La potenza attiva di Dio. Nella maggior parte dei casi, la Bibbia riferisce rùakh (רוח) e pnèuma (πνεῦμα) allo spirito di Dio, la sua forza attiva, il suo spirito che, appartenendo a lui, è santo. Tale “spirito” non è una persona, come pretende la dottrina trinitaria, ma la forza o energia impersonale che da Dio emana. L’idea non biblica di spirito come persona distinta fu definita solo nel 4° secolo e si trasformò poi in dogma ufficiale della Chiesa che ormai era lontanissima dagli insegnamenti originali del 1° secolo.
È interessante notare i passaggi storici. Nel 2° secolo Giustino Martire non attribuiva personalità allo spirito santo, ma insegnava che si trattava era una ‘influenza o modo di operare della Deità’; neppure il teologo Ippolito (pure del 2° secolo) attribuiva personalità allo spirito santo. Nella Bibbia, infatti, lo spirito santo non è una persona ma la potenza, la forza attiva di Dio, sua energia che è impersonale.
Nel 4° secolo ci fu il connubio tra il cosiddetto cristianesimo e il paganesimo romano, sotto l’imperatore Flavio Valerio Costantino. Fu nel 325 che a Nicea la dottrina della trinità pose le sue basi, argomentate da Atanasio in un Concilio che fu presieduto dallo stesso imperatore Costantino. È sempre nel quarto secolo che appare per la prima volta, nel trattato dal titolo Liber Apologeticus, la frase che è inserita nella Vetus Latina e nella Vulgata latina, conservata da Diodati, che dice: “Tre son quelli che testimoniano nel cielo: il Padre, e la Parola, e lo Spirito Santo; e questi tre sono una stessa cosa” (1Gv 5:7). Questa frase è totalmente assente dagli antichi manoscritti greci. Non compare più, infatti, nelle moderne versioni bibliche sia cattoliche sia protestanti, essendo stata ormai riconosciuta da tutti come spuria.
Diversi teologi, comunque, per trovare appoggi alla dottrina trinitaria, citano altri passi biblici nel vano tentativo di dimostrare che la forza attiva di Dio, lo spirito santo, sarebbe una persona. È il caso di vagliare questi passi.
Il paracleto, il “soccorritore”. Si legge in Gv 14: “Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore [παράκλητον (paràkleton)], perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità” (vv. 16,17), “Il Consolatore [παράκλητος (paràkletos)], lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (v. 26). La maiuscola iniziale di “Consolatore” (così come quelle di “Spirito” e di “Santo”) è messa dal traduttore; il greco non l’ha. I teologi trinitari fanno osservare che παράκλητος (paràkletos) è maschile e che il paracleto parla (insegna) e agisce (rammenta le cose) come una persona; è detto, infatti, che “testimonierà”. – Gv 15:26.
“È utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò. Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà”. – Gv 16:7-15.
Personificazione. Va detto che una lettura letterale di questo brano è ben lontana dalla mentalità biblica. Nella Bibbia, che rifugge dalle astrazioni, spesso si usano le personificazioni.
Si pensi alla sapienza che in Pr 1:20-33;8:1-36 parla e agisce come una persona. Non comprendendo la personificazione, leggendo ottusamente alla lettera, c’è chi perfino vi vede una presunta preesistenza di Yeshùa. Costoro ovviamente non tengono conto che in Pr 9:14-18 tocca alla stoltezza o follia, essere personificata, per cui questa siede in bella vista e chiama i passanti per attirarli a sé: parla e agisce come una donna. Stramente vengono applicati due pesi e due misure. La חָכְמָה (khocmàh), “sapienza”, è femminile e impersona quindi una donna. Anche la כְּסִילוּת (ksiylùt), “stoltezza/follia,” è femminile e impersona una donna: “La follia è una donna turbolenta” (Pr 9:13), frase che diventa per magia, guarda caso, “la donna stupida è tumultuosa” in TNM. In Mt 11:19, in cui si dice che “la sapienza è stata giustificata dalle sue opere”, di che altro si tratta se non di personificazione? In Lc 7:35 ha persino dei figli: “Alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli”.
