La Bibbia inizia con queste parole: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra. La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”. – Gn 1:1,2.
Origène – teologo “cristiano”, filosofo e scrittore greco nato ad Alessandria d’Egitto nel 185 e morto a Tiro nel 254 – scrisse: “Se un manicheo ti viene a dire che la materia preesisteva oppure te lo dice Marcione o Valentino o un pagano, rispondi loro: ‘In principio Dio creò il cielo e la terra’, quindi anche la materia e non solo lo spirito” (Origène, Omelia 11 su Gn 1 n. 3 P 4 53,25-30). Il manicheismo credeva in un dio malvagio creatore della materia cosmica. Agostino – filosofo e teologo latino vissuto dal 354 al 430, vescovo fatto “santo” e “dottore” dalla Chiesa cattolica – così pregava: “Tu, Signore, facesti il mondo dalla materia informe, quel quasi niente che facesti dal nulla, per trarne poi cose che noi, figli degli uomini, ammiriamo”. – Agostino, Confessioni 22.8.
Qui vogliamo esaminare se questo ragionamento, accolto sia da Origène che da Agostino, sia valido e corrisponda al pensiero biblico oppure se lasci alquanto a desiderare e introduca degli elementi extrabiblici.
Innanzitutto vediamo bene il testo biblico, avvalendoci di una traduzione letterale:
“In principio Dio creò i cieli e la terra. Ora la terra risultò essere informe e vuota e c’erano tenebre sulla superficie delle acque dell’abisso [תְהֹום (tehòm)]; e la forza attiva di Dio si muoveva sulla superficie delle acque”. – Gn 1:1,2, TNM.
Per maggior precisione specifichiamo che la Bibbia non dice “informe e vuota”, ma “desolazione e deserto” (תֹהוּ וָבֹהוּ, tòhu vavòhu) e che l’espressione tradotta “la forza attiva di Dio” è nell’ebraico “vento di Do” (רוּחַ אֱלֹהִים, rùakh elohìm).
Alcuni esegeti hanno pensato che, nel primo versetto, “i cieli e la terra” riguardino la creazione dal nulla della materia primordiale su cui Dio avrebbe poi operato nei sei giorni della creazione descritti in 1:3-31. Tale idea sarebbe suggerita dalle parole tòhu vavòhu (תֹהוּ וָבֹהו) del v. 2: una allitterazione, dicono tali esegeti, indicante una massa caotica. Ciò lo pensava anche il rabbino Cassuto che scrisse: “Questa terra, il mondo inferiore su cui noi viviamo, era allora differente da quello di oggi. Dio, quando la creò, la creò gradualmente. Come un figulo [= vasaio] che iniziando la formazione di un ben congegnato vaso prende prima una massa d’argilla e la depone sul suo tavolo girevole per poi lavorarla con le sue mani, così il Creatore prepara prima questo mondo inferiore, terra e mare, come una massa caotica, per infondervi ordine e vita” (U. Cassuto, La creazione del mondo nella Genesi). Anche T. R. Dussaud scrisse: “En effet la terre n’existait pas; elle se confondait avec les eaux d’où elle sera tirée plus tard (v. 9). Nous traduisons donc : ‘Un magma informe’” (T. R. Dussaud, in Revue de l’Histoire des Religions, 1928, pag 128). Questa ipotesi era già stata sostenuta da alcuni scrittori antichi, come G. Crisostomo, Basilio, G. Nisseno e T. d’Aquino.
Contro tale ipotesi va notato che il tòhu vavòhu (תֹהוּ וָבֹהו) non significa affatto lo stato caotico della materia informe. L’abbinamento dei vocaboli si trova altre due volte nelle Scritture Ebraiche.
In Ger 4:23 descrive lo stato in cui per punizione divina sarebbe stata ridotta la terra di Canaan:
“Io guardo la terra, ed ecco è desolata e deserta [תֹהוּ וָבֹהוּ (tòhu vavòhu), “desolazione e deserto”];
i cieli sono senza luce”.
Isaia applica tale frase ad Edom, punito da Dio:
“I torrenti di Edom saranno mutati in pece e la sua polvere in zolfo; la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo ne salirà per sempre; di età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più. Il pellicano e il porcospino ne prenderanno possesso, la civetta e il corvo vi abiteranno; il Signore vi stenderà la corda della desolazione [תֹהו (tòhu)], il livello del deserto [בֹהו (vòhu)].” – Is 34:9-11.
