Nelle religioni pagane la divinità è a immagine e somiglianza degli umani. Nella Bibbia ebraica è l’essere umano ad essere a immagine e somiglianza di Dio. L’umanizzazione di Dio, l’antropomorfismo che troviamo nella Scrittura, non è una vera credenza che Dio sia così, ma solo il modo con cui Dio diventa più comprensibile per noi. “Colui che ha fatto l’orecchio forse non ode? Colui che ha formato l’occhio forse non vede?” (Sl 94:9). Dio vede e Dio ode. Il salmista invoca Dio: “Porgi orecchio, Signore, alla mia preghiera” (Sl 86:6). In che altro modo poteva esprimersi il salmista? Egli usa un linguaggio comprensibile. Il salmista prega ancora Dio così: “Abbi cura di me come la pupilla dell’occhio, nascondimi, all’ombra delle tue ali” (Sl 17:8). Nonostante il salmista dica di Dio che “i suoi occhi vedono, le sue pupille scrutano i figli degli uomini” (Sl 11:4), egli sa bene – come tutti gli ebrei – che “Dio non è un uomo” (Nm 23:19) e che non ha neppure le ali. Il Dio di Israele è spirito, non carne (Gv 4:24; 2Cor 3:17). Come altro si potrebbe alludere alla sua infinita potenza se non parlando figurativamente del suo “braccio” (Es 6:6), alla sua visione di tutto se non usando il termine “occhi” e alla sua capacità di ascoltare se non facendo riferimento agli “orecchi” (Sl 34:15)?
Così è anche per la misericordia di Dio, descritta con sentimenti umani. Nella Bibbia il Dio di Israele è infinitamente superiore all’essere umano: “Da eternità in eternità, tu sei Dio” (Sl 90:2). Al Creatore il fedele si rivolge, lodandolo, come “al Re eterno, immortale, invisibile, all’unico Dio” (1Tm 1:17). Il Dio d’Israele è infinito e al di là della piena comprensione umana: “Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! Infatti «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? [cfr. Is 40:13] O chi gli ha dato qualcosa per primo,sì da riceverne il contraccambio?» [cfr. Gb 41:11]” (Rm 11:33-35). L’Altissimo è l’Onnipotente (Gn 17:1), è il Maestoso (Is 33:21), è invisibile (Gv 1:18), “benché egli non sia lontano da ciascuno di noi” (At 17:27). Il Dio trascendente e irraggiungibile, “che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere” (1Tm 6:16), Colui che fa “delle tenebre la sua stanza nascosta” (Sl 18:11), si fa vicino e mostra la sua misericordia. Questa sua misericordia non può che esserci resa comprensibile descrivendola con tratti umani.
La radice del termine ebraico che la Bibbia usa per “misericordia” è רחם (rkhm). Come verbo significa “amare” e “avere pietà/compassione”, come in Os 1:6; come vocabolo (רֶחֶם, rèkhem) indica l’utero, il seno materno, come in Os 9:14. Il che ci dice la natura della misericordia divina, che assomiglia all’amore di una madre che ama incondizionatamente.
È interessante notare che la misericordia di Dio si manifesta spesso laddove ci si aspetterebbe una reazione ben diversa. In apparenza sembra allora esserci incoerenza, così come apparirebbe incoerente che una madre mostri amore e compassione a un figlio che ne ha appena combinata una delle sue, e grossa. Nei primi 11 capitoli di Genesi appare una serie di peccati e di conseguenti punizioni, eppure la reazione di Dio alla colpa non termina mai con la punizione. La punizione certo c’è, ma viene in qualche modo moderata.
La prima coppia, colpevole di aver trasgredito l’unica mitzvàh, l’unico comandamento che aveva, viene cacciata da Dio dall’Eden e le viene precluso di tornarvi, ma Dio si premura affinché non debbano vergognarsi, così “Dio il Signore fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì” (Gn 3:21). Caino, fratricida e primo assassino della storia, è punito, ma “chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui” (Gn 4:15). L’intera umanità peccatrice è punita con il Diluvio, ma poi Dio stabilisce il suo patto di pace (Gn 9:9). Alla torre di Babele gli arroganti che volevano raggiungere Dio furono puntiti ma Dio non li annientò e “li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città”. – Gn 11:8.
