“Gerusalemme sarà calpestata dalle nazioni, finché i tempi fissati delle nazioni non siano compiuti”.
– Lc 21:24, TNM.
“I tempi fissati delle nazioni” sono noti anche come “tempi dei gentili”, espressione dovuta alla Vulgata latina che tradusse “a gentibus” l’espressione greca ἐθνῶν (ethnòn), “da[lle] genti”.
L’interpretazione del significato di “tempi dei gentili” da parte di alcune correnti religiose è una dimostrazione sconcertante d’ignoranza biblica.
Così, si legge in Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, a pag. 1084: “L’edizione inglese della rivista Torre di Guardia del marzo 1880 identificava l’anno 1914 con lo scadere dei ‘tempi fissati delle nazioni’”. Tali “tempi” – imprecisati nelle parole profetiche di Yeshùa in Lc 21:24 – sono calcolati dall’opera citata in numero di sette; sette tempi che diventato sette anni simbolici: “I ‘sette tempi’ furono evidentemente sette anni” (Ibidem), per cui “i ‘sette tempi’ rappresentano dunque 2.520 anni” (Ibidem). Calcolatrice alla mano, questi “tempi delle nazioni”, diventati nell’interpretazione sette anni, diventati poi con un’altra interpretazione giorni fatti di anni (un anno per ogni giorno), per un totale di 2.520 anni, sarebbero iniziati nel 607 a. E. V. per terminare del 1914 della nostra èra, anno in cui scoppiò la prima guerra mondiale. L’anno 607 a. E. V. – va detto subito – è nell’interpretazione che se ne fa quello (decisamente sbagliato) assegnato alla distruzione di Gerusalemme, non su basi storiche ma semplicemente sottraendo 2.520 anni al 1914. Sull’inesattezza del 607 a. E. V. quale anno della distruzione di Gerusalemme, si veda lo studio Excursus – Il 607 a. E. V. secondo la Watchtower, in questa categoria. Qui prendiamo in considerazione l’interpretazione riguardante i “tempi dei gentili”.
I presupposti su cui è fatta poggiare questa strana e fantasiosa interpretazione, che dimostreremo sbagliata come i suoi presupposti, si basano su:
- Un giorno = 1 anno.
- Identificazione di due profezie diverse in una sola.
- Ricostruzione cronologica solo in base all’interpretazione, senza appoggi storici, anzi in contrasto con la storia.
- Pure ipotesi trasformate in fatti certi.
“Un giorno per ogni anno”: una regola?
Per ottenere i 2.520 anni, la Watchtower, nella sua interpretazione, ricorre a ciò che essa definisce “regola”: “Dato che i ‘sette tempi’ sono profetici, ai 2.520 giorni dobbiamo applicare la regola scritturale: ‘Un giorno per un anno’. Questa regola viene enunciata in una profezia relativa all’assedio di Gerusalemme da parte dei babilonesi. (Ezechiele 4:6, 7; confronta Numeri 14:34). I ‘sette tempi’ durante i quali le potenze gentili dominarono la terra senza l’interferenza del Regno di Dio durarono dunque 2.520 anni. Iniziarono nel settimo mese lunare (15 tishri) del 607 a.E.V. con la desolazione di Giuda e Gerusalemme. (2 Re 25:8, 9, 25, 26) Da quella data fino all’1 a.E.V. sono 606 anni. I restanti 1.914 anni vanno da allora al 1914 E.V. Quindi i ‘sette tempi’, o 2.520 anni, terminarono il 15 tishri o 4/5 ottobre 1914”. – Prestate attenzione alle profezie di Daniele!, cap. 6, § 28, pag. 95; l’errore di porre le citazioni bibliche dopo il punto finale è dell’editore: le nostre citazioni sono integrali.