Ciò corrisponde all’etimologia dei due vocaboli. Tòhu (תֹהו), “desolazione”, ricorre 17 volte nella Bibbia e indica un luogo privo di vegetazione (cfr. Gb 12:24 e sgg.; Dt 32:10). Vòhu (בֹהו), “deserto”, ricollegabile all’arabo bahija, suggerisce una casa priva di mobilio.
Perché mai dare al tòhu vavòhu (תֹהוּ וָבֹהו) del secondo versetto genesiaco il senso di magma informe, composto da territorio e acqua che altrove nella Bibbia non ha mai?
Già questo, di per sé, dovrebbe escludere l’idea di una materia primordiale su cui Dio avrebbe operato. Comunque, anche il contesto biblico favorisce questa interpretazione, dato che presenta la terra creata da Dio non nel terzo giorno, ma solo fatta apparire rimuovendo l’acqua che la ricopriva. La successiva creazione sarebbe consistita nel toglierne l’aspetto desertico con la comparsa della vegetazione (terzo giorno, vv. 9-13) e la sua desolazione con la formazione della fauna e dell’essere umano (quinto e sesto giorno, vv. 20-27).
Anche il salmista presenta la terra già bell’e formata, con monti e valli, ma sommersa dalle acque:
“Egli ha fondato la terra sulle sue basi:
essa non vacillerà mai.
Tu l’avevi coperta dell’oceano come d’una veste,
le acque si erano fermate sui monti.
Alla tua minaccia esse si ritirarono,
al fragore del tuo tuono fuggirono spaventate,
scavalcarono i monti, discesero per le vallate
fino al luogo che tu avevi fissato per loro”. – Sl 104:5-8.
Si capisce meglio in tal caso come l’inondazione delle acque diluviali faccia piombare la terra nella situazione primordiale, per cui si debba passare ad una nuova creazione. – Cfr. Gn 8:13-9:17; 2Pt 3:5.
Non vi è alcun motivo di intendere le parole “cieli e terra” per primo versetto in modo diverso dall’usuale. Esse indicano proprio il cielo, oggi visibile, e la terra da noi calpestata, cielo e terra che furono creati nell’opera divina. Essi sono richiamati alla fine del racconto della creazione quando si dice: “Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro [ovvero con tutti i loro elementi mobili]” (Gn 2:1). Proprio come questo versetto – Gn 2:1 – allude alla creazione dei sei giorni, così deve dirsi anche del cielo e della terra del primo versetto: riguarda la formazione del nostro mondo visibile e non la creazione di una materia informe.
Sarebbe poi oltremodo strano che Dio, che fa ogni cosa per bene, avesse creato prima una materia caotica e informe anziché formare direttamente ogni cosa ben modellata. Sarebbe davvero strano un primo tentativo mal riuscito su cui Dio dovesse poi intervenire per metterlo a posto. E poi, anche volendo ammettere non un tentativo mal riuscito, ma una creazione volutamente caotica, perché mai Dio avrebbe dovuto operare in due tempi? Che senso avrebbe avuto creare prima il caos per poi metterlo in ordine? A questa conclusione arriviamo con il semplice buon senso. E la Bibbia la conferma, dato che in Is 45:18 si attesta:
“Così dice il Signore,
che ha creato i cieli;
egli, il Dio che ha plasmato
e fatto la terra e l’ha resa stabile
e l’ha creata non come orrida regione [לֹא־תֹהוּ (lo-tòhu), “non-desolazione”]”. – CEI.
Questa intuizione l’ebbe già H. Renckens che scrisse: “Ci sembra che non ci sia un unico testo in cui l’aurore voglia dire che Dio abbia creato il caos, e tanto meno lo vuol dire al v. 1. Dio ha creato quello che ora esiste e la creazione di Dio ha come risultato il bene e l’ordine (cfr. Is 45,18). Per questa ragione il v. 2 non è la spiegazione del v. 1”. – H. Rencksens, Preistoria e storia della salvezza.
Come spiegare il tòhu vavòhu (תֹהוּ וָבֹהו) di Gn 1:2 sarà trattato nella lezione successiva, la n. 556, intitolata La terra informe e vuota di Gn 1:2.
