le vocali venivano aggiunte dal lettore. Secondo i masoreti, quindi, la parola in questione sarebbe larabìm, “per i molti”. Ma questo nel 6° secolo E. V.. L’originale ebraico aveva l’articolo? Il Salvoni opta per lerabìm, senza articolo, traducendo “con molti”. TNM propende per larabìm: “Per i molti”. Com’era l’originale ebraico? Una preziosa indicazione l’abbiamo dal testo greco della LXX, del 2° secolo a. E. V.. Il greco ha εἰς πολλούς (èis pollùs), “per molti”, senza articolo. È quindi da preferire la traduzione del Salvoni: “Un’alleanza con molti”. Sia l’ebraico rabìm che il greco pollùs significano “molti”; è quindi del tutto sbagliata la nota in calce di TNM che osserva: “O, ‘per i grandi’”.

   Chiarite queste particolarità della sezione di Dn che stiamo analizzando, occorre tornare sul v. 25. C’è un aspetto importante da definire che riguarda l’ordinanza concernente Gerusalemme. Si notino le differenze delle traduzioni:

Dn 9:25

VR

Con

TNM

CEI

Did

Restaurare e ricostruire Gerusalemme”

“Di tornare e di ricostruire Gerusalemme”

“Di restaurare e riedificare Gerusalemme”

“Sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme”

“Che Gerusalemme sia riedificata

   La discordanza delle traduzioni sta nella scelta di tradurre il verbo ebraico לְהָשִׁיב (lehashìv) con “ritornare” o “ricostruire”. Il verbo ebraico ha tutti e due i significati, per cui – in se stesse – le due traduzioni sono possibili. Ma che significato ha qui lehashìv? È il contesto che deve stabilirlo. Ma qui abbiamo, per così dire, due contesti. Uno narrativo e l’altro storico. Se stiamo a quello narrativo, sarebbe da preferire “restaurare”, perché qui si ha il classico parallelismo ebraico che ripete lo stesso concetto con espressioni diverse. L’inizio del versetto – “Sappi e intendi” (Con) – è un esempio di questo parallelismo. Avremmo quindi un duplice parallelismo: sappi-intendi, restaurare-ricostruire. Il Diodati lo interpreta così, tanto che riunisce il parallelismo restaurare-ricostruire in una sola espressione: “Riedificata”. Ma qui abbiamo anche un contesto storico, dato che è detto: “Dall’emanazione della parola di” (TNM). Si fa riferimento a un decreto. Il fatto è che gli esegeti fanno riferimento chi al decreto di Ciro, chi a quello di Artaserse. Vediamoli.

Decreto di Ciro

Decreto di Artaserse

“Così dice Ciro, re di Persia: ‘Il Signore, Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che si trova in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, salga a Gerusalemme, che si trova in Giuda, e costruisca la casa del Signore, Dio d’Israele, del Dio che è a Gerusalemme”. – Esd 1:2,3. “Il ventesimo anno del re Artaserse […]. ‘Mandami [me, Neemia] in Giudea, nella città dove sono le tombe dei miei padri, perché io la ricostruisca. […] Se il re è disposto, mi si diano delle lettere […] per costruire le porte della fortezza annessa al tempio del Signore, per le mura della città’ […]. Il re mi diede le lettere”. – Nee 2:1,5,7,8.

Il decreto riguarda

la costruzione del Tempio

Il decreto riguarda

la ricostruzione di Gerusalemme

   Dato che Dn 9:25 parla di “ricostruire Gerusalemme”, pare proprio riferirsi al decreto di Artaserse. Si noti anche che in Nee il Tempio non pare aver bisogno di ristrutturazione, ma piuttosto ne hanno bisogno “le porte della fortezza annessa al tempio del Signore” e “le mura della città”. Ora, Dn 9:25 si riferisce a Gerusalemme e non menziona il Tempio. È quindi da preferire la traduzione “restaurare e ricostruire Gerusalemme”.

   Come verifica finale, possiamo mettere alla prova la traduzione “tornare” (Con) riferendola al decreto di Ciro. In tal caso l’unto del v. 25 sarebbe Ciro, che nella Bibbia è chiamato “unto” o “messia” o “cristo” (Is 45:1), ma poi dovremmo assumere Onia come “unto” del v. 26, morto nel 171 a. E. V. (cfr. 2Maccabei 4:32-34). Se partiamo poi dall’anno 538/537 a. E. V.. (anno del decreto di Ciro) non si arriva da nessuna parte, sia contando le “settimane” come giorni-anni che – tanto meno – contandole come giorni.

   Stabilito quindi che il decreto di riferimento è di Artaserse, occorre ora capire cosa significhino le “settanta settimane”. Questo è ciò che vedremo nel prossimo studio.