Personificazioni sono anche quelle che troviamo in Rm 5 in cui è detto che “la morte regnò” (v. 14; cfr. v. 17) e che “il peccato regnò” (v. 21; cfr. 6:12). In Rm 7:8-11, poi, il peccato produce (v. 8) e prende vita (v. 9), il comandamento può vivificare e condannare (v. 10). Il peccato trae in inganno e uccide (v. 11), proprio come farebbe una persona. Si tratta di personificazioni che gli ebrei capivano perfettamente perché erano nel loro modo di pensare: i concetti astratti, gli ebrei li rendevano concreti. La personificazione però non implica l’assegnazione di una personalità propria alla cosa personalizzata. Se la sapienza è personificata da una donna, non ha però personalità sua come se esistesse davvero come entità personale. Così, anche peccato personificato non è un essere a sé stante, con una personalità sua propria.
Pronomi maschili. Data la personificazione dello spirito in “consolatore”, che in greco è maschile, che altri pronomi dovrebbe mai usare la Bibbia se non quelli maschili per farvi riferimento? Che ciò non costituisca nulla più che il rispetto della grammatica, è provato dai riferimenti allo “spirito” (πνεῦμα, pnèuma), che in greco è neutro, accordati ovviamente al neutro.
La mancanza di articolo determinativo. Dobbiamo invece notare un’altra particolarità. Il greco è una lingua molto precisa e fa un uso accurato dell’articolo determinativo. Per illustrare, citiamo Gv 1:1 che è tradotto: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio”. Questa frase, in italiano è perfetta (a parte la maiuscola di “parola”, assente nel greco), ma il greco è così preciso che davanti a “Dio” mette l’articolo determinativo: τὸν θεόν (ton theòn), “il Dio”, non lasciando dubbi che si sta parando del Dio di Israele, “il” Dio. Ora, se lo spirito santo fosse una persona, il greco lo identificherebbe con l’articolo determinativo, cosa che non fa. Purtroppo, nelle traduzioni questa importante particolarità si perde. Così, in At 6:3 si legge: “Sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza” (qui il traduttore mette la solita maiuscola a “spirito”, mancante nel testo biblico); nella frase, “spirito” non riceve l’articolo determinativo, che sarebbe richiesto se si volesse distinguerlo come persona. Invece si ha πλήρεις πνεύματος καὶ σοφίας (plèreis pnèumatos kài sofìas), “pieni di spirito e di sapienza”, equiparando – lo si noti – le due caratteristiche di spirito e sapienza, due qualità richieste ai sette uomini. Ora, si noti la scorrettezza del traduttore (condizionato dalla dottrina trinitaria) in At 8:15. Il testo originale della Bibbia dice:
προσηύξαντο περὶ αὐτῶν ὅπως λάβωσιν πνεῦμα ἅγιον
prosèǘcsanto perì autòn òpos làbosin pnèuma àghion
pregarono per loro affinché ricevessero spirito santo
Nella traduzione avvengono due modifiche che segnaliamo: “Pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo”; le solite maiuscole che il greco non ha e l’inserimento dell’articolo determinativo “lo” assente nel greco, tra l’altro inserito senza neppure porlo tra parentesi quadre. Ci sono molti di questi casi in cui le traduzioni cambiano il senso del testo biblico. Ne citiamo solo un’altra, come esempio: Rm 9:1:
συνμαρτυρούσης μοι τῆς συνειδήσεώς μου ἐν πνεύματι ἁγίῳ
sünmartürùses moi tes süneidèreòs mu en pnèumati aghìu
con-testimoniando con me la coscienza in spirito santo
Si noti ora la trasformazione del testo biblico genuino in queste traduzioni (NR, CEI, ND), in cui segnaliamo, evidenziandole con la sottolineatura, le modifiche:
“La mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo”
“La mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo”
“Me lo attesta la mia coscienza nello Spirito Santo”