Non creazione dal nulla
La prima parola della Scrittura è בְּרֵאשִׁית (bereshìt), composta dalla preposizione בְּ (be), “in” – che in ebraico si pone come prefisso -, e dalla parola רֵאשִׁית (reshìt), “inizio/principio”. La traduzione è quella che leggiamo nelle nostre Bibbie: “In principio” (Gn 1:1) o – se vogliamo dirlo in un italiano più attuale – “all’inizio”. Gli esegeti danno due interpretazioni di questa espressione.
- Senso relativo. Alcuni esegeti uniscono il versetto 1 di Gn 1 al v. 2 o al v. 3.
a) Se si unisce il primo versetto al secondo si ottiene la seguente traduzione: “All’inizio del creare di Dio il cielo e la terra, la terra era desertica e vuota”. La Bibbia metterebbe così in rilievo la situazione del cosmo prima della creazione.
b) Altri esegeti, collegando il v. 1 al 3, considerano il verso 2 una parentesi e ottengono la seguente traduzione: “All’inizio del creare di Dio il cielo e la terra (la terra era desertica e vuota), Dio disse: Sia fatta luce”. Questa traduzione fu proposta da rabbi Rashi, il famoso commentatore ebreo della Genesi, morto nel 1105. Questa traduzione ha il merito di mettere in evidenza la parola creatrice di Dio.
Il senso relativo è suggerito dal fatto che la parola בְּרֵאשִׁית (bereshìt) manca dell’articolo determinativo (se ci fosse sarebbe bareshìt), segno che la frase non sarebbe da prendersi in forma assoluta a sé stante, ma da ricollegarsi con un’altra. In tal caso bisognerebbe però mutare il verbo בָּרָא (barà), che è un passato e viene tradotto “creò”, leggendolo berò (in ebraico le vocali non si scrivono, ma vengono aggiunte dal lettore) che è un infinito. Tale modifica non creerebbe difficoltà, dato che fino all’8° secolo della nostra èra le vocali non erano scritte, mentre ben fisse stavano le consonanti, che in questo caso rimarrebbero identiche. Infatti, ברא (br; la א, àlef, non ha suono riproducibile con una lettera latina) può leggersi sia barà (“creò”) che berò (“creare”). La traduzione del v. 1 in senso relativo esclude evidentemente la creazione dal nulla, in quanto affermerebbe espressamente la situazione del cosmo prima dell’attività creatrice di Dio.
2. Frase a sé stante. Che il primo versetto genesiaco vada inteso come una frase in sé completa appare da molte ragioni:
a) In Gn 2:1 la frase “così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro” richiama il primo versetto genesiaco: “Dio creò i cieli e la terra”, per cui i due versetti includono tutta l’opera creatrice di Dio. Siccome al cap. 2 la frase è assoluta e a sé stante, sembra logico che lo debba essere anche il primo versetto genesiaco che vi si ricollega. Si ha qui la grande ripartizione del cosmo come si pensava allora, ovvero in “cieli” (la sua parte superiore) e “terra” (la sua parte inferiore), riservata agli animali e all’essere umano che li domina. Ciò si legge in Sl 115:16: “I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra l’ha data agli uomini”. Talora il cosmo veniva chiamato “il tutto” (הַכֹּל, hakòl), come in Ger 10:16. “Egli ha formato il tutto [הַכֹּל (hakòl)]” (traduzione dall’ebraico) e come in Ec 11:5: “L’opera di Dio che fa il tutto”. Sbaglia completamente TNM che traduce “egli è il Formatore di tutto” e “che fa ogni cosa”. L’ebraico ha כֹּל (kol) preceduto dall’articolo determinativo: הַכֹּל (hakòl), “il tutto”. In più, in Ec, si ha אֶת־הַכֹּל (et-hakòl): אֶת (et) indica il complemento oggetto di parole specifiche e non generiche, quindi non “tutto” nel senso di ogni cosa, ma “il tutto”. Comunque, è più comune la duplice ripartizione in “cieli” e “terra”.
