Quando fu data la Legge, Dio prescrisse: “Non ti devi servire del nome di Geova [יהוה (Yhvh), “Colui che è”] tuo Dio in modo indegno, poiché Geova [יהוה (Yhvh), “Colui che è”] non lascerà impunito chi si serve del suo nome in modo indegno” (Es 20:7; cfr. Dt 5:11). L’eccessivo scrupolo ebraico portò gli israeliti ad evitare perfino la menzione di quello che era divenuto “il Nome”. Indubbiamente ci fu una cattiva comprensione del Comandamento divino. “Si evita di pronunciare il nome YHWH . . . a causa del fatto che si è mal compreso il Terzo Comandamento, ritenendo che significhi ‘non devi nominare il nome di YHWH tuo Dio invano’, mentre in realtà significa ‘non devi giurare falsamente nel nome di YHWH tuo Dio’” (Encyclopaedia Judaica). Quando si iniziò a proibire la pronuncia del tetragramma? “Dal 3° secolo a. E. V. fino al 3° secolo E. V. tale proibizione vigeva ed era in parte osservata”. – A. Marmorstein, The Old Rabbinic Doctrine of God.
Come si sa, l’ebraico si scrive senza vocali. L’ebreo le aggiungeva a voce leggendo il testo. Con il divieto di pronunciare il tetragramma scomparve la sua pronuncia, perché nessuno lo leggeva più. Come si leggeva יהוה (Yhvh)? In effetti, non lo sappiamo più.
Con il passare dei secoli ci fu una novità per ciò che riguarda la lettura e quindi la possibilità di pronuncia delle parole contenute nelle Scritture Ebraiche. Stiamo parlando di alcuni studiosi ebrei, chiamati masoreti (in ebraico baalèh hammasoràh, “maestri della tradizione”), che fra il 6° e il 10° secolo della nostra èra introdussero un sistema di vocalizzazione del testo ebraico che è solo consonantico. Questo sistema previde dei segni, detti diacritici, che venivano messi sopra, sotto o dentro le lettere (per lasciarle intatte, rispettandole), fungendo da vocali e da accenti. Per dare un’idea visiva, riportiamo Gn 1:1 nella versione originale e nella versione vocalizzata.
Gn 1:1 |
|
Testo ebraico puro |
בראשב ברא אלהים את השמים ואת הארץ |
Testo masoretico |
בְּרֵאשִׁית בָּרָא אֱלֹהִים אֵת הַשָּׁמַיִם וְאֵת הָאָרֶץ |
Come si comportarono i masoreti con il tetragramma? Quando lo incontravano – a causa del divieto che si era creato nell’ebraismo di pronunciarlo – escogitarono un modo che perseguisse due obiettivi: 1. lasciarlo intatto, 2. far sì che si leggesse un’altra parola al posto del tetragramma.
In pratica, non furono inserire le vocali giuste ma quelle del nome che doveva sostituire nella lettura il tetragramma.
Fu scelto il nome sostitutivo Adonày, “Signore”. Quando il tetragramma era preceduto, nel testo biblico, da Adonày, le vocali aggiunte erano quelle di Elohìm (“Dio”) per evitare all’ebreo, durante la lettura, di ripetere due volte Adonày. Comunque, normalmente durante la lettura la sostituzione era fatta con Adonày.
Vediamo in ebraico, con le vocali apposte dai masoreti, come risulta la parola Adonày:
אֲדֹנָי |
Adonày | Signore |
Come detto, il tetragramma veniva lasciato intatto. Il lettore, però, incontrando le vocali di Adonày al posto di quelle giuste per il tetragramma, si ricordava di dover leggere Adonày. In pratica, incontrando יהוה, lo si leggeva Adonày.
Come si nota, le vocali di Adonày sono:
La y finale non è una vocale: è la consonante iòd (י, y).
A questo punto occorre conoscere una regola grammaticale della lingua ebraica.
Nella parola Adonày in ebraico (אֲדֹנָי) la prima lettera è la consonante muta àlef (א), che – essendo appunto muta – non si pronuncia. Nella trascrizione italiana non viene trascritta (come nel nostro caso) oppure viene indicata con un apostrofo: ‘Adonày. In effetti, la trascrizione italiana a quale prima lettera di Adonày è la trascrizione della vocale a (ֲ). appartenente alla àlef (א), e non la trascrizione della àlef.
Ora, dato che il tetragramma (יהוה) non inizia con àlef (א), ma con iòd (י, y), la regola grammaticale non permette il suono chiuso di a (ֲ). Così, la a (ֲ) deve essere sostituita dal suono incolore e (ְ), che assomiglia alla e francese, che viene appena accennata o a volte non letta. Alcuni, nella trascrizione italiana mettono questa e (ְ) come esponente: e.