Allo stesso modo, la nazione ebraica è punita per le sue trasgressioni, ma per il resto di Israele avviene una svolta positiva. I profeti avevano annunciato il giudizio divino, e gli stessi profeti preannunciano la svolta. I profeti biblici non sono mai unicamente profeti di sventura. Così, Isaia pronuncia profezie di giudizio insieme a profezie di salvezza (cfr. Is 7). Il profeta Osea unisce al messaggio profetico di giudizio quello di misericordia.
“Israele non tornerà nel paese d’Egitto;
ma l’Assiro sarà il suo re,
perché hanno rifiutato di convertirsi.
La spada sarà brandita contro le sue città,
ne spezzerà le sbarre, ne divorerà gli abitanti,
a motivo dei loro disegni.
Il mio popolo persiste a sviarsi da me;
lo s’invita a guardare a chi è in alto,
ma nessuno di essi alza lo sguardo
Come farei a lasciarti, o Efraim?
Come farei a darti in mano altrui, o Israele?
Come potrei renderti simile ad Adma
e ridurti allo stato di Seboim?
Il mio cuore si commuove tutto dentro di me,
tutte le mie compassioni si accendono.
Io non sfogherò la mia ira ardente,
non distruggerò Efraim di nuovo,
perché sono Dio, e non un uomo,
sono il Santo in mezzo a te,
e non verrò nel mio furore”. – Os 11:5-9.
Dio soffre per il giudizio che deve emettere contro il suo popolo tanto amato. “Come posso lasciarti, Efraim? Come posso abbandonarti, Israele? Posso distruggerti allo stesso modo di Adma o ridurti come Zeboim? Il mio cuore non me lo permette, il mio amore è troppo forte” (Os 11:8, Pds). Sembra di sentire una madre che, sconsolata ma piena d’indulgenza, dice al figlio: “Che mai devo fare con te?”. Lo stesso sofferto sentimento affiora presso Geremia, unendo compassione e necessità di giudizio:
“Io voglio prorompere in pianto e in gemito, per i monti;
voglio spandere un lamento per i pascoli del deserto,
perché sono bruciati, al punto che nessuno più vi passa,
non vi si ode più muggito di mandrie;
gli uccelli del cielo e le bestie sono fuggite, sono scomparse.
«Io ridurrò Gerusalemme in un mucchio di macerie, in un covo di sciacalli;
e farò delle città di Giuda una desolazione senza abitanti».
Chi è il saggio che capisca queste cose?
A chi ha parlato la bocca del Signore perché egli ne dia notizia?
Perché il paese è distrutto,
desolato come un deserto al punto che non vi passa più nessuno?”. – Ger 9:10-12.
Perfino nei casi più gravi, quando non c’è più posto per la compassione, Dio non smette di essere misericordioso ma trattiene, piuttosto, la sua compassione. In Am 6 Dio annuncia la punizione che ha decretato per il suo popolo disubbidiente; lo stesso profeta Amos interviene e intercede presso Dio a favore di Israele, invocando la sua compassione (Am 7). Dapprima Dio accoglie la richiesta e ciò è mostrato ad Amos nelle prime visioni:
“Il Signore, Dio, mi fece vedere questo:
Egli formava delle locuste
al primo spuntare dell’erba tenera,
quella che spunta dopo la falciatura per il re.
Quando esse ebbero finito di divorare l’erba della terra,
io dissi: «Signore, Dio, perdona!
Come potrà sopravvivere Giacobbe,
piccolo com’è?».
Il Signore si pentì di questo.
«Ciò non accadrà», disse il Signore.
Il Signore, Dio, mi fece vedere questo:
Il Signore, Dio, annunciava di voler difendere la sua causa mediante il fuoco:
il fuoco divorò il grande abisso
e divorò la campagna.
Allora io dissi: «Signore, Dio, fèrmati!
Come potrà sopravvivere Giacobbe,
piccolo com’è?».
Il Signore si pentì di questo.
«Neppure ciò accadrà», disse il Signore, Dio”. – Am 7:1-6.