Ora, nella Bibbia ci sono solo due passi in cui un giorno viene fatto equivalere a un anno: Nm 14:34 e Ez 4:6 (tutte e due citate dalla Watchtower): troppo poche per farne una “regola”. Comunque, vediamole:
- Nm 14:34: “Come avete messo quaranta giorni a esplorare il paese, porterete la pena delle vostre iniquità per quarant’anni, un anno per ogni giorno”. Come le spie impiegarono 40 giorni per la loro ricognizione, così gli ebrei vagarono nel deserto per 40 anni (At 13:18; cfr. At 7:36; Sl 95:10). Si noti che qui è la Bibbia stessa a stabilire l’equivalenza 1 giorno = 1 anno.
- Ez 4:6: “Ti sdraierai di nuovo sul tuo lato destro, e porterai l’iniquità della casa di Giuda per quaranta giorni: t’impongo un giorno per ogni anno”. Dopo essere stato coricato 390 giorni sul lato sinistro per simboleggiare “l’iniquità della casa d’Israele” (v. 5), Ezechiele deve stare sul lato destro per 40 giorni per simboleggiare “l’iniquità della casa di Giuda”. Le equivalenze 390 giorni = 390 anni e 40 giorni = 40 anni sono anche qui stabilite dalla Bibbia stessa.
Lette le profezie e viste le applicazioni che la Bibbia stessa ne fa, il serio studioso della Scrittura ne prende atto e nulla aggiunge. Lì si ferma e non ne fa una regola da applicare a suo piacimento. Si attiene alla Scrittura.
Nel primo secolo ci fu il primo tentativo di fare del principio 1 giorno = 1 anno (che la Bibbia applica solo a Nm 14:34 e a Ez 4:6) un principio esportabile al di fuori di quei soli due passi. Il rabbi Akibah ben Yodèf (1° secolo) ritenne di farne un principio valido anche per altri passi biblici. Una sua applicazione pratica si ebbe però solo nel 9° secolo, quando il rabbino Nahavendi contò i 2.300 giorni di Dn 8:14 come anni, partendo dalla distruzione di Silo nel 942 a. E. V. per approdare al 1358 della nostra èra, anno in cui sarebbe apparso il Messia; a conferma usava i 1.290 giorni di Dn 12:11 per far decorrere 1.290 anni dalla distruzione del Tempio gerosolimitano nel 70 E. V. e farli terminate sempre nel 1358. Ma il Messia non rispettò l’appuntamento datogli dal rabbino. Altri rabbini seguirono poi lo stesso modo di applicare certe profezie, a nulla approdando.
A quanto risulta, il primo “cristiano” a tentare l’applicazione di 1 giorno = 1 anno al di fuori dei soli due passi in cui la Bibbia stessa lo fa, fu il monaco Gioacchino da Fiore (12° secolo), abate cistercense. Costui fece decorrere i 1.260 giorni di Ap 11:3 dal tempo di Yeshùa e, conteggiandoli come anni, annunciò “l’èra dello spirito” per l’anno 1.260 della nostra èra. Ovviamente, nulla di simile accadde.
Su questa scia, Arnaldo da Villanova (13°-14° secolo) ritenne che i “tempi dei gentili” fossero indicati proprio nei 1.290 giorni di Dn 12:11 e, calcolandoli come anni, sosteneva che la fine era imminente. Altra delusione. Cui ne seguirono altre, sempre applicando il principio 1 giorno = 1 anno. La lista è lunga.