b) Anziché cambiare il barà (“creò”) in berò (“creare”), sarebbe preferibile introdurre l’articolo determinativo הַ (ha) nella parola בְּרֵאשִׁית (bereshìt) e leggerla bareshìt, “nel principio”, senza modificare le consonanti. Sappiamo che le vocali non erano scritte prima dell’8° secolo, per cui sarebbe possibile. È da notare che tale modifica non sarebbe del tutto capricciosa perché si trova attestata nel Pentateuco samaritano e nei frammenti della seconda colonna dell’Esapla di Origène in cui l’ebraico, scritto con caratteri greci (che le vocali le ha), si presenta in due forme fluttuanti: bareshìt o bareshèt, entrambi con l’articolo (cfr. Field, Origenis Hexaplorum quae supersunt, 1875; P. A. de Lagarde, Ankündigung einer neuen Ausgabe der griech Uebersetzung des A. T., 1882; Kittel, Genesis 2, Stuttgart, 1969; Salvoni-Rossi, Il romanzo della Bibbia, Facoltà Biblica, Milano, 1982). Tuttavia, anche nel caso in cui il primo versetto genesiaco si consideri una frase a sé stante (come sarebbe preferibile) e si traduca “in principio Dio creò i cieli e la terra”, questo non può servire da sostegno per la creazione dal nulla.
3. Creazione da materia preesistente.
a) Il verbo “creare” (ebraico ברא, barà) non ha il senso filosofico moderno di “trarre dal nulla”. Il verbo è riservato ad una azione divina, impossibile per l’uomo, come la comparsa delle cose più importanti quali i cieli e la terra (Gn 1:1), i grandi cetacei (Gn 1:21) e l’essere umano (Gn 1:27). Il verbo barà non indica tuttavia la creazione dal nulla, perché non di rado è in parallelismo con il verbo “fare” (עשות, asòt): “Facciamo l’uomo a nostra immagine” di Gn 1:26 corrisponde a “Dio creò l’uomo a sua immagine” del versetto successivo (Gn 1:27). Così anche in Gn 2:3: “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta”. Non di rado nel racconto della creazione si specifica l’elemento da cui sono tratti alcuni esseri creati: dall’acqua vengono i grandi cetacei marini creati da Dio (Gn 1:21; cfr. 1:20 con 1:24), dalla terra gli animali (Gn 1:24) e anche l’uomo plasmato con la polvere della terra (Gn 1:27). Da notare che il redattore finale di Gn non vi trovò contraddizione. Di certo non è creata dal nulla Israele: “Io sono il Signore, vostro Santo, il creatore di Israele” (Is 43:15). Di certo non è creata dal nulla Gerusalemme: “Io creo Gerusalemme” (Is 65:18). E di certo non sono creati dal nulla i cedri dell’epoca messianica: “Il Santo di Israele ne è il creatore”. – Is 41:20.
b) Il semita rifuggiva dal concetto filosofico del nulla: per lui tutto era concretezza e realtà. Per l’ebreo neppure le tenebre erano mancanza di luce, ma qualcosa di concreto simile a densa caligine: “La caligine delle tenebre” (2Pt 2:17). Come vi è la dimora della luce, vi è la dimora delle tenebre, per cui il poeta può domandare: “Dov’è la via che guida al soggiorno della luce? Le tenebre dove hanno la loro sede?” (Gb 26:10). E Dio dice: “Io formo la luce, creo le tenebre” (Is 45:7). Nel primo capitolo di Gn le tenebre erano già preesistenti, come del resto la luce che non viene creata ma fatta venire in mezzo alle tenebre da un luogo dove già esisteva: “’Si faccia luce’. Quindi si fece luce”. – Gn 1:3, TNM.
