Ormai da decenni l’evoluzione è data per scontata e accettata. I libri di scuola, di qualsiasi livello, ne parlano come di un fatto scientifico, del tutto ovvio. È considerata una realtà e una verità. Ma è davvero così?

   Mettere in dubbio l’evoluzione viene considerato come un povero pensiero di una mentalità poco informata, non al passo con i tempi. In una parola, antiscientifica. Ma è davvero così?

   Una persona intelligente non si sognerebbe certo di mettere in dubbio la scienza. La domanda vera, quindi, è: L’evoluzione è davvero un fatto scientifico? Questa domanda potrebbe suscitare sorpresa tra coloro che credono nell’evoluzione. Ma la vera sorpresa sarebbe per loro scoprire che l’evoluzione non è per nulla un fatto scientifico. Una verità scientifica, per essere tale, deve essere dimostrata. Si può dimostrare che l’evoluzione è un fatto scientifico? No, non si può. Una domanda ancora più interessante è: Si può dimostrare che l’evoluzione non è un fatto scientifico? La risposta è: assolutamente sì, si può dimostrare.

   Il metodo scientifico che convalida una teoria come verità scientifica è questo:

   1. Osservare ciò che accade.

   2. Sulla base dell’osservazione formulare una teoria su ciò che potrebbe essere vero.

   3. Verificare la teoria con ulteriori osservazioni ed esperimenti.

   4. Dimostrare che le previsioni basate sulla teoria si realizzino e sono replicabili.

   Di fronte alla teoria dell’evoluzione abbiamo una grandissima difficoltà ad applicare il metodo scientifico già dal suo primo punto: come potremmo mai osservare la generazione spontanea della vita? E dove? La nostra osservazione comprova che la vita nasce solo dalla vita. E nessuno era presente ad osservare la presunta generazione spontanea della vita. È vero che sono stati eseguiti esperimenti di laboratorio per cercare di replicare tale presunta generazione spontanea, ma è altrettanto vero che sono tutti falliti.

   Nel 1953 Stanley Miller sottopose a scariche elettriche un composto gassoso costituito da idrogeno, metano, ammoniaca e vapore acqueo. Che stava cercando di fare? L’idea era quella di ricostruire l’atmosfera terrestre e di assoggettarla a scariche elettriche per riprodurre ciò che sarebbe avvenuto sotto l’azione dei fulmini in quella presunta atmosfera primordiale. L’obiettivo era quello di ottenere i 20 amminoacidi indispensabili alla vita. Ne ottenne solo 4, e in maniera discutibile. Nei decenni successivi non si è mai riusciti ad ottenere tutti e 20 gli amminoacidi. Un problema insormontabile rimane questo: se nell’aria c’era ossigeno, il primo amminoacido non si sarebbe mai formato (infatti Miller non impiegò ossigeno); ma senza ossigeno, l’amminoacido sarebbe stato eliminato dai raggi cosmici.

   Per proseguire nel vaglio della teoria dell’evoluzione dobbiamo far finta che gli amminoacidi si formassero lo stesso, contro la legge scientifica della presenza di ossigeno. E dobbiamo far finta che si formassero tutti e 20. Avremmo così ottenuto – per finta, certo – i “mattoni” di cui son fatte le proteine. Ma la vita è ancora lontana, lontanissima.

   Il prossimo passaggio deve prevedere che questi presunti spontanei amminoacidi andassero a finire negli oceani e qui formassero quello che viene chiamato brodo organico. Se già era improbabile la prima ipotesi sulla formazione degli amminoacidi, il formarsi del brodo organico è ancora più improbabile. Infatti la stessa energia che si suppone abbia scisso i semplici composti presenti nell’atmosfera avrebbe ancor più rapidamente decomposto qualsiasi complesso amminoacido si fosse formato (Miller aveva infatti salvato i 4 amminoacidi ottenuti togliendoli dal luogo delle scariche elettriche per non farli decomporre).

   Facciamo comunque finta che gli amminoacidi abbiano raggiunto gli oceani, sfuggendo alla distruttiva azione dei raggi ultravioletti. Ebbene? Nell’acqua non ci sarebbe stata energia sufficiente ad attivare ulteriori reazioni chimiche (l’acqua inibisce sempre la formazione di molecole più complesse). Gli amminoacidi avrebbero dovuto uscire dall’acqua per formare molecole più grandi ed evolversi in proteine utili alla formazione della vita. Ma, fuori dall’acqua, sarebbero stati di nuovo esposti alla distruttiva radiazione degli ultravioletti. In pratica, per superare questo stadio ritenuto relativamente semplice (la formazione degli amminoacidi), siamo già di fronte ad una altissima improbabilità. Vale la pena di rammentare le parole del biochimico George Wald: “La dissoluzione spontanea è molto più probabile, e quindi procede molto più rapidamente della sintesi spontanea”. – L’origine della vita; Zanicheli, 1968, pagine 13.8, 13.9.

