Prendiamo qui in considerazione un’argomentazione con cui si cerca di sostenere biblicamente la trinità. Tale argomentazione è contenuta in La dottrina della Trinità (a cura del Messaggero Avventista, Firenze, 1988). Lo studio appare autorevole, giacché è a cura dell’Istituto Avventista Villa Aurora, che ha una Facoltà di Teologia. A pag. 12 di detta pubblicazione, al sottotitolo La divinità si rivela nel valore di un aggettivo numerale, si legge: “La lingua ebraica conosce diverse parole per esprimere il concetto di unità. La più comune è senz’altro l’aggettivo numerale ‘echâd [אֶחָד] che corrisponde esattamente al nostro ‘uno’ . . . può esprime tanto il concetto di unità semplice quanto il concetto di unità composta” (le evidenziazioni in grassetto e corsivo sono dell’autore, e saranno rispettate in tutte le citazioni). Dopo questa affermazione si passa ad un esempio: “Se diciamo ‘un uomo’, l’aggettivo ‘uno’ esprime l’idea di unità semplice . . . se invece diciamo ‘un popolo’, l’aggettivo ‘uno’ rende l’idea di unità composta”.
Fin qui non possiamo che essere d’accordo. Ma sentiamo il bisogno di specificare che è la parola principale che stabilisce di per sé di che unità si tratti, non la parola “uno” ad essa abbinata. In “un uomo” e in “un popolo” si tratta di unità diverse, ma la parola “uno” è sempre la stessa identica; così anche nella lingua ebraica. L’autore (S. Vilardo), vuole però dire una cosa diversa e passa a spiegarla: “Quando gli scrittori ispirati del Vecchio Testamento hanno voluto esprimere il concetto di unità composta o hanno inteso ridurre idealmente la pluralità all’unità hanno usato invariabilmente l’aggettivo numerale ‘echâd, laddove però quando hanno inteso restringere il concetto di unità per esprimere l’idea di unicità, unicità assoluta e indivisibile, hanno adoperato invece l’aggettivo yahîd [יְחִיד], che viene generalmente tradotto con ‘unico’”. L’autore passa poi a degli esempi pratici tratti dalla Bibbia.
Per l’unità composta cita: “Fu sera e fu mattina il primo giorno” (sic), da Gn 1:5, specificando che l’ebraico ha “yôm ‘ehâd”, che traduce lui stesso: “fu sera e fu mattina un giorno”. Da parte nostra contestiamo questa traduzione. Vero è che il testo biblico ha יֹום אֶחָד (yòm ekhàd), ma non è vero che vada tradotto “un giorno”. La parola אֶחָד (ekhàd) è un numerale, e la traduzione dovrebbe casomai essere “giorno uno”. Infatti, in Gn 1:8, יֹום שֵׁנִי (yòm shenìy) significa “giorno due” e non ‘due giorni’. Ma non è questo il punto. L’autore conclude: “In questo versetto l’unità temporale ‘giorno’ risulta da due segmenti temporali: ‘sera’ e ‘mattina’”. La stessa unità composta l’autore la vede in Gn 2:24 in cui si dice dell’uomo e della donna che saranno “una carne”; la parola usata è sempre אֶחָד (ekhàd) e la composizione, fa notare l’autore, è data da maschio e femmina.
Per l’unità semplice e indivisibile lo studioso cita Gn 22:2, in cui Isacco viene detto l’unico figlio di Abraamo. Nell’ebraico si ha יְחִיד (yakhìd), “unico”.
Il Vilardo arriva poi a trarre le sue conclusioni analizzando Dt 6:4, che lui stesso traduce: “Ascolta Israele: Jahvè nostro Dio è Jahvè uno”. E fa notare che qui “uno” è nel testo ebraico non יְחִיד (yakhìd), unico, ma אֶחָד (ekhàd), “uno”. Il suo commento è: “In questo versetto è espresso palesemente il concetto dell’unità di diverse entità personali”. Ammesso e non concesso che sia così, domandiamo: quante “entità personali”? Due? Tre? Di più? Vogliamo dire che anche se così fosse, da ciò alla trinità non si arriverebbe. Si parla di יהוה (Yhvh) e solo di lui. Comunque, a pag. 15 (Ibidem) la conclusione, a caratteri cubitali, è che “la divinità è una unità composta”.
Che dire? Che non è così. E lo dimostriamo con la Bibbia.
In Gn 42:19 si legge: “Uno di voi fratelli resti qui”. La parola tradotta “uno” è proprio אֶחָד (ekhàd), ed è applicata ad un uomo. Rammentiamo le stesse parole del prof. Vilardo: “Se diciamo ‘un uomo’, l’aggettivo ‘uno’ esprime l’idea di unità semplice” (Ibidem). Qui, secondo lui, la Bibbia dovrebbe usare יְחִיד (yakhìd), “uno” nel senso di indivisibile (sempre secondo lo studioso). La Bibbia lo smentisce. Le “diverse entità personali” (Ibidem) che dovrebbero essere contenute nella parola אֶחָד (ekhàd), qui dove mai si possono rintracciare, dato che si tratta di un solo uomo? Dobbiamo forse assurdamente supporre che l’uomo, dopo il peccato, sia un essere trinitario? A quest’assurda conclusione si dovrebbe arrivare sulla base di Gn 3:22, in cui Dio dice, dopo che l’uomo ha peccato: “Ecco, l’uomo è diventato come uno [אַחַד (ekhàd)] di noi”; anche qui, stando al Vilardo, אַחַד (ekhàd) dovrebbe avrebbe avere lo stesso significato che lui attribuisce alla stessa parola riferita a Dio in Dt 6:4. Ma così non è.