Venendo a tempi più recenti, il primo a considerare il periodo di 2.520 anni fu John Aquila Brown, nel 1823, sebbene non associandolo ai “tempi dei gentili” di Lc 21:24. Furono altri commentatori a identificare i 2.520 anni con i “tempi dei gentili”. E arriviamo così a William Miller che fissò nell’anno 1843 la fine dei “tempi dei gentili”. Così anche i suoi seguaci. Nel 1844 ci fu la grande delusione. Nelson H. Barbour, uno dei collaboratori di Miller, rivide i calcoli di Miller e stabilì una nuova data per la fine dei seimila anni di storia umana: il 1873. Fissò pure il ritorno di Yeshùa nel 1874 (Zion’s Watch Tower di ottobre-novembre 1881, pag. 3). Nulla accadde. Iniziava però l’atteggiamento presuntuoso di chi anziché ammettere il proprio errore e scusarsi davanti a Dio e agli uomini, persevera testardamente nell’errore cercando nuove spiegazioni. Quest’atteggiamento perdura fino a oggi nel corpo dirigente della Watchtower. Così, la Zion’s Watch Tower di ottobre-novembre 1881 scriveva: “Si scoprì in breve che l’attesa di Gesù in carne alla seconda venuta era stata un errore” (pag. 3). Si noti: non errore sulla data, ma nella modalità del ritorno di Yeshùa. Per non correggere l’errore di data s’inventarono il ritorno “invisibile” di Yeshùa. Questo espediente poteva salvare la data del 1874. I lettori non erano, però, tutti stupidi e moltissimi non accettarono la data. In seguito, il periodico The Herald of the Morning (diventato poi La Torre di Guardia) spiegò che il calcolo esatto faceva terminare i “tempi dei gentili” nel 1914, alla fine del supposto periodo di 2.520 anni.
Charles T. Russell, aderì a questo computo, accettando in tutto i calcoli di Barbour. Il Russell fece decorrere i 2.520 anni dei “tempi dei gentili” dal 606 a. E. V. al 1914 (cfr. Studi sulle Scritture, Studio IV). Il tiro fu poi aggiustato facendo partire i “tempi dei gentili” dal 607 a. E. V., che è l’intendimento che tuttora ha la Watchtower.
In conclusione dobbiamo costatare (soprattutto lo dovrebbero gli affiliali alla Watchtower) che l’idea di un periodo di 2.520 anni per coprire i “tempi dei gentili” non fu chissà quale rivelazione divina concessa a Russell né tantomeno una sua intuizione. C’era già dietro una lunga storia, iniziando dal rabbino Akibah ben Yodèf, che nel primo secolo fu il primo a suggerire il criterio di 1 giorno = 1 anno al di fuori dei singoli due passi in cui la Bibbia lo applica, e passando poi per John Aquila Brown, che fu il primo a individuare nel 1823 il periodo dei presunti 2.520 anni.
Non esiste quindi una “regola” biblica che stabilisca 1 giorno = 1 anno. Questo computo va applicato solamente ai due casi in cui la Bibbia lo applica (Nm 14:34 e Ez 4:6), senza aggiungere deduzioni religiose.
Che ha a che fare Lc 21:24 con Dn 4?
Nei suoi Studi sulle Scritture (vol. II, pag. 89), C. T. Russell identificava i “tempi dei gentili” di Lc 21:24 in numero di sette riferendosi a Lv 26:18: “Se nemmeno dopo questo vorrete darmi ascolto, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati”. Il successore di Russell, il pessimo J. F. Rutherford, mantenne questo abbinamento per un certo tempo. In seguito il collegamento tra i due passi biblici fu abbandonato per basare i 2.520 anni unicamente su Dn 4. Questa è tuttora la veduta della Watchtower.
Nella collana Ausiliario per capire la Bibbia (tipografia Watch Tower, Roma), nel numero del 1° febbraio 1983, da pag. 464 sono presentate presunte prove per sostenere che i tempi dei gentili” di Lc 21:24 equivarrebbero a 2.520 anni. Questa posizione è ribadita in Perspicacia nello studio delle Scritture, Vol. 2, pagg. 1081-1085. Vediamo queste presunte prove e passiamole al vaglio della Scrittura.
- “L’espressione ‘tempi fissati’ traduce qui il sostantivo greco kairòs (pl. kairòi), che, secondo un dizionario, ‘significa un periodo di tempo fissato o definito, una stagione, a volte un tempo opportuno o appropriato alla stagione’. (Vine’s Expository Dictionary of Old and New Testament Words, 1981, vol. 4, p. 138) Un lessico lo definisce fra l’altro ‘tempo esatto o critico’. (H. G. Liddell e R. Scott, A Greek-English Lexicon, riveduto da H. S. Jones, Londra, 1968, p. 859)” (Ibidem, pag. 1081). Quest’asserzione corrisponde al vero. Ma fin qui si è stabilito solo che “i tempi fissati delle nazioni” (Lc 21:24, TNM) equivalgono a un periodo di tempo preciso.