   Facendo finta che tutto ciò sia inspiegabilmente avvenuto, dobbiamo passar sopra ad un altro grosso problema. Esistono infatti più di 100 amminoacidi, di cui solo 20 sono però necessari alle proteine della vita. Come se ciò non bastasse, questi amminoacidi sono presenti in due configurazioni. Alcune molecole, infatti, sono destrogire e altre sono levogire. Formandosi a caso, probabilmente circa metà sarebbero di un tipo e l’altra metà dell’altro tipo. Tra l’altro non si sa ancora per quale motivo nei viventi l’uno o l’altro tipo sarebbe preferibile. Sta di fatto che i 20 amminoacidi utilizzati nella sintesi delle proteine devono essere tutti levogiri.

   Facendo il punto della situazione fino ad ora dobbiamo quindi dire che per proseguire nel tentativo di spiegare la teoria evoluzionistica, dobbiamo (ignorando i fatti scientifici) necessariamente:

   1. far finta che delle scariche elettriche abbiamo formato per caso degli amminoacidi;

   2. far finta che tali amminoacidi abbiano poi resistito alle scariche che li avevano formati;

   3. far finta che siano finiti nell’oceano;

   4. far finta che nell’oceano non siano stati inibiti;

   5. far finta che siano usciti dall’acqua;

   6. far finta che non siano stati distrutti dai raggi ultravioletti;

   7. far finta che tra i più di 100, siano entrati in gioco solo i 20 necessari;

   8. far finta che quei 20, per caso, siano stati tutti levogiri.

   Ipotizzando tutto ciò (in realtà: non ipotizzando, ma fantasticando che ciò sia accaduto contro ogni evidenza scientifica e ogni logica), avremmo (sempre per finta) ottenuto i 20 amminoacidi giusti. Ma attenzione: per ottenerli il caso avrebbe dovuto pescare questi 20 amminoacidi nello stesso modo in cui una persona bendata estrarrebbe da un sacco (contenente 100 dischetti numerati da 1 a 100) 20 dischetti che siano non solo tutti dispari, ma anche pescati in modo tale che i numeri estratti siano crescenti. In una proteina, infatti, un solo errore impedirebbe alla proteina stessa di funzionare. Temiamo che neppure la famosa dea bendata della fortuna potrebbe far molto.

   Potremmo già fermarci qui e liquidare subito la teoria dell’evoluzione come una favola, ma le favole un po’ ci intrigano, per cui continuiamo. Dobbiamo far finta, quindi, che quanto detto finora sia avvenuto. Va però precisato che le probabilità che anche una sola semplice molecola proteica si sia formata per caso in un brodo organico sono una su 10¹¹³ (una su un numero tanto grande che è composto da 1 seguito da 113 zeri). Per darne l’idea lo scriviamo per esteso: si tratta di una sola probabilità su ben

100.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.

   Il numero è spaventosamente grande: non si riesce neppure a leggerlo. Questa probabilità è ammessa dagli evoluzionisti. Ma il verificarsi di questa probabilità è ragionevole? Secondo i matematici, no. I matematici scartano già – nella convinzione che non si verificherà mai – una probabilità che sia una su 1050. Per avere una idea della probabilità di cui si sta parlando, si tenga presente che il numero espresso da 10¹¹³ rappresenta una quantità superiore a quella di tutti gli atomi presumibilmente presenti nell’universo. Sarebbe come puntare un sol numero su una roulette che abbia 100.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 numeri e vincere!

   Per i semplici che volessero ancora insistere, facciamo un paragone con il popolare gioco del Superenalotto, in cui si tratta di indovinare sei numeri su 90. La combinazione vincente ha una sola probabilità su 622.614.630. Molto scarsa, ma ogni tanto qualcuno vince. Improbabile, ma non impossibile. Ben altra cosa è la probabilità richiesta dalla teoria evoluzionistica.

