“Recenti scoperte in Egitto e nel deserto della Giudea ci consentono di vedere con i nostri occhi l’uso del nome di Dio nei tempi precristiani. Queste scoperte sono significative per gli studi nel NT [Nuovo Testamento] in quanto costituiscono un’analogia letteraria con i più antichi documenti cristiani e possono spiegare in che modo gli autori del NT usarono il nome divino. Nelle pagine che seguono esporremo una teoria secondo cui il nome divino, יהוה (e possibili sue abbreviazioni), fu scritto in origine nel NT nelle citazioni e nelle parafrasi del VT [Vecchio Testamento] e secondo cui nel corso del tempo fu sostituito principalmente col surrogato κς [abbreviazione di Kỳrios, ‘Signore’]. Questa eliminazione del Tetragramma, a nostro avviso, creò una confusione nella mente dei primi cristiani gentili riguardo alla relazione fra il ‘Signore Dio’ e il ‘Signore Cristo’ che si riflette nella tradizione dei mss. del testo stesso del NT”. – George Howard, dell’Università della Georgia, in Journal of Biblical Literature, vol. 96, 1977, pag. 63.
Questa dichiarazione è riportata a pag. 1566 della TNM, all’appendice 1D. Il commento di TNM è: “Siamo d’accordo con quanto sopra, con una sola eccezione: non la consideriamo una ‘teoria’, bensì un’esposizione dei fatti storici su come furono trasmessi i manoscritti della Bibbia”. – Ibidem.
Strano modo di procedere. L’eminente studioso, conscio dei limiti, definisce la sua “una teoria”. I direttori della Watchtower, senza presentare alcuna motivazione valida, la trasformano in certezza. Ma perché per G. Howard si tratta solo di “una teoria”? Per il semplice fatto che a tutt’oggi non è stato ritrovato un solo brandello di manoscritto che comprovi la sua supposizione. Noi, che come certezza abbiamo solo la Scrittura, in armonia con il pensiero del noto studioso continuiamo a ritenerla “una teoria”, sebbene interessante. Questa che è e rimane solo una teoria giustifica la Watchtower nell’introdurre il nome “Geova” nelle Scritture Greche? No. Per tre ragioni.
- Il traduttore si deve attenere ai manoscritti esistenti. Non può e non deve alterarli. Se questi manoscritti contengono κύριος (Kǘrios, “Signore”), deve tradurre “Signore”. Diversamente, la traduzione assume un altro nome: manipolazione. La manipolazione dei testi originali delle Scritture non dovrebbe essere consentita a nessuno. Chi lo fa si assume una grave responsabilità. Non si dimentichi che stiamo parlando della parola di Dio.
- Lo studioso G. Howard ipotizza la “teoria secondo cui il nome divino, יהוה (e possibili sue abbreviazioni), fu scritto in origine nel NT nelle citazioni e nelle parafrasi del VT” (Ibidem). Si noti molto bene cosa egli dice: “Il nome divino, יהוה (e possibili sue abbreviazioni)”. Quando dice “nome divino” specifica che intende il tetragramma e lo riporta. Ora, se TNM volesse prendere per buona la teoria, trasformando in fatto quella che è solo un’ipotesi, dovrebbe almeno mostrare una certa correttezza traducendo come da manoscritto, rendendo κύριος (Kǘrios) con “Signore” e, casomai, mettere a margine o in calce una nota che spieghi che lì si ipotizza il tetragramma. Perché è di questo che lo studioso parla: di tetragramma, che è cosa ben diversa da JeHoVaH che è l’alterazione del tetragramma volutamente creata dai masoreti per non far leggere proprio il tetragramma.
- TNM va ben oltre. E commette un’ulteriore scorrettezza. Non solo manipola il testo biblico, ma inserisce “Geova” anziché il tetragramma. Se si aggiunge il fatto che abbiamo la certezza che “Geova” è del tutto sbagliato, la cosa diventa ulteriormente grave.
L’inserimento arbitrario di “Geova” nella traduzione delle Scritture greche avviene in TNM per ben 237 volte. Si possono fare tutte le supposizioni che si voglioso, ma quando un traduttore si trova davanti al testo dei manoscritti, è questo che deve tradurre usando il dizionario e non le supposizioni.
Il testo delle Scritture Greche è il risultato dell’opera di valenti studiosi. Il semplice non deve pensare che qualcuno abbia trovato migliaia di anni fa un libro nascosto chissà dove con su scritto “Bibbia” e che questo tesoro letterario sia stato poi tramandato a noi. Sono invece stati trovati nel passato almeno 5000 manoscritti nel greco originale di quello che erroneamente è noto come “Nuovo Testamento”. Anche qui il semplice non deve pensare a circa 5000 copie del cosiddetto “Nuovo Testamento”. Si tratta di 5000 manoscritti ognuno dei quali contiene una parte più o meno estesa del testo complessivo. Molti contengono solo brandelli, qualche versetto. Gli originali non li abbiamo: a noi sono pervenute copie, copie delle copie e famiglie di copie. Quando parliamo di “originali” intendiamo questo. Il più antico di questi numerosi manoscritti è un frammento papiraceo di Gv, che è attualmente conservato nella Biblioteca John Rylands di Manchester, nel Regno Unito. È stato classificato con la sigla P52 ed è stato datato alla prima metà del 2° secolo, forse intorno al 125 E. V.. Ma questo pure è una copia. Il semplice non deve a questo punto sentirsi disilluso. Infatti, quella che abbiamo è un’abbondantissima documentazione. Per capire, si pensi che il famoso De Bello Gallico di Cesare, composto tra il 58 e il 50 a. E. V., è giunto a noi solo in nove o dieci manoscritti leggibili, e il più antico di essi è di circa 900 anni posteriore al periodo di Cesare. Questo vale per tutti gli altri classici greci e latini. Nel caso della Bibbia siamo dunque di fronte a qualcosa che ha del miracoloso.