c) La materia primordiale preesistente su cui si svolse l’opera divina della creazione sarebbe indicata chiaramente in Gn 1:2: “La terra era desolazione e deserto [תֹהוּ וָבֹהוּ (tòhu vavòhu)]”. L’elemento fondamentale su cui opera il Creatore è dato dall’acqua che viene chiamata “abisso” (תְהֹום, tehòm) e anche “acque” (מָּיִם, màym), come appare dal parallelismo tra questi due vocaboli in Gn 1:2: “Le tenebre coprivano la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”. In mezzo alle acque si trovava sommersa, già bell’e pronta, la terra. L’“abisso” acquoso (תְהֹום, tehòm) sta in basso e si oppone al “firmamento” (רָקִיעַ, raqià) che sta in alto, formando i due poli opposti tra loro e irraggiungibili dagli esseri umani: “Questa sia la lettera d’addio, a meno che [situazione impossibile] tu salga sul firmamento [רָקִיעַ (raqià)] o scenda nell’abisso [תְהֹום (tehòm)] o tu percorra a piedi il grande mare” (Sifre 1,126). Simile a questo documento ebraico con cui un marito ripudiava la moglie, è Sl 139:7,8, in cui al posto di רָקִיעַ (raqià) c’è “cielo” e al posto di תְהֹום (tehòm) c’è “soggiorno dei morti”: “Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là”. I fluidi, in ebraico, sono di genere maschile, mentre תְהֹום (tehòm), “abisso”, è di genere femminile. E poi questa parola non è mai usata con l’articolo determinativo, il che fa supporre che almeno all’origine era sentita come nome proprio femminile. Nasce spontaneo il richiamo alla dea sumera Tiamat accolta degli assiro-babilonesi, che rappresentava il complesso delle acque salse oppostesi alla creazione da parte del dio Marduk. I nomi sono identici; le consonanti – le uniche che contino – sono uguali in thm (תְהֹום, tehòm) e in Tiamat (lo ia di Tiamat è un modo per indicare l’h – ה – degli ebrei); il t finale di Tiamat è solo desinenza accadica del femminile. Questa identificazione non è fantasiosa: essa è garantita dai dizionari bilingue rinvenuti a Ebla, in Siria, in cui la dea Tiamat è identificata con תְהֹום (tehòm). Non solo i nomi, ma anche la sostanza è identica: in entrambi i casi indicano il complesso primordiale delle acque. La creazione, anche per i babilonesi e i sumeri (regione mesopotamica) avviene con la divisione in due parti della carcassa di Tiamat, la dea dell’abisso acquoso, vinta dal dio Marduk (si vedano i testi in ANET 63 e sgg.). Tutto ciò non deve scandalizzare il semplice. Nonostante questo legame etimologico, nella Scrittura è scomparso ogni legame mitico. Nella Bibbia la תְהֹום (tehòm) non è la potenza antidivina opposta alla creazione, ma è un semplice elemento cosmico primordiale in tutto sottomesso a Dio e ubbidiente ai suoi ordini. Forse per la sua origine mitica, la parola תְהֹום (tehòm) è poco usata nella Scrittura, dove indica la profondità dell’oceano sotterraneo da cui sgorgano le sorgenti e i fiumi: “Tutte le fonti del grande abisso eruppero” (Gn 7:11). Dato il collegamento con la malvagia dea Tiamat della Mesopotamia, si capisce come nella Bibbia le acque marine siano sentite come qualcosa di malvagio. È dalle acque marine, infatti, che sorgono gli esseri maligni di Ap 13:1; queste sono destinate a scomparire nella nuova creazione escatologica in cui “il mare” non c’è più (Ap 21:1). Su questi elementi Dio lavorò: le tenebre sono confinate nella notte, mentre nelle ore diurne sono sostituite dalla luce (Gn 1:3-5); le acque della תְהֹום (tehòm) sono divise in due parti, la superiore e l’inferiore, separate dal firmamento (Gn 1:6,7). Con la riunione delle acque inferiori nei mari appare la terra: “’Appaia l’asciutto’. E così fu. Dio chiamò l’asciutto terra” (Gn 1:9,10). Dalle acque inferiori Dio trae i pesci e gli uccelli del cielo (Gn 1:20,21). La creazione di Dio non è quindi una pura creazione dal nulla, ma si svolge su materia preesistente.
Insegnamenti di questo brano
Questo brano della Scrittura esalta l’unicità del Dio d’Israele che crea l’universo con la sua parola creatrice.
