La parola “trinità” non è biblica, né potrebbe esserlo, perché tale parola appare per la prima volta negli scritti di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (più noto semplicemente come Tertulliano), un apologeta “cristiano” del 2°/3° secolo. Fu lui a coniare la parola “trinità” sulla base dell’aggettivo latino trinus che significa “triplo”.
Prima di lui la parola era quindi sconosciuta. Nella Bibbia non compaiono neppure i termini filosofici greci con cui i teologi posteriori definirono l’unità di natura della trinità (Cfr. John L. McKenzie, Dizionario biblico, Cittadella Editrice, pag. 1009). “Il pieno sviluppo del trinitarismo si ebbe in Occidente, con la Scolastica medievale, quando si tentò una spiegazione in termini filosofici e psicologici”. – Encyclopedia Americana, Vol. 27, pag. 117.
Gli scrittori ecclesiastici, a iniziare da Tertulliano, usarono tale parola. Il concetto di trinità non sorse dalla Scrittura ma seguì un processo inverso: prendendo a prestito il concetto da altre culture, non bibliche, si cercarono poi appoggi nella Bibbia. Una prova si pensò di trovarla nei versetti iniziali del Vangelo di Giovanni, in cui il logos (“parola”) di Dio fu erroneamente identificato con Yeshùa. Si veda al riguardo lo studio Il lògos (la parola): chi o cosa era?, nella sezione Yeshùa del sito. In ogni caso qui la trinità è esclusa, perché non si accenna neppure allo spirito santo di Dio.
Come articolo di fede, la trinità fu abbozzata per la prima volta al Concilio di Nicea, nel 325 ovvero quasi tre secoli dopo gli avvenimenti apostolici. Questo concilio fu convocato a causa di quella che è nota come “disputa ariana”. Tre filosofi e teologi di Alessandria d’Egitto (Ario, Alessandro e Atanasio) suscitarono un acceso dibattito. Ario sosteneva che Yeshùa fosse della stessa essenza o sostanza di Dio e che lo spirito santo fosse una persona, sebbene inferiore ai due, affermando che esistesse una triade o trinità (formata da persone non uguali e tra cui solo il Padre era increato); Alessandro e Atanasio sostenevano invece che le tre persone fossero della stessa sostanza e che quindi non fossero tre dèi ma uno solo, sebbene il Padre fosse il primo e la causa degli altri due. Ario accusò allora Atanasio di reintrodurre il politeismo perché considerava i tre come Dio e Atanasio accusò Ario di volerlo reintrodurre perché distingueva la natura divina delle tre persone. Tuttavia, il concilio di Nicea pose solo le basi per la teologia trinitaria; esso affermò solamente che Cristo era della stessa sostanza di Dio. Ma non stabilì la trinità: in questo concilio non ci si riferì allo spirito santo come terza persona di un Dio trino.
Secondo Ario, Yeshùa poteva essere chiamato Dio in modo improprio; per lui Yeshùa era la prima creatura di Dio, creatura simile ma non uguale a Dio, tratta dal nulla; per Ario “creare” e “generare” erano sinonimi. Sempre secondo Ario, è questa prima creatura che Dio avrebbe impiegato per creare tutto il resto. Questa idea è tuttora presente in alcune religioni quali gli Studenti Biblici di C. T. Russell, i Testimoni di Geova, la Chiesa del Regno di Dio.
Gli ortodossi opponevano invece l’idea dell’unità assoluta di Dio: il logos era per loro Dio, pur non essendoci una moltiplicazione di dèi; lo ritenevano sì generato, ma non in senso temporale (con un prima e un dopo) ma eternamente generato e perciò sempre insito in Dio. In un certo momento storico il logos si sarebbe incarnato divenendo Yeshùa. Siccome questa idea comportava l’unione della natura umana e divina in Yeshùa, ciò originò altre controversie che si protrassero nei secoli successivi.
L’imperatore pagano “Costantino stesso presiedette, guidando attivamente le discussioni, e propose personalmente . . . la formula cruciale che esprimeva la relazione fra Cristo e Dio nel simbolo formulato dal concilio, ‘consustanziale col Padre’ . . . Intimoriti dall’imperatore, i vescovi, con due sole eccezioni, firmarono il simbolo, molti fondamentalmente contro la loro volontà” (Encyclopædia Britannica, Chicago, 1971, Vol. 6, pag. 386). “Basilarmente Costantino non aveva la minima idea delle questioni sollevate dalla teologia greca”. – B. Lohse, A Short History of Christian Doctrine, Fortress Press, Filadelfia, 1980, pag. 51.
Con il Concilio di Nicea, la disputa ariana non ebbe termine. L’arianesimo (che considerava il logos una creatura simile ma non uguale a Dio) fu florido nell’Impero Romano. Anche le tribù germaniche invasori professarono l’arianesimo, diffondendolo in Europa e in Asia settentrionale.