- “Il senso delle parole di Gesù va necessariamente ricercato nel suo accenno al ‘calpestamento di Gerusalemme’, che, egli disse, sarebbe continuato finché i ‘tempi fissati delle nazioni’ non fossero compiuti” (Ibidem, pag. 1082). Vero anche questo, ma occorre qui iniziare a precisare. Yeshùa disse che Gerusalemme ἔσται πατουμένη ὑπὸ ἐθνῶν (èstai patumène üpò elthòn), “sarà calpestata dalle nazioni”. Da quando? Basta leggere l’intero brano per capirlo:
“Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti accampati, allora sappiate che la sua desolazione si è avvicinata. Quindi quelli che sono nella Giudea fuggano ai monti, e quelli che sono in mezzo ad essa si ritirino, e quelli che sono nelle campagne non vi entrino, perché questi sono giorni per fare giustizia, affinché tutte le cose scritte siano adempiute. Guai alle donne incinte e a quelle che allattano in quei giorni! Poiché ci sarà grande necessità nel paese e ira su questo popolo, e cadranno sotto il taglio della spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; e Gerusalemme sarà calpestata dalle nazioni, finché i tempi fissati delle nazioni non siano compiuti”. – Lc 21:20-24, TNM.
È evidente che il calpestamento di Gerusalemme sarebbe avvenuto dopo che i gerosolimitani sarebbero caduti “sotto il taglio della spada” e dopo che sarebbero stati “condotti prigionieri in tutte le nazioni”. La città, distrutta e desolata, sarebbe così stata “calpestata dalle nazioni”. Ora, qui si ha il primo tentativo di travisamento da parte della Watch Tower che, parlando di tale calpestamento, afferma: “Sarebbe continuato finché i ‘tempi fissati delle nazioni’ non fossero compiuti” (Ibidem, pag. 1082; il corsivo è aggiunto). Qui c’è una mezza verità detta con furbizia. È, infatti, semplicemente evidente che, una volta iniziato, il calpestamento “sarebbe continuato” fino a quando “i tempi fissati delle nazioni non siano compiuti”. Tuttavia, si cerca qui di porre le basi per sostenere che i “tempi” stessero continuando come se fossero già iniziati da parecchio. Questa interpretazione va respinta perché è insostenibile: non solo il contesto lo esclude ma lo stesso verbo greco lo impedisce: ἔσται πατουμένη (èstai patumène), “sarà calpestata”, e non ‘continuerà a essere’.
Le parole di Yeshùa trovarono adempimento nella distruzione di Gerusalemme compiuta dai romani nell’anno 70, anno da cui iniziò il calpestamento della città santa, che sarebbe proseguito da allora.
- “Per poter quindi capire se ‘i tempi fissati delle nazioni’ si riferiscano solo alla letterale città di Gerusalemme oppure anche a qualcos’altro, a qualcosa di più grande, è essenziale determinare quale significato le Scritture ispirate attribuiscono a ‘Gerusalemme’” (Ibidem, pag. 1082). Si noti il modo ambiguo in cui si tenta di introdurre il successivo appiglio: “Per poter quindi capire” (Ibidem, corsivo aggiunto). Quel “quindi” auto referenziante fa credere che ci sia da capire “qualcosa di più grande” circa Gerusalemme. Ed ecco dove si vuole arrivare: “Dopo che Gerusalemme fu calpestata dai babilonesi, essendo il suo re portato in esilio e rimanendo il paese desolato, nessun appartenente alla dinastia davidica regnò più dalla Gerusalemme terrena. Ma le Scritture mostrano che Gesù, il Messia, nato come discendente di Davide, avrebbe regnato dal celeste monte Sion, dalla Gerusalemme celeste” (Ibidem, pag. 1082). Quest’affermazione è in sé veritiera, ma che cosa c’entra mai con l’argomento? Yeshùa, in Lc 21:24, non menzionò nessun trono: parlò soltanto della città di Gerusalemme calpestata dalle nazioni. Questo saltare di palo in frasca della Watch Tower tenta solo di porre le basi per arrivare a dire che il calpestamento di Gerusalemme sarebbe iniziato con la distruzione della città da parte dei babilonesi e che stava ancora continuando quando Yeshùa fece la sua predizione. Ciò è insostenibile perché:
- Yeshùa si riferiva al futuro e quando parlava il calpestamento di Gerusalemme non era ancora iniziato: “Sarà calpestata”.