“Battezzandoli nel nome . . . dello spirito santo” (Mt 28:19). In Mt 28:19 Yeshùa dà istruzioni sull’opera di insegnamento che i suoi discepoli dovranno compiere e alla fine dice: “Battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello spirito santo” (TNM). Questa formula, che appare trinitaria, è sospetta: manca, infatti, nei più antichi manoscritti. Il sospetto di un inserimento postumo è rafforzato dal fatto che, se la formula fosse genuina, i discepoli non vi ubbidirono. Infatti, in At 2:38 Pietro esorta che ciascuno sia battezzato solo “nel nome di Gesù Cristo”. In At 8:16 si riferisce che dei samaritani erano stati battezzati “battezzati nel nome del Signore Gesù” soltanto. In At 10:48 è detto che Pietro “comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo” solamente. In At 19:5, davanti a Paolo, alcuni discepoli efesini “furono battezzati nel nome del Signore Gesù” soltanto. Comunque, anche se la formula fosse genuina, non prova che lo spirito santo sia una persona. “In nome di” è un’espressione biblica che fa riferimento all’autorità citata. Tale autorità non è necessariamente una persona. Anche in italiano diciamo “in nome della buona educazione” o “in nome della legge”. Ben commenta il professor Archibald Thomas Robertson: “Quest’uso di nome (onoma) è comune nella Settanta e nei papiri nel senso di potere o autorità” (Word Pictures in the New Testament, 1930, vol. 1, pag. 245). Ammesso che la formula sia originale, il battesimo nel nome dello spirito santo indicherebbe quindi che è fatto anche con il potere della potenza di Dio, sant’energia divina che agisce sul credente quale strumento che Dio impiega.
Lo spirito santo che testimonia e attesta. I teologi trinitari si riferiscono anche ad alcuni passi biblici in cui si dice che lo spirito santo rende testimonianza e attesta. La loro tesi è che ciò indicherebbe che è una persona. In At 5:32 si legge: “Noi siamo testimoni di queste cose, e lo è anche lo spirito santo” (TNM). E in At 20:23: “Lo spirito santo ripetutamente mi rende testimonianza, dicendo che mi attendono legami e tribolazioni” (TNM); qui addirittura parla (“dicendo”). Leggere così alla lettera è un vizio che gli occidentali pare non riescano a perdere. Il linguaggio biblico va capito entrando nella mentalità semitica, non ragionando alla lettera con mentalità occidentale. Per capire, si prenda 1Gv 5:7,8: “Tre sono quelli che rendono testimonianza, lo spirito e l’acqua e il sangue, e i tre sono concordi” (TNM); qui anche l’acqua e il sangue rendono testimonianza, e nessuno obietta. In Gn 4:10 “la voce del sangue” grida; qui il sangue ha voce e urla, e nessuno obietta. Il sangue non ha voce propria, neppure l’acqua e l’ha. E neppure lo spirito santo. In Eb 3:7 “dice lo spirito santo” (TNM), ma poi chi dice è l’autore di Eb. In Eb 10:15 “lo spirito santo ci rende testimonianza”, “dopo aver detto”, ma poi è sempre l’agiografo che dice. Così, nel caso di alcuni efesini, quando “lo spirito santo venne su di loro”, furono loro che “parlavano in lingue e profetizzavano” (At 19:2, TNM). Stessa cosa in At 21:4, quando alcuni discepoli “per mezzo dello spirito essi dissero ripetutamente a Paolo di non mettere piede a Gerusalemme” (TNM). Così anche in At 28:25: “Lo spirito santo parlò appropriatamente ai vostri antenati per mezzo del profeta Isaia” (TNM). Questo modo concreto di esprimersi è proprio della mentalità semitica che troviamo nella Scrittura. Così, in Sl 95:8 leggiamo: “Oggi, se udite la sua [di Dio] voce, non indurite il vostro cuore”, sebbene ovviamente quegli ebrei non potessero davvero letteralmente udire la voce divina. Quando, con il suo linguaggio concreto, la Bibbia dice che lo spirito santo parla, dovrebbe essere del tutto ovvio che è Dio che, per mezzo della sua santa forza attiva (lo spirito santo), comunica il suo proposito alla mente delle persone.