Le nuove vocali per il tetragramma divennero quindi queste:
La vocale o non appare in quanto la lettera vav (ו) assume il suono di o. Ed ecco il risultato finale:
יהוה |
YHVH |
יְהוָה |
YeHoVaH |
← |
→ |
← |
→ |
Il lettore non ebreo, e solo lui, vedendo il tetragramma con i segni vocalici riportati, legge Yehovàh. Questo errore di lettura cominciò a diffondersi nel 15° secolo della nostra èra. Il lettore ebreo, quando leggeva il testo biblico, non commetteva errori perché sapeva di avere davanti agli occhi due parole in una: una tutta consonanti, l’altra evocata dalle vocali. Egli non pronunciava mai Yehovàh (che sarebbe stato un assurdo), ma Adonày.
La pronuncia Yehovàh era sconosciuta fino al 1520, quando fu introdotta da Galatino. Da allora l’assurda lettura di Yehovàh invece Adonày fu un tipico errore in cui incorsero molti, ovviamente non conoscendo lo stratagemma dei masoreti. Fu anche l’errore in cui incorse il pastore C. T. Russell (da cui poi sarebbero sorti i Testimoni di Geova con la deviazione operata da J. F. Rutherford dopo la di lui morte). Sin dal 1879 Russell ebbe la fissa del “nome”. Ma cadde nell’errore di chi non aveva dimestichezza con la lingua ebraica e con l’analisi del testo biblico.
L’ebreo dei tempi biblici naturalmente conosceva bene la lettura originale del tetragramma e si accorgeva di trovarsi di fronte ad una parola apparentemente assurda. Era proprio l’assurdità della parola che gli faceva ricordare che doveva dire Adonày. Come se un italiano, tanto per fare un esempio, incontrando la scritta “Dae” si ricordasse di dover leggere “Padre” invece di “Dio”. Sarebbe proprio l’assurdità della parola a ricordarglielo. Si potrebbe obiettare: ma non si farebbe prima a scrivere direttamente “Padre”? Nel nostro esempio senza senso sì. Ma per i masoreti il tetragramma era intoccabile. Non pensarono mai di sostituirlo. Il loro stratagemma lo lasciava intatto e le vocali estranee aggiunte ne celavano la pronuncia vera.
Una persona non ebrea che sappia appena leggere l’ebraico così com’è e senza tener conto di quanto appena detto, evidentemente – leggendo ad alta voce – leggerà esattamente ciò che trova scritto, cioè Yehovàh.
Come reagirebbe un ebreo a questa lettura? Se è un ebreo non credente, sentendo una lettura del genere, si metterebbe a ridere. Esattamente come rideremmo noi se qualcuno si ostinasse ipoteticamente a leggere Dae nell’esempio fatto.
Se però fosse un ebreo ortodosso, si offenderebbe davvero molto, perché vedrebbe storpiato il sacro tetragramma con un suono grottesco.
Gli studiosi si sono domandati se sia possibile risalire a come si pronunciava il tetragramma prima che fosse stabilita la regola di sostituirlo con Adonày. Gli studiosi hanno cercato di ricostruirne la pronuncia esatta, ma nulla di definitivo è stato ancora raggiunto. Per ora la pronuncia più verosimile appare Yahvèh.
Questa ipotesi è avvalorata dalla presenza nella Bibbia di decine e decine di passi in cui compare la forma abbreviata Yah (יָהּ). La forma abbreviata Yah (יָהּ) costituisce la prima metà del tetragramma (יהוה, Yhvh). Nel testo masoretico questa forma ricorre 49 volte, ed è contrassegnata da un punto (detto mapìk) all’interno nella seconda lettera: יָהּ. Una sola volta appare senza il mapìk, in Cant 8:6 (יָה).
Citiamo alcuni di questi casi:
“Mia forza e potenza è Iah”. – Es 15:2. |
“Le tribù di Iah”. – Sl 122:4. |
“O Iah Dio”. – Sl 68:18. |
“La fianca di Iah”. – Cant 8:6. |
“Loderà Iah”. – Sl 102:18. |
“Iah, sì, Iah”. – Is 38:11. |
In Is 12:2;26:4 appare la formula יָהּ יְהוָה (Yah Yhvh). La forma abbreviata Yah appare anche quattro volte nelle Scritture Greche (Ap 19:1,3,4,6) nella parola Ἁλληλουιά (alleluià).
Proprio questa ultima parola (“alleluia”, “lodate Yah”) è tra le ragioni che fanno propendere per la lettura Yahvèh. La forma ebraica הללויה (haleluyàh) contiene, infatti, nella parte finale l’inizio del tetragramma (יה).
Si aggiunga il tradizionale ‘Iaße (Iabe) di Teodoreto ed Epifanio. In greco il suono v non esiste, per cui viene sostituito con il suono b (ß). La parola, ricostruita con il suono v ebraico, diventa Iavè.
Diversi studiosi spiegano Yahvèh come forma grammaticale hiphil del verbo ebraico הוה (havà), “divenire”. Il significato sarebbe quindi quello di “colui che porta all’esistenza, colui che dona vita, creatore”. Questa è anche la scelta fatta dalla Watchtower, che lo rendono con: “Egli fa divenire”. Ma è soltanto un’ipotesi. A noi pare che il contesto di Es – di cui abbiamo ampiamente ragionato più sopra – faccia propendere per il verbo היה (hayàh), “essere”. In tal caso il tetragramma significa: “Colui che è”.