- Yeshùa non legò il calpestamento al trono di Gerusalemme ma lo riferì semplicemente alla città in sé.
- Yeshùa non legò la fine di questo calpestamento alla sua assunzione del Regno.
- Il calpestamento di Gerusalemme diventa improvvisamente “Il ‘calpestamento’ del regno della dinastia davidica” (Ibidem). Yeshùa disse: “Gerusalemme sarà calpestata dalle nazioni” (Lc 21:24, TNM). Egli aveva in mente la città e solo quella: “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti accampati, allora sappiate che la sua desolazione si è avvicinata” (Lc 21:20, TNM). Yeshùa parla in termini strettamente materiali, riferendosi a “eserciti accampati”. È la città che sarà calpestata. “Quelli che sono in mezzo ad essa si ritirino, e quelli che sono nelle campagne non vi entrino”. – Lc 21:21, TNM.
- “[Il calpestamento] era iniziato secoli prima” (Ibidem). No. “Gerusalemme sarà [ἔσται, èstai] calpestata” (Lc 21:24, TNM). Quando Yeshùa parlava, l’evento era ancora futuro.
- “Era iniziato secoli prima, nel 607 a.E.V.” (Ibidem). Doppiamente falso. L’anno 607 è una pura congettura fatta solo per far quadrare i conti dei presunti 2.520 anni. Non ha nulla di storico.
- “Il ‘calpestamento’ del regno della dinastia davidica non ebbe inizio quando i romani rasero al suolo Gerusalemme nel 70 E.V. Era iniziato secoli prima, nel 607 a.E.V., col rovesciamento di quella monarchia da parte dei babilonesi, quando Nabucodonosor aveva distrutto Gerusalemme e preso prigioniero il deposto re Sedechia, e il paese era rimasto desolato” (Ibidem, pag. 1082). Ecco infine la conclusione, errata, cui si voleva arrivare. Qui si riscontrano ben tre manipolazioni che contengono delle falsificazioni:
Si noti anche che Yeshùa aveva parlato di “desolazione” di Gerusalemme, e sempre riferita al futuro (Lc 21:20, TNM). Ora, che questa non poteva riferirsi a quella passata dopo la distruzione della città da parte dei babilonesi, lo mostra la storia: Gerusalemme fu poi ricostruita e restaurata. E lo riconosce la stessa Watch Tower che in Perspicacia nello studio delle Scritture, Vol. 1, a pag. 1053, dove – parlando dell’invasione babilonese – pone questo sottotitolo: “Desolazione e restaurazione” (corsivo aggiunto).
- “Nel libro di Daniele troviamo uno stretto parallelo con l’uso che Gesù fa della parola ‘tempi’ in relazione alle ‘nazioni’ o potenze mondiali gentili” (Ibidem, pag. 1083). E dove mai sarebbe questo parallelo? Yeshùa fece due riferimenti, parlando dei tempi escatologici, al libro di Daniele (cfr. Mt 24:15,21 con Dn 11:31;12:1).