 

pro

 

   E non è ancora finita. Alcune proteine servono come struttura, altre come enzimi. Senza le proteine enzimatiche la cellula morirebbe. Le proteine enzimatiche necessarie al funzionamento della cellula sono 2.000. Il caso dovrebbe aver fatto in modo che tutte e 2.000 venissero a trovarsi insieme. Le probabilità?

   Una su 1040.000 (1 seguito da 40.000 zeri). Lo spazio non ci consente di scrivere il numero per esteso. Ma non era già impossibile una probabilità su 10¹¹³? Diciamolo chiaro: siamo ben oltre la fantascienza.

 

Probabilità

1 su 10¹¹³

1 su 1040.000

Impossibile

Da fantascienza

 

   Ora è finita? No. La cellula deve essere circondata da una membrana. Tale membrana è estremamente complessa (è formata da molecole proteiche, zuccheri e grassi). Ed ecco un’altra difficoltà insormontabile: per formare una cellula occorre prima una membrana, ma per formare la membrana occorre prima una cellula. È come il noto quesito: è nato prima l’uovo o la gallina? Temiamo che la teoria dell’evoluzione debba proprio fermarsi qui, se non ha ancora avuto la vergogna di non fermarsi prima. Non possiamo continuare a sfidare la logica matematica e scientifica per rincorrere le favole.

   Se dovessimo far ancora finta che, per caso, tutto ciò sia accaduto, ora sarebbe finita? Abbiamo finalmente la vita che si evolve? Macché. Ora occorre sintetizzare i nucleotidi, le unità strutturali del DNA in cui è racchiuso il codice genetico. Cinque istoni sono associati col DNA. Se prendiamo il più semplice di questi cinque istoni e calcoliamo la probabilità di una sua sintesi accidentale, otteniamo una probabilità su 20¹ºº (numero che supera il totale di tutti gli atomi presenti in tutte le stelle e le galassie visibili con i più potenti telescopi astronomici).

   Ma ora, dopo aver fatto sempre finta che tutto sia avvenuto per una sequenza di casi incredibilmente quanto improbabilmente fortunati, questa cellula trova altri ostacoli?

   Prima occorre concedere – sempre nella finta delle supposizioni fantasiose – che quel caso fortuito abbia dato origine non a una ma a miliardi di cellule. Concesso (per gioco) ormai anche questo, dobbiamo supporre (in realtà, immaginare con molta fantasia) che la cellula abbia escogitato la fotosintesi. Si tratta del processo con cui le piante assorbono anidride carbonica e cedono ossigeno. La cellula deve aver impiegato per questo una fortuita e inspiegabile intelligenza, visto che neppure gli scienziati hanno ancora ben compreso la fotosintesi. Con la fotosintesi un’atmosfera priva di ossigeno libero si trasformò in un’atmosfera in cui una molecola su cinque è ossigeno. Questo avrebbe reso possibile la vita animale e la formazione dello strato di ozono che protegge ogni forma di vita dalla dannosa radiazione degli ultravioletti. Dobbiamo proprio essere così ciechi da attribuire ancora al caso tutto ciò? L’intelligenza ce lo impedisce.

   Strano a dirsi, l’evoluzione pretende che le cose siano andate esattamente al contrario di quanto noi osserviamo. Ci riferiamo all’entropia: le cose lasciate al caso diventano disordinate e decadono, anziché evolversi verso un ordine superiore e organizzato.

   Da quando poi è stato scoperto il DNA possiamo tranquillamente affermare che l’evoluzione è passata dal campo della presunta scienza a quello della fantascienza. Qualcuno ha paragonato la possibilità che la vita sia sorta e si sia evoluta dalla materia inanimata alla stessa possibilità che ha l’esplosione in una stamperia di produrre una copia della Divina Commedia. Qualcun altro ha fatto l’esempio di una scimmia che battendo a caso i tasti di una macchina per scrivere produrrebbe un’enciclopedia.

   No, la teoria dell’evoluzione non merita di essere considerata nell’ambito scientifico. Appartiene piuttosto alla fantascienza. Ma a quella più fantasiosa. Eppure – sostengono gli evoluzionisti – da un organismo unicellulare derivarono organismi pluricellulari. In base a quale legge del caso una cellula diventi fegato e un’altra osso o occhio rimarrebbe un mistero. Come rimarrebbe un mistero, nella teoria dell’evoluzione, il fatto che certi uccelli tocchino i 35.000 chilometri nella loro migrazione annuale e navighino orientandosi con le stelle. L’evoluzione non spiega come faccia un uccellino che pesa 20 grammi (la Dendroica striata) a lasciare l’Alaska in autunno per raggiungere la costa orientale del Canada, mangiare in abbondanza, accumulare grasso e attendere un fronte freddo per riprendere il volo verso l’America del Sud, facendo però rotta verso l’Africa in modo che sull’Atlantico, a circa 6.000 metri di altezza, incroci un vento che lo trasporti in America del Sud. Né ci spiega come faccia l’uccello tessitore a tessere fibre varie per costruirsi il nido.