Nel 381 fu convocato il Concilio di Costantinopoli e qui si definì che lo spirito santo era vero Dio. Il precedente credo di Nicea aveva definito che “Gesù è vero Dio” e recitava: “Credo . . . in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio unigenito, nato dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre”. Ora il credo affermava anche: “Credo . . . nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che dal Padre procede, che con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti”.
Nel 431 fu convocato il Concilio di Efeso. Qui si definì che “Gesù” era persona divina, la seconda della trinità, e Maria venne accolta come “madre di Dio”. Ciò zittiva Nestorio, vescovo siriano e patriarca di Costantinopoli, che sosteneva, biblicamente, che Yeshùa era solo una persona umana che aveva una volontà sua e pienamente conforme a quella del Padre. Per Nestorio, Maria era quindi solamente madre di Yeshùa e non certo madre di Dio.
Nel 451 si ebbe il Concilio di Calcedonia. Qui si definì che nel Figlio vi era una sola persona ovvero quella divina, con due nature distinte e non mischiate, la natura divina e la natura umana. Ciò zittiva Eutiche, archimandrita (priore) di un convento di Costantinopoli; costui è ritenuto il fondatore del monofisismo, la cui dottrina sostiene che in Yeshùa vi fossero una sola natura e una sola persona, quella divina.
Nel 533 fu convocato di nuovo un concilio a Costantinopoli, il secondo in questa città. Questa riunione ecumenica confermò e precisò quanto definito nel Concilio di Calcedonia.
Nel 680/681 si ebbe nuovamente un concilio a Costantinopoli, qui il terzo. Tale concilio definì che ciascuna delle due nature del Cristo possiede una volontà propria e un proprio modo di operare. Asserì comunque che la sua volontà umana è pienamente conforme a quella divina. Ciò si oppose al monotelismo, la dottrina che afferma che in Cristo esiste un’unica volontà o un’unica operatività, che era poi una forma mascherata del precedente monofisismo di Eutiche. Quest’ultima dottrina fu quindi dichiarata eretica dalla Chiesa Cattolica.
Quando nel 16° secolo ci fu lo scisma tra cattolici e protestanti, con la Riforma, la dottrina trinitaria non fu respinta dai protestanti ma accolta e conservata.
I trinitari ebbero il torto di separare la teologia dalla vicenda che concerneva la vita e l’opera di Yeshùa. In pratica, separarono lo studio teologico (la logica implicata nella metafisica della vicenda di Yeshùa e nella metafisica dell’azione di Dio) dal piano di salvezza (soteriologia) di Dio attuato in Yeshùa. In tale separazione i cappadociani orientarono la teologia in modo tale da separarla ancora di più dalla soteriologia (= studio della salvezza).
Da ciò sorse la teologia dello pseudo Dionigi (= falso Dionigi). Si tratta di uno scrittore, filosofo e teologo bizantino anonimo del 5°/6° secolo, che assunse lo pseudonimo di Dionigi Areopagita. Quest’anonimo, detto appunto pseudo o falso Dionigi, nei suoi scritti (apparsi fra il 531 e il 533), si presenta come l’ateniese del 1° secolo “Dionigi, membro dell’areopago” e dichiara di essere stato presente quando “Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areòpago” (At 17:22) fece il suo discorso. Questo Dionigi, invece di partecipare agli scherni degli ateniesi, si sarebbe convertito diventando poi vescovo di Atene. Solo nel 19° secolo si arrivò a stabilire che i suoi scritti non potevano essere attribuiti al Dionigi del 1° secolo. In essi, infatti, è presente il pensiero neoplatonico e quello dei cosiddetti padri cappadociani (in particolare di Gregorio di Nissa, del 4° secolo, dichiarato dai cattolici “dottore della Chiesa”). Tale anonimo era un neoplatonico che cercò di legittimarsi con l’autorevolezza che gli derivava dalla sua falsa identificazione con Dionigi. Basandosi sul neoplatonismo, che sostiene una gerarchia discendente da Dio agli angeli e fino ai gradi infimi della materia, sostenne in pratica la gerarchia cattolica. Gli scritti dello pseudo Dionigi sono ritenuti fonte autorevole dalla Chiesa Cattolica. Tali scritti però “segnarono una netta tendenza neoplatonica in un vasto segmento della dottrina” (The New Encyclopædia Britannica, Micropædia, Vol. 9, pag. 757). La tradizione cattolica secondo cui Dionigi Areopagita sarebbe stato consacrato vescovo di Atene dallo stesso Paolo, è pura leggenda. È vero che At 17:34 riposta che dopo il discorso di Paolo ad Atene “alcuni si unirono a lui e credettero; tra i quali anche Dionisio [Διονύσιος (Dionǘseos)] l’areopagita”, ma la Bibbia si limita a questa notizia, e di Dionisio nulla più è detto. La Chiesa Cattolica, tuttavia, l’ha proclamato santo e lo festeggia l’8 aprile.