- Monoteismo, non politeismo. Il dio creatore babilonese per uccidere il mostro Tiamat e formare l’universo in modo assai simile a quello biblico, ha bisogno di ricevere forza da tutti gli altri dèi che non osavano, per paura, affrontare la dea primordiale. La tavola IV del poema Enuma Elish (foto), nel descrivere l’intronizzazione del dio Marduk, è quanto mai significativa al riguardo. Nella Bibbia, invece, l’unico vero Dio non ha alcun avversario che gli si opponga e non ha bisogno dell’aiuto di altri: con il suo “spirito” entra in azione, parla e crea. In ebraico la parola “Dio” ha la forma plurale אֱלֹהִים (elohìm), per cui può indicare i vari dèi pagani, ma in tal caso ha quasi sempre l’aggiunta dell’aggettivo “stranieri” (Gn 35:2,4). Tuttavia, la forma plurale può essere usata anche per un solo dio, come Kamosh (Gdc 11:24), Dagon (1Sam 5:7), Astoret (Gdc 2:13), il vitello d’oro (Es 32:4). La forma singolare elohà (אֱלֹהַ), di uso esclusivamente poetico (cfr. Sl 18:6), non è adoperata nella prosa. Pare che il termine si riallacci alla radice אל (el) con il senso di “potente” (cfr Sl 10:12;16:1;17:6, in cui compare el, אֵל, “Dio”) o, meglio, al pronome dimostrativo הוּא (hu) con il senso di “quello [di lassù]”. L’uso del plurale per il singolare era comune anche presso altri popoli. Il dio fenicio Nergal è detto ilìm (”dèi”); il dio detto “il Signore dell’Egitto” riceve nella leggenda di Danel la forma plurale “dèi”; nel trattato tra Subbililiuma, re degli ittiti, e Mattiwaza, re dei mitanni, ogni singolo dio invocato riceve il qualificativo di “nostri dèi”; nelle lettere di El Amarna anche il faraone egizio viene chiamato ilani (“nostri dèi”). Pur essendo gli antenati di Abraamo politeisti (Gs 24:2), nella Scrittura Elohìm (אֱלֹהִים), riferito al Dio d’Israele, presuppone sempre il monoteismo più assoluto. Con il plurale la Bibbia vuol solo insegnare che tutta la pienezza della divinità, distribuita tra i veri dèi pagani, si concentra nel Dio creatore di Israele. Non di rado il nome Elohìm (אֱלֹהִים) riceve anche l’articolo determinativo הָ (ha), come in Gn 5:22 in cui compare הָאֱלֹהִים (haelohìm), reso stranamente da TNM con “il [vero] Dio”; qui si tratta di “il Dio” nel senso di Dio per eccellenza. Anche nella Bibbia greca accade lo stesso: “La parola era presso il Dio [ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν; traduzione dal greco]. Per questo motivo a Elohìm (אֱלֹהִים), nonostante la sua forma plurale, si accompagna sempre il verbo al singolare: “Nel principio Dio [אֱלֹהִים, (elohìm), “dèi”] creò [בָּרָא, (barà); terza persona singolare] i cieli e la terra” (Gn 1:1). I casi, eccezionali, in cui il verbo è al plurale, si hanno nelle frasi deliberative, come “facciamo l’uomo a nostra immagine” (Gn 1:26), quasi che Dio voglia discutere con se stesso sul da farsi oppure con la corte celeste. Di fatto, subito dopo si descrive la creazione dell’uomo con il singolare. Sbaglia, e tanto, il direttivo di Brooklyn dei Testimoni di Geova, che interpreta così: “Geova si stava evidentemente rivolgendo al Suo unigenito Figlio e artefice” (Perspicacia nello studio delle Scritture, Vol. 1, pag. 593); “Il verbo “fare” (ebr. `asàh) non ha lo stesso significato del verbo “creare” (ebr. barà´)” (Ibidem, Vol. 2, pag. 1048). Questa fantasiosa e assurda ipotesi è smentita dalla Scrittura stessa: “Dio creava l’uomo a sua immagine” (Gn 1:27, TNM ): si noti che è Dio che crea e lo fa da solo (verbo al singolare).
- L’azione dello spirito divino. Senza alcun accenno a lotte titaniche, Dio agisce mediante il suo “spirito” (רוּחַ, rùakh) che si librava “sulla superficie delle acque”. – Gn 1:2.