- “Quando scorgerete la cosa disgustante che causa desolazione, dichiarata per mezzo del profeta Daniele, stabilita in un luogo santo (il lettore usi discernimento), allora quelli che sono nella Giudea fuggano ai monti” (Mt 24:15,16, TNM). Qui Yeshùa fa riferimento a Dn 11:31: “Realmente profaneranno il santuario, la fortezza, e sopprimeranno il [sacrificio] continuo. E certamente porranno la cosa disgustante che causa desolazione” (TNM). “La cosa disgustante che causa desolazione” di Mt 24:15 (cfr. Mr 13:14) corrisponde agli “eserciti accampati” di Lc 21:20. Che c’entrano qui i “tempi”?
- “Allora ci sarà grande tribolazione come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora, no, né accadrà più” (Mt 24:21, TNM). Qui il riferimento è a Dn 12:1: “Certamente accadrà un tempo di angustia come non se ne sarà fatto accadere da che ci fu nazione fino a quel tempo. E durante quel tempo il tuo popolo scamperà, chiunque si troverà scritto nel libro” (TNM). Qui la parola “tempo” è usata da Daniele, ma Yeshùa neppure la riporta. Tra l’altro, la versione greca della LXX traduce l’ebraico “tempo” (עֵת, et; “momento”, “occasione”) con ἡμέρα (emèra), “giorno”. Nessun presunto parallelo, quindi.
- “È Nabucodonosor, colui che aveva deposto il discendente di Davide, Sedechia, ad avere un’altra visione che secondo l’interpretazione di Daniele si riferiva al regno stabilito da Dio. Era la visione simbolica di un immenso albero che un angelo dal cielo ordinò di abbattere. Il ceppo, stretto da legami di ferro e di rame, doveva rimanere in quelle condizioni in mezzo all’erba dei campi finché non fossero passati su di esso ‘sette tempi’. ‘Si cambi il suo cuore da quello del genere umano, e gli si dia il cuore di una bestia, e passino su di esso sette tempi . . . nell’intento che i viventi conoscano che l’Altissimo domina sul regno del genere umano e che lo dà a chi vuole, e stabilisce su di esso persino l’infimo del genere umano’”. — Da 4:10-17” (Ibidem, pag. 1083). Continuando a mischiare le cose e continuando a saltare di palo in frasca, si arriva ai “sette tempi”. Ora, che cosa c’entra mai il sogno fatto da Nabucodonosor e interpretato da Daniele con le parole di Yeshùa in Lc 21:24? Tutto questo arrampicarsi sui vetri ha solo lo scopo di cercare (non riuscendoci) di abbinare “i tempi fissati delle nazioni” di Lc 21:24 con i “sette tempi” di Dn 4:16. Si arriva perfino a speculare sulla parola ebraica “tempi” (nel Testo Masoretico è in Dn 4:13), che in aramaico (la sezione di Dn 2:4b-7:28 è scritta in aramaico) è עִדָּנִין (ydanìn). La parola aramaica – che al singolare fa עדן (ydàn) – significa “tempi”, “volte”, “momenti”, “periodi”. La Vulgata traduce in latino con “tempora”. La LXX traduce in greco con ἔτη (ète), “anni”. Nonostante la LXX e altre traduzioni che hanno “anni”, la parola aramaica עדן (ydàn) significa “tempo” intesa “come misura di tempo” (Dizionario di ebraico e aramaico biblici, a cura di J. Alberto Soggin, pag. 483). “Sette” è, comunque, nella Bibbia un numero che indica completezza, da non prendersi letteralmente: qui indica un giro completo del tempo che accompagna il rovesciamento completo dello stato d’animo. In più, la storia non registra un periodo di sette anni in cui il trono di Nabucodonor fu vacante.
In ogni caso, cosa c’entra mai il sogno di Nabucodonosor con la predizione di Yeshùa? Tale presunta connessione tra i “tempi dei gentili” e i “sette tempi” di Dn è solo una fantasiosa congettura della Watch Tower. In Dn non c’è proprio nulla che indichi un doppio adempimento del sogno di Nabucodonor; anzi, vi si afferma proprio che ci fu un unico adempimento: “Tutto questo accadde a Nabucodonosor il re” (Dn 4:28, TNM); “In quel momento la parola stessa si adempì su Nabucodonosor”. – Dn 4:33, TNM.