Dalla svolta segnata dai cappadociani, sorse anche la teologia di Gregorio Palamas, un monaco, mistico e teologo bizantino vissuto nel 14° secolo e riconosciuto santo dalla Chiesa Cattolica. Gregorio era convinto che fosse impossibile conoscere Dio nella sua essenza (chi sia Dio in se stesso e per se stesso) ma riteneva possibile conoscerlo comprendendo cosa Dio fa. Nel suo primo Discorso sulla processione dello Spirito Santo, esprime quella che è la dottrina trinitaria dei cosiddetti padri greci. Nell’esprimere il mistero trinitario, non parte dall’essenza (o sostanza) ma dalle singole ipostasi. L’ipostasi (dal greco hypostasis, “sostanza”; da hypo, “sotto”, e stasis, “stare”) è un concetto della filosofia e della teologia (particolarmente neoplatonica); nella teologia “cristiana” il concetto ha un ruolo fondamentale nella formulazione della dottrina trinitaria, perché spiegherebbe i caratteri specifici di Padre, figlio e spirito santo, definiti come ipostasi (sostanza personale), posti a un livello paritario. Il termine ipostasi fu consacrato dal Concilio di Calcedonia nel 451, affermando l’esistenza di un’unica ipostasi-persona in “Gesù” che avrebbe avuto due nature, umana e divina. Gregorio Palamas sostenne che l’origine delle ipostasi non è impersonale, poiché si ricollega alla ipostasi del Padre, ma che non è neppure pensabile senza il possesso comune di una stessa essenza non divisa dei tre che la condividono.
Sebbene nelle nazioni latine d’occidente, nel periodo successivo al Concilio di Nicea (del 325), alcuni teologi (Ilario di Poitiers, Marcello d’Ancira) mantenessero il collegamento tra la divina ipostasi e la storia della salvezza, Agostino d’Ippona (filosofo e teologo del 4°/5° secolo, proclamato dottore e santo della Chiesa Cattolica) diede origine a un orientamento completamente nuovo. Per lui il riferimento non fu più alla preminenza del Padre ma la divina sostanza divisa equamente tra le tre persone. Invece di esplorare la teologia della rivelazione di Dio in Yeshùa e come Dio imprime il carattere divino ai suoi eletti, Agostino cercò tracce della presunta trinità nella presunta anima di ogni essere umano, allontanando l’indagine da ciò che conosciamo di Dio attraverso Yeshùa. I trinitari sembrano proprio destinati alla dottrina dell’anima, poiché cercano la divinità nell’anima. L’uomo interiore è per Agostino l’immagine di Dio e della trinità. Il delirio di essere come Dio fece soccombere già la prima donna, Eva, suggestionata dal maligno (Gn 3:1-5). Agostino asserisce: “L’uomo è fatto a immagine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo Spirito Santo, ma della stessa Trinità . . . Dio infatti non disse, rivolgendosi al Figlio: ‘Facciamo l’uomo a tua immagine’, oppure: ‘a immagine mia’, ma disse: a immagine e somiglianza nostra; da questa pluralità chi oserebbe separare lo Spirito Santo? Ma poiché questa pluralità non costituisce tre dèi ma un solo Dio, per questo dobbiamo comprendere che la Scrittura subito dopo soggiunse la frase al singolare e disse: E Dio fece l’uomo a immagine di Dio, […] come se dicesse: ‘a immagine sua’, cioè a immagine della stessa Trinità” (Agostino, Libro incompiuto sulla Genesi). Tutta la struttura teologica agostiniana è coinvolta nel neoplatonismo e nel misticismo. Non essendoci più l’idea del primato di Dio Padre, la trinità presuppone l’eguaglianza dei suoi tre membri. Quest’asserzione segue la falsa asserzione dell’eternità dei tre. I trinitari devono affermare prima la comune eternità per poter dopo sostenere la loro eguaglianza. L’unica cosa che non fu fraintesa fu il concetto della manifestazione della natura divina in ogni individuo, soprattutto nell’azione di Dio per mezzo del suo spirito santo che emana da lui attraverso Yeshùa. È Yeshùa che ha la possibilità di controllare e dirigere gli individui in accordo con la volontà di Dio che vive in ognuno degli eletti. Tuttavia, Yeshùa non è l’origine dello spirito santo, né tantomeno condivide con esso la deità al pari di Dio. Yeshùa è l’intermediario: “C’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1Tm 2:5). Yeshùa agisce come tramite di Dio ma non è Dio. I trinitari persero di vista questo concetto.