Se ancora non bastasse, si legga Zc 14:9: “Il Signore sarà re di tutta la terra; in quel giorno il Signore sarà l’unico [אַחַד (ekhàd] e unico [אַחַד (ekhàd] sarà il suo nome”. Anche qui si usa la parola אַחַד (ekhàd), che – stando allo studioso – dovrebbe denotare un’unità composita. Ma se Dio era ed è già אַחַד (ekhàd), come afferma Dt 6:4, come può dirsi che lo diventerà? Evidentemente il senso di אַחַד (ekhàd) è proprio quello di “uno” nel senso di “unico”. Dt afferma che Dio è l’“unico” (אַחַד, ekhàd) Dio, ma ancor oggi moltissime persone adorano falsi dèi e nominano altri nomi divini; verrà però il giorno in cui “il Signore sarà re di tutta la terra” e per tutti “il Signore sarà l’unico [אַחַד (ekhàd] e unico [אַחַד (ekhàd] sarà il suo nome”. Il vocabolo אַחַד (ekhàd) significa quindi uno e uno solo, proprio come in Sl 14:3: “Non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno [אַחַד (ekhàd]”.
Se si vuole rintracciare la base della trinità non la si troverà nella parola ebraica אַחַד (ekhàd) né in tutta la Scrittura. La dottrina trinitaria affonda le sue radici nel paganesimo.
“L’universo era diviso in tre regioni, ciascuna sotto il controllo di un dio. Ad Anu apparteneva il cielo. Enlil dominava la terra. Ea divenne il sovrano delle acque. Insieme costituivano la triade dei Grandi Dèi” (Larousse Encyclopedia of Mythology). Ciò avveniva nella regione mesopotamica. In Babilonia e in Assiria esistevano delle trinità o triadi di dèi. In babilonia c’era la triade di Ishtar, Sin e Shamash; in Egitto la triade di Horus, Osiride e Iside. Una trinità indù esisteva secoli prima di Yeshùa; The Symbolism of Hindu Gods and Rituals di A. Parthasarathy (Bombay) afferma: “Shiva è uno degli dèi della Trinità. È considerato il dio distruttore. Le altre due divinità sono Brahma, il dio creatore, e Vishnu, il dio preservatore . . . Per indicare che queste tre figure non sono che Uno, le tre divinità vengono riunite in un’unica rappresentazione”.
“Possiamo ripercorrere la storia di questa dottrina e individuarne l’origine non nella rivelazione cristiana, ma nella filosofia platonica . . . La Trinità non è una dottrina di Cristo e degli Apostoli, ma un’invenzione dei neoplatonici” (A. Norton, A Statement of Reasons, Boston, 1872). Verso la fine del 3° secolo il cosiddetto “cristianesimo” e le filosofie neoplatoniche si unirono. Il pensiero pagano greco divenne quello della Chiesa apostata e la dottrina della trinità “divenne così un mistero per la stragrande maggioranza dei cristiani” (A. Harnack, Dogmengeschichte, Tubinga, 1905). “La dottrina della Trinità si andò formando gradualmente e relativamente tardi; . . . trasse origine da una fonte del tutto estranea alle Scritture Ebraiche e Cristiane; . . . si sviluppò e fu innestata sul cristianesimo per mano dei Padri platonisti” (A. Lamson, The Church of the First Three Centuries, Boston, 1860). “La trinità platonica, di per sé solo una ristrutturazione di trinità precedenti che risalivano a popoli più antichi, sembra essere la razionale e filosofica trinità di attributi che diede origine alle tre ipostasi o persone divine che le chiese cristiane hanno insegnato. . . . Questa concezione della trinità divina che il filosofo greco aveva . . . si può rintracciare in tutte le antiche religioni [pagane]”. – M. Lachâtre, Nouveau Dictionnaire Universel, Parigi, 1865-1870.
Il concilio di Nicea, nel 325 della nostra èra, affermò che Yeshùa era della stessa sostanza di Dio, ma non si parlò allora dello spirito santo come terza persona trinitaria. “Costantino stesso presiedette [il concilio di Nicea], guidando attivamente le discussioni, e propose personalmente . . . la formula cruciale che esprimeva la relazione fra Cristo e Dio nel simbolo formulato dal concilio, ‘consustanziale col Padre’ . . . Intimoriti dall’imperatore, i vescovi, con due sole eccezioni, firmarono il simbolo, molti fondamentalmente contro la loro volontà” (Encyclopædia Britannica, Chicago, 1971). Fu il concilio di Costantinopoli, nel 381, che mise lo spirito santo sullo stesso piano di Dio e Yeshùa: la trinità cominciò così a delinearsi. “Il pieno sviluppo del trinitarismo si ebbe in Occidente, con la Scolastica medievale, quando si tentò una spiegazione in termini filosofici e psicologici”. – Encyclopedia Americana, Vol. 27.