Visto il modo in cui la Scrittura è trattata dall’americana Watchtower, è il caso di demolire fino in fondo il tentativo di collegare l’inizio dei “tempi dei gentili” con la distruzione di Gerusalemme da parte dei babilonesi. Quando ebbe Nabucodonosor la sua visione? Il re caldeo Nabucodonosor II era soprattutto un costruttore, più che un militare. Si dedicò alla ristrutturazione di Babilonia, pavimentando strade, ricostruendo templi e scavando canali; soprattutto è considerato per la costruzione dei famosi giardini pensili (una delle sette meraviglie del mondo antico). Fu, quindi, evidentemente verso la fine del suo regno che ebbe la visione, giacché in Dn 4:30 lui si vanta: “Non è questa Babilonia la Grande, che io stesso ho edificato per la casa reale con la forza del mio potere e per la dignità della mia maestà?” (TNM). “Mentre la parola era ancora nella bocca del re” (Dn 4:31, TNM), una voce dal cielo gli annuncia: “Ti si dice, o Nabucodonosor il re: ‘Il regno stesso si è dipartito da te . . . e su di te passeranno sette tempi stessi, finché tu conosca che l’Altissimo domina sul regno del genere umano, e che lo dà a chi vuole’” (Dn 4:31,32, TNM). Il cap. 4 di Dn si chiude poi con Nabucodonor che, rinsavito, loda Dio. Ora, essendo ciò accaduto alla fine del suo regno, Gerusalemme era stata già distrutta da un pezzo, ma i “sette tempi” che lo riguardavano erano ancora futuri, perché la voce gli dice: “Su di te passeranno sette tempi”. Dunque, a parte il fatto che la visione riguardava solo Nabucodonosor, è in ogni caso escluso un adempimento più vasto retrodatato. Una profezia che inizi ad avverarsi prima ancora di essere annunciata non si è mai vista, se non nelle pagine della Watchtower.
- “Il libro [di Daniele] insiste ripetutamente sulla conclusione che costituisce il tema delle sue profezie: l’istituzione di un Regno di Dio universale ed eterno affidato al ‘figlio dell’uomo’” (Ibidem, pag. 1083). A noi questa pare una conclusione religiosa e affrettata. Il libro di Daniele ha l’obiettivo di incoraggiare i giudei (perseguitati per la loro fede) a rimanere fedeli al Dio unico d’Israele. Il messaggio di Daniele vuole infondere speranza e sicurezza: Dio è il Signore della storia che controlla lo svolgersi degli eventi e ha già fissato il tempo della fine cui seguirà un tempo di pace. Infine, il profeta assicura la giusta condanna dei persecutori. Per la Bibbia il dominio eterno di Dio è indiscusso: “Il tuo regno è un regno eterno e il tuo dominio dura per ogni età” (Sl 145:13); “Egli alterna i tempi e le stagioni; depone i re e li innalza, dà la saggezza ai saggi e il sapere agli intelligenti” (Dn 2:21). Era questa la lezione che Nabucodonosor doveva imparare. Dio, il Signore, è il “Re eterno, immortale”, “unico Dio” (1Tm 1:17). È quindi offensivo, se non blasfemo, asserire che nel fantomatico periodo di 2.520 anni Dio non avrebbe esercitato la sua sovranità.