I teologi greci imposero la teologia del Dio trino. In tale teologia, che nulla ha a che fare con la Scrittura, si fraintende lo spirito santo, impedendo di comprendere le azioni che Dio compie impiegando il suo spirito. Questa scellerata teologia ha influenzato enormemente il modo di pregare dei cosiddetti cristiani. Non si può, infatti, riferirsi allo spirito santo come mezzo di adorazione di Dio, conformemente alla Bibbia (Flp 3:3), e nello stesso tempo considerarlo oggetto di adorazione, come fanno i trinitari. La Bibbia dice che lo spirito santo è dentro i credenti (Ef 5:18; cfr. At 2:4). Ora, come si può adorare qualcosa che è dentro di noi? È assurdo, per non dire narcisistico. Diventa adorazione di se stessi. In questo modo non si prega più soltanto il Padre nel nome del Figlio, adorando solo il Padre, come la Bibbia dispone (Mt 6:6,9; Lc 11:12). “I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4:23). I trinitari, in dispregio della norma biblica, pregano il Padre (unico Dio), il Figlio (uomo elevato al cielo) e lo spirito santo (forza impersonale). Yeshùa disse: “’Io vi assicuro che il Padre vi darà tutto quel che gli domanderete nel mio nome” (Gv 16:23, PdS). I trinitari, però, chiedono ‘nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’. Essi non pregano come Yeshùa ha insegnato ma a modo loro e non scritturale.
In seguito, gli scolastici svilupparono una metafisica della teologia stessa. Così la Bibbia fu ulteriormente manipolata. I trinitari non raccolgono mai insieme tutti i passi biblici che concernono un soggetto, ma sono selettivi; traducono e citano erroneamente altri testi; quelli che non possono alterare, li ignorarono. Hanno un sistema basato sul misticismo e sul platonismo.
Se si assume lo spirito santo come persona, si nega la sua azione come forza santa di Dio che fa diventare i fedeli “partecipi della natura di Dio” (2Pt 1:4, PdS). La menzogna si svela allora satanica, perché con la trinità si viene a rompere il nostro rapporto con Dio che è lo stesso che ha Yeshùa con Dio, impedendoci di farci diventare coeredi con il Cristo. Essere coeredi significa ereditare la stessa cosa. Come si può essere coeredi con qualcuno che sarebbe Dio stesso? Sarebbe impensabile. E assurdo, perché non si può essere insiemi eredi e coeredi di Dio. La Bibbia afferma: “Eredi di Dio e coeredi di Cristo”. – Rm 8:17.
Yeshùa è inferiore a Dio. Una delle manipolazioni che vengono fatte della Scrittura è quella che si trova nella Vulgata in Ap 5:12. Lo zampino trinitario di Girolamo appare quando – anziché tradurre: “L’Agnello che fu scannato è degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e gloria e benedizione” (TNM) – al posto di “ricchezza” – greco πλοῦτον (plùton) – Girolamo mette divinitatem, la stessa parola che usa in Col 2:9.
Diversamente dalla concezione trinitaria e dalle manipolazioni dei testi biblici, la Sacra Scrittura afferma l’eterna inferiorità e sottomissione di Yeshùa a Dio: “Quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. – 1Cor 15:28, CEI.
“Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15:28, CEI). A proposito di manipolazioni, non mancano i tentativi di tradurre ‘Dio sia tutto a tutti’ o ‘per tutti’. Così fa il prof. D. J. Louw, studioso di filosofia e teologia, che traduce il passo in questo modo: “God will be all for all” (A Mature Faith, Spiritual Direction and Anthropology in a Theology of Pastoral Care and Counseling, pag. 128). Così anche TNM: “Affinché Dio sia ogni cosa a tutti”, con una sorprendente nota in calce che recita: “O, ‘ogni cosa fra tutti’”. Il testo greco ha ἐν πᾶσιν (en pàsin), “in tutti”. Pare proprio che si voglia evitare il concetto, squisitamente biblico, che Dio renderà i fedeli “partecipi della natura di Dio” (2Pt 1:4, PdS). “Questo amore che sorpassa ogni conoscenza”, rende gli eletti “ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3:19). La “statura perfetta di Cristo” (Ef 4:13) è un’immagine di Dio (Ef 4:13). I fedeli diventano un’immagine di Dio come lo è Yeshùa, perché devono “essere anche glorificati con lui” (Rm 8:17). Tutto ciò viene prodotto da Dio tramite il suo spirito santo. Lo spirito santo è potenza e forza che ci mette in contatto diretto con Dio attraverso Yeshùa.
Il concetto di spirito santo come ipostasi di Dio è un concetto greco, non biblico. Senza lo spirito santo di Dio non si diventa figli di Dio.