Si può immaginare il paziente lavoro che gli studiosi dovettero compiere per mettere insieme brandelli e parti di manoscritti per ricostruire il testo originale. Il testo delle Scritture Greche così recuperato prese il nome di testo critico. Fu Desiderius Erasmus, un famoso umanista olandese, più noto come Erasmo da Rotterdam, a produrre la prima edizione di un testo greco standard, nel 16° secolo. Nel 1551 il parigino Robert Estienne vi introdusse il sistema della divisione in capitoli e versetti, che è ancora l’attuale divisione. Nel frattempo gli studiosi avevano migliorato il testo greco standard, e la terza edizione del testo greco di Estienne divenne il textus receptus (che, in latino, significa “testo comunemente accettato”). In seguito diversi grecisti produssero testi sempre più perfezionati. Tra questi, il testo critico greco che ottenne più consensi fu quello prodotto nel 1881 da due studiosi dell’Università di Cambridge, Brooke Foss Westcott e Fenton John Anthony Hort. Questo testo critico è ancora noto come testo di Westcott e Hort. Un altro buon testo critico è il testo greco di Nestle.
Nel testo critico il tetragramma non compare mai. Figurarsi, quindi, se si può inserivi il tetragramma camuffato dai masoreti, cioè JeHoVaH. Farlo equivale alla manipolazione del testo originale. La Watchtower si giustifica così: “Gli scribi tolsero il Tetragramma . . . dalle Scritture Greche Cristiane e lo sostituirono con Kỳrios, ‘Signore’ o Theòs, ‘Dio”. – TNM, pag. 1566, appendice 1D.
Ora si impone una semplice riflessione. È mai possibile che tutte le comunità dei discepoli dei tempi antichi che ci hanno lasciato questi circa 5000 manoscritti abbiamo concordato d’introdurre la stessa modifica in tutti i manoscritti? Dato che è documentata la grande venerazione che esse avevano per gli scritti sacri, questa ipotesi non appare possibile e neppure immaginabile. Un’altra domanda che ci viene è questa: se esistevano alcuni manoscritti che contenevano il tetragramma (e stiamo dicendo tetragramma, non JeHoVaH), è mai possibile che ci siano giunti solo quelli modificati e che gli altri siano andati tutti persi? Sembra di avere a che fare con la teoria dell’evoluzione, che si arrampica sui vetri delle ipotesi. La realtà è che non esiste il minimo frammento di manoscritto delle Scritture Greche che contenga il tetragramma. Neppure un brandello.
Appendice
Il perché della non presenza del tetragramma nelle Scritture Greche
Ogni persona ragionevole interessata agli studi biblici non può fare a meno di domandarsi le ragioni della non presenza del tetragramma nelle Scritture Greche. Dato che nelle Scritture Ebraiche compare quasi 7000 volte, quali sono le cause dell’assenza totale del tetragramma nelle Scritture Greche?
Escludendo l’ipotesi poco convincente e del tutto inverosimile di un complotto per una massiccia falsificazione del testo greco da parte degli scribi, sembra ragionevole pensare che ai tempi di Yeshùa il tetragramma fosse scomparso dalla Bibbia greca (LXX) ormai da secoli.
Qualche antica copia della Settanta tentò invero di mantenere il tetragramma, mentre limitati tentativi di reintroduzione del tetragramma si verificarono tra il 3° secolo a. E. V. ed il 1° secolo E. V. grazie ad alcune revisioni giudaizzanti.
Se nella Bibbia dei Settanta il tetragramma era praticamente scomparso, è logico ed inevitabile pensare che fosse di conseguenza assente anche nelle Scritture Greche e negli scritti dei padri apostolici (che, non conoscendo l’ebraico, usavano esclusivamente la Bibbia greca).
Noi abbiamo un pensiero chiaro sul perché il tetragramma non è presente nelle Scritture Greche. Si pensi alla scomparsa dell’arca dell’alleanza: “In quei giorni – dice il Signore – non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore; nessuno ci penserà né se ne ricorderà; essa non sarà rimpianta né rifatta. In quel tempo chiameranno Gerusalemme trono del Signore; tutti i popoli vi si raduneranno nel nome del Signore e non seguiranno più la caparbietà del loro cuore malvagio”. – Ger 3:16,17, NR.
Questa scomparsa fu permessa da Dio perché voluta da lui in vista della nuova alleanza (2Cor 3:4-18; Ef 1:7) e dell’adozione filiale della nuova Israele (Gal 6:16): “Ma quando arrivò il pieno limite del tempo, Dio mandò il suo Figlio, che nacque da una donna e che nacque sotto la legge, perché liberasse mediante acquisto quelli che erano sotto la legge, affinché noi, a nostra volta, ricevessimo l’adozione come figli”. – Gal 4:4,5.
Nella vecchia alleanza con Israele Dio voleva essere chiamato con un nome solenne e misterioso: “Colui che è” (יהוה). Oggi Dio ci permette di invocarlo con il nome intimo e familiare di Padre. “Siete tutti figli di Dio per mezzo della vostra fede in Cristo Gesù” (Gal 3:26). “Ora poiché voi siete figli, Dio ha mandato nei nostri cuori lo spirito del Figlio suo, che grida: ‘Abba, Padre!’”. – Gal 4:6.