a) La parola רוּחַ (rùakh), femminile, può indicare il “vento”: “Dio fece passare un vento [רוּחַ (rùakh)] sulla terra” (Gn 8:1). Con l’aggiunta “di Dio” – come qui in Gn 1:2 (“lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”) – può assumere il senso di “vento fortissimo”, in quanto la Bibbia si serve del nome divino come superlativo. È un po’ come nell’italiano la parola “ira di Dio”, che significa un grandissimo furore. Così, i “monti di Dio” di Sl 36:6 (TNM) sono “le montagne più alte” (NR). Il re della Babilonia che vuole porre il suo trono “al di sopra delle stelle di Dio” (Is 14:13) intende dire, nel nostro linguaggio occidentale odierno, al di sopra degli astri più elevati. “I cedri di Dio” di Sl 80:10 (TNM) sono “cedri altissimi” (NR) che svettano maestosi. Tuttavia, nel caso di un vento impetuoso la Bibbia usa aggiungere alla parola רוּחַ (rùakh) l’aggettivo סְעָרָה (searàh) – e non אֱלֹהִים רוּחַ (rùakh elohìm) – come in Sl 107:25: “Fa sorgere un vento [רוּחַ (rùakh)] tempestoso [סְעָרָה (searàh)]” (TNM). Tale vento, più che per creare serve a distruggere: “L’erba si secca, il fiore appassisce quando il soffio [רוּחַ (rùakh)] del Signore vi passa sopra” (Is 40:7). Il contesto genesiaco riguarda invece la creazione, non la distruzione. Non si può applicare il primo capitolo di Gn al mito di Marduk, dio della Babilonia, che uccide il mostro Tiamat scagliando nella sua gola spalancata i quattro venti terrestri e gonfiandone il ventre fino a farlo scoppiare, spaccandolo in due. Nel racconto biblico la rùakh di Dio entra in azione con la parola.
b) Anche il participio verbale מְרַחֶפֶת (merakhèfet), che denota l’azione della rùakh divina, non indica mai lo sconvolgimento o il soffiare in modo forte: “La rùakh di Dio aleggiante [מְרַחֶפֶת (merakhèfet)] sulla superficie delle acque” (Gn 1:2; traduzione dall’ebraico). Lo stesso verbo רחפ (rakhàf), di cui מְרַחֶפֶת (merakhèfet) è participio, si usa per il librarsi dell’aquila che volteggia sui suoi piccini per incitarli al volo (Dt 32:11). Tale idea forse si ritrova anche in Lc 3:22 dove si parla dello “spirito santo in forma corporea come una colomba” (TNM) che volteggia su Yeshùa prima di posarsi su di lui. La rùakh simboleggia la presenza di Dio, come avveniva per “la brezza” vespertina che spirava nell’Eden (Gn 3:8, TNM); qui non si tratta della “voce” (TNM) di Dio, ma del “suono/rumore” (ebraico קֹול, qol) di Dio (cfr. 1Re 19:11-13). È anche l’alito vitale (רוּחַ, rùakh) immesso da Dio nelle “narici” che fa vivere gli esseri (Gb 27:3): “[Dio] gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente” (Gn 2:7). Da qui il legame sempre stretto tra spirito e vento (Gv 3:8), tra spirito e parola. Gli orientali, amanti della concretezza, rifuggono dal pensiero astratto e ricoprono con elementi sensibili le idee teoriche. I greci, invece, dediti alla speculazione intellettuale, identificano la rùakh con “il principio immateriale vivificante” (cfr. Filone, De opificio mundi, 8,30 e sgg.). Il senso di “alito” (= “soffio vitale”) si accorda meglio con il rito usato da Eliseo per resuscitare il figlio della sunamita: coricatosi sopra il cadavere, gli alita in bocca il proprio alito quasi a trasmettergli il suo soffio vitale (2Re 4:34). Noi parliamo perché abbiamo il fiato, Dio parla e ha un soffio così potente da attuare quel che dice: “I cieli furono fatti dalla parola del Signore, e il tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca”. – Sl 33:6.
Il libro di Gn non esclude né insegna esplicitamente la creazione dal nulla. Non parte dallo stadio iniziale, quando nulla ancora esisteva, ma – presupponendo l’esistenza di un materiale cosmico primitivo (la tehòm, l’“abisso” acquoso, e la terra) – racconta come da esso Dio, con sapienza e potenza, abbia tratto l’attuale mondo visibile e utile al genere umano.
Lo stesso concetto appare anche in molti altri libri biblici che espressamente non parlano di creazione dal nulla.
Secondo il libro biblico di Pr la sapienza fu posseduta da Dio sin dall’inizio degli atti divini:
“Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi atti,
prima di fare alcuna delle sue opere più antiche.