- “L’istituzione di un Regno di Dio universale ed eterno affidato al ‘figlio dell’uomo’” (Ibidem, pag. 1083). Si tenta qui di far dire a Dn ciò che non dice. Il collegamento che si tenta di fare si basa su Dn 4:17: “I viventi conoscano che l’Altissimo domina sul regno del genere umano e che lo dà a chi vuole, e stabilisce su di esso persino l’infimo del genere umano” (TNM). Nella forzatura della Watchtower “l’infimo del genere umano” sarebbe Yeshùa: ciò aggancerebbe la fine dei “tempi dei gentili” al Regno messianico (secondo la società americana). Nella TNM, la Bibbia della Watchtower, un riferimento di Dn 4:17 rimanda addirittura a Mt 11:29 in cui Yeshùa si definisce “d’indole mite e modesto di cuore” (TNM). L’espressione di Dn è generica e perfettamente in linea con il pensiero biblico ed ebraico che spesso si riscontra nella Scrittura: “Egli riduce i prìncipi a nulla, e annienta i giudici della terra” (Is 40:23); “Ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili” (Lc 1:52). Le parole di Dn 4:17 sono rivolte all’altezzoso e arrogante Nabucodonosor e hanno lo scopo di metterlo in riga, umiliandolo. Non c’è modo di vedervi un riferimento a Yeshùa che riceverà il Regno.
- “Quando è usato in questo modo, la durata di un anno è di 360 giorni; infatti in Rivelazione 12:6, 14 viene spiegato che tre tempi e mezzo corrispondono a ‘milleduecentosessanta giorni’. (Cfr. anche Ri 11:2, 3). Secondo questo calcolo ‘sette tempi’ equivarrebbero a 2.520 giorni. Che un preciso numero di giorni possa essere usato nella Bibbia per rappresentare un corrispondente numero di anni è evidente da Numeri 14:34 e da Ezechiele 4:6.” (Ibidem, pag. 1084). Dopo le forzature precedenti, eccone un’altra. Prima si cita Ap (o Rivelazione) per conteggiare i “sette tempi” come sette anni, poi si trasformano i giorni di questi anni in altrettanti anni, giungendo a 2.520 anni. E qui, per giunta, la Watchtower si contraddice smentendo se stessa. Nel loro libro Rivelazione: Il suo grandioso culmine è vicino!, al cap. 4, pag. 12, è detto: “Alcuni numeri menzionati in Rivelazione sono da intendersi letteralmente. Spesso lo si può determinare dal contesto. (Vedi Rivelazione 7:4, 9; 11:2, 3; 12:6, 14; 17:3, 9-11; 20:3-5)”. Come si nota, Ap o Riv (Ri) 11:2,3 è tra i passi in cui secondo la Watchtower i numeri vanno intesi letteralmente. Tanto è vero che nella loro applicazione all’americana, applicando il presunto adempimento dei “milleduecentosessanta giorni” di Ap 11:2,3, sostengono: “Ci fu un periodo segnato di tre anni e mezzo durante i quali le vicissitudini del popolo di Dio corrisposero agli avvenimenti qui profetizzati, a cominciare dallo scoppio della prima guerra mondiale nell’ultima parte del 1914 fino agli inizi del 1918” (Rivelazione: Il suo grandioso culmine è vicino!, al cap. 25, pag. 164, § 12). Ora, come mai la presunta regola di 1 giorno = 1 anno qui non viene accettata? Però si pretende di applicarla ai “sette tempi” considerati “sette anni”. In base a che cosa ci si appella a una regola (presunta) a volte sì e a volte no? È chiaro che l’applicazione è del tutto arbitraria e strumentale.
In conclusione, dobbiamo riconoscere che voler vedere nei “tempi dei gentili” di Lc 21:24 i “sette tempi” di Dn 4 è una pura congettura che neppure regge al confronto biblico (e nemmeno a quello storico). Questa fantasiosa congettura svela una paurosa ignoranza biblica in generale e, in particolare, una scarsissima comprensione del libro biblico di Daniele, che facile non è (si vedano, per una sua corretta valutazione, gli studi su Daniele nella categoria Scritture Ebraiche della sezione Esegesi biblica).
C’è solo da stupirsi che moltissimi Testimoni di Geova – non conoscendo la lunga storia (fatta di molteplici tentativi mai riusciti) che c’è dietro – bevano tale congettura come chissà quale rivelazione data a un gruppo di persone che pretendono di avere chissà quale intendimento della Bibbia.