   L’uomo è ancor più sorprendente. Dopo solo tre settimane dal concepimento cominciano a formarsi le cellule cerebrali, fino a 250.000 al minuto. Col tempo, il cervello umano (che ha solo il 2% del peso corporeo) ospiterà circa 100 miliardi di cellule. Ogni secondo, quel cervello riceverà circa 100 milioni di bit (unità d’informazione) provenienti dai vari sensi, che saranno vagliati dalla formazione reticolare (grande quanto un mignolo) per essere bloccati se insignificanti o dirottati alla corteccia cerebrale se meritano attenzione; ogni secondo solo poche centinaia di messaggi saranno così recepiti a livello cosciente. È stato stimato che la quantità di informazioni che il cervello umano può accumulare potrebbe essere contenuta in venti milioni di libri. E che dire del linguaggio? Un bambino può imparare una o due o tre lingue con cui viene in contatto. Questa capacità si è forse evoluta da grugniti e mugolii animali? E la capacità di ascoltare, comporre e suonare musica? Perché mai il caso avrebbe dovuto fornirci di simili straordinarie capacità?

   Perché allora l’evoluzione è così universalmente accettata? Intanto occorre dire che negli ultimi anni sono sempre più gli scienziati che si dissociano dalla teoria evoluzionistica. Negli Stati Uniti d’America sempre più scuole ne stanno vietando l’insegnamento.

   Le ragioni della vasta accettazione dell’evoluzione sono diverse. Il grande pubblico dei semplici l’accetta e basta: è sui libri, se ne parla sempre. È il caso purtroppo di parlare di popolo bue. A livello degli studiosi è adottata spesso per non lasciare alternative al fatto che Dio abbia creato l’universo. In passato è stata perfino adottata per giustificare dottrine politiche quali il diritto del più forte a dominare. È noto lo slogan evoluzionistico che “il più adatto sopravvive”. Ma pochi si fermano a considerare la sciocchezza di questa affermazione. Infatti, alla domanda: “Ma chi è il più adatto?”, la risposta è: “Quello che sopravvive”. Siamo di fronte ad una tautologia. L’ipotesi viene trasformata in dimostrazione. Siamo all’assurdo.

   All’inizio la teoria era nata come una fantasiosa ipotesi dopo aver osservato la creazione e aver tratto conclusioni affrettate quanto assurde. Charles Darwin aveva visitato le isole di Capo Verde, le Isole Falkland, la costa del Sud America, le Isole Galápagos e l’Australia. Darwin notò somiglianze tra fossili e specie viventi e da lì iniziò a formulare la sua teoria.

   Ci viene in mente il professore di una barzelletta. Costui aveva catturato una mosca per i suoi esperimenti. La mise su un tavolo, le staccò una zampina e le disse: Salta! E la mosca saltò. Il professore scrisse allora pagine di appunti. Poi le staccò un’altra zampina e le disse: Salta! E la mosca saltò. Altre innumerevoli pagine di appunti. L’illustre scienziato proseguì staccandole man mano le altre zampette. Ogni volta le diceva: Salta!, e la mosca saltava. Pagine e pagine di appunti. Ma quando le ebbe staccato tutte e sei le zampine, all’ordine di saltare, la povera mosca non si mosse. L’esimio studioso raccolse allora i suoi appunti e li studiò. Gli ci vollero mesi per scrivere il suo trattato. Ne venne fuori un gran volume di migliaia di pagine. L’ultima frase del suo grandioso studio diceva: “In conclusione, dopo averle staccato tutte le zampe, la mosca diventa sorda”.

   Anziché fare strampalate ipotesi osservando la creazione di Dio, noi proponiamo di ammirarla, cogliendovi il genio divino. Paolo disse di Dio: “Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1:20). Guardando ammirati la creazione di Dio, cosa possiamo dedurre del Creatore? Quali qualità divine percepiamo? Cosa apprendiamo circa la sua fantasia, la sua genialità, la sua tenerezza, la sua sollecitudine? E perfino sul suo gusto e sul suo senso dell’umorismo?