Fui stabilita fin dall’eternità,
dal principio, prima che la terra fosse.
Fui generata quando non c’erano ancora abissi,
quando ancora non c’erano sorgenti rigurgitanti d’acqua”.
– Pr 8:22-24.
È del tutto sviante la nota in calce che TNM mette al v. 22: “Mi produsse”: ebr. qanàni” (il grassetto è loro); ha il solo evidente scopo di far credere che l’ebraico קָנָנִי (qanàny) significhi “mi produsse” (TNM sostiene, contrariamente ai dati biblici, che la “sapienza” sarebbe Yeshùa preesistente come creatura spirituale). Il verbo קנה (qanà) significa possedere. Sempre in Pr (19:8) si legge che “chi possiede [קֹנֶה (qonèh); verbo קנה (qanà)] senno ama se stesso” (traduzione dall’ebraico). Perché qui TNM non traduce, per essere coerente, “chi produce” anziché “chi acquista”? Il senso di possedere come proprietario è evidente in Is 1:3. “Il bue conosce il suo possessore [קֹנֵהוּ, (qonèhu)]”. Qui, TNM, sempre per coerenza, dovrebbe tradurre “il suo produttore”.
Il prologo giovanneo, in Gv 1:1-3, non chiarisce la questione. Vi si legge: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta”. Qui si parla della parola creatrice di Dio con cui ebbe luogo la creazione (Sl 33:6). Ma il passo giovanneo si riferisce alla creazione dei sei giorni o all’inizio assoluto?
Lo stesso concetto è presentato da Eb 11:3: “Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio”.
In conclusione, la creazione avvenne dal nulla oppure da una materia primordiale preesistente? Per il pensiero ebraico del tempo come lo abbiamo esaminato, venne da materia preesistente. Come già detto, gli ebrei non amavano le astrazioni. E cosa c’è di più astratto del nulla? Verrebbe da dire: nulla! La verità è che ancora oggi, nel terzo millennio, non è così semplice definire il nulla. Molti filosofi sostengono che l’idea di nulla è una reificazione con cui si considera reale ciò che è astratto; altri filosofi sostengono che il nulla è in realtà l’assenza o la mancanza di qualcosa, piuttosto che di tutto. Va detto che la definizione del nulla varia enormemente a seconda delle culture, specialmente tra le culture occidentali e orientali. Gli ebrei, orientali, si posero il problema solo quando il pensiero biblico incontrò quello greco. E la conclusione fu che Dio creò ogni cosa dal nulla, vale a dire per suo puro volere senza alcuna materia preesistente.
Questo dato teologico – va detto – non si oppone al pensiero biblico, perché non fa altro che esplicitare ciò che Gn insegna. La Bibbia, pur parlando di materiale preesistente (conformemente alla mentalità ebraica del tempo, appresa dalla cultura assiro-babilonese, ma demitizzata, come abbiamo dimostrato), ci presenta tale materiale preesistente in modo tale da insegnare implicitamente la sua nullità: la materia primordiale non ha vita, non ha attività, non ha in sé alcun valore; è praticamente un nulla, perché ogni vita e ogni potere sta in Dio creatore. Tale materia primordiale è come la materia inerte che assume la forma che le imprime il Vasaio divino. Questo concetto di nulla, essendo un’astrazione che l’ebreo rifiutava, è espresso con la categoria della concretezza così tanto usata nella Scrittura. La vita è solo in Dio e non negli esseri primitivi.
Così si compì il primo passo verso il nulla assoluto. Tale materiale primitivo non è ancora il nulla, ma è una nullità davanti a Dio, così come nullità sono i potenti della terra (Is 40:17,23) e gli stessi dèi del paganesimo (1Sam 12:21; Is 41:29). Ecco quindi il presupposto per la creazione dal nulla preesistente.
C’è comunque da dire che – al di là delle considerazioni più sopra fatte, e che rimangono valide – la creazione come è intesa attualmente dalle religioni non è del tutto conforme ai dati biblici. Ci riferiamo a Gn 1:2: “La terra era informe e vuota”. Siamo proprio sicuri che Dio l’avesse creata così? Questo è l’oggetto del nostro studio intitolato La terra informe e vuota di Gn 1:2, nella categoria Scritture Ebraiche della sezione Esegesi biblica.