Alla fine, la compassione che aveva mostrata, Dio la rifiuta: “Ecco, io metto il filo a piombo in mezzo al mio popolo, Israele; io non lo risparmierò più” (Am 7:8), “La fine del mio popolo Israele è matura; io non lo risparmierò più” (Am 8:2). Così, il giudizio prende il posto della compassione. Ma la compassione non è tuttavia eliminata. Che sia solamente trattenuta lo mostra il profeta Isaia che, dopo il giudizio che si è abbattuto sul popolo di Dio, annuncia: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio … Ecco il Signore, Dio, viene con potenza … Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano” (Is 40:1,10,11). Sono espressioni di misericordiosa compassione, da cui trapela amore, quelle di Dio:
“Tu, non temere, perché io sono con te;
non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio;
io ti fortifico, io ti soccorro,
io ti sostengo
…
perché io, il Signore, il tuo Dio,
fortifico la tua mano destra
e ti dico: ‘Non temere,
io ti aiuto!
Non temere, o Giacobbe, vermiciattolo,
o residuo d’Israele.
Io ti aiuto’, dice il Signore.
Il tuo redentore è il Santo d’Israele.”. – Is 41:10,13,14.
Si potrebbe vedere la questione anche da un altro punto di vista. Il salmista fa questa considerazione sugli uomini: “Tutti loro si aspettano che tu li nutra a tempo opportuno. Dai loro il cibo ed essi lo prendono, apri la mano e si saziano di beni. Nascondi il tuo volto e il terrore li assale; togli loro il respiro ed essi muoiono, tornano ad essere polvere!” (Sl 104:27-29, Pds). Ora, perfino gli agnostici, pur non aspettandosi da Dio il nutrimento, si aspettano che quella che chiamano natura faccia il suo corso e che la terra produca il cibo, ma in ogni caso la vita dipende da Dio: “Togli loro il respiro ed essi muoiono”. Dio non interviene sulle singole persone per farle morire per mancanza di ossigeno, non è questo che sta dicendo il salmista. Egli sta dicendo che tutto dipende da Dio, anche il nostro respiro. Se per un solo momento Dio smettesse di prendersi cura della sua creazione, questa si smorzerebbe fino a diventare un insieme di relitti cosmici che vagano inerti nell’universo. Nella vita del suo popolo Dio può intervenire benedicendolo ed essendo sollecito, ma potrebbe anche astenersi dal farlo. Quando il peccato predomina nella vita di un popolo o di una singola persona, Dio può semplicemente – per così dire – volgere il suo sguardo altrove, non curarsene più. Una mamma ripetutamente delusa e scoraggiata dal cattivo comportamento di un figlio malvagio ormai adulto, può darsi per vinta e abbandonarlo a se stesso. Non per questo cessa però d’amarlo, ma il suo atteggiamento verso di lui muta necessariamente, fino a sembrare indifferente. Dentro di sé, tuttavia, ne soffre, e sarebbe pronta a manifestare di nuovo tutto il suo amore, se la situazione cambiasse. Sono le parole di una madre quelle di Dio in Os 11:1-4,7,9:
“Quando Israele era un ragazzo io l’ho amato e l’ho chiamato a uscire dall’Egitto perché era mio figlio. In seguito, più chiamavo gli israeliti, più essi si allontanavano da me . . . Io ho insegnato a Efraim a camminare. Ho tenuto il mio popolo tra le mie braccia, ma non ha capito che mi prendevo cura di lui. L’ho attirato a me con affetto e amore. Sono stata per lui come chi solleva il suo bambino alla guancia. Mi sono abbassata fino a lui per imboccarlo … Il mio popolo si ostina a restare lontano da me … Nonostante la mia rabbia, non distruggerò del tutto Israele”. – Dia.
La compassione e il perdono di Dio
La misericordia di Dio è possibile soltanto se è unita al suo perdono. La misericordia senza perdono non avrebbe senso; al massimo manifesterebbe un sentimento che assomiglia alla tolleranza o, peggio, all’indifferenza. Potrebbe perfino essere fraintesa e chi ne è beneficiario potrebbe pensare che gli è andata bene, non imparando nulla dai suoi errori. È per questo che nella Scrittura il perdono divino non solo è espresso in modo molto esplicito ma è anche comunicato subito. Il cambiamento vero avviene solo quando il rapporto tra Dio e il popolo ritorna intatto. Ciò è possibile in un solo modo: con il perdono di Dio. In Is 40:2, non viene solo annunciata la misericordia di Dio, quando il profeta comunica le parole di Dio: “Fate coraggio agli abitanti di Gerusalemme, e annunziate loro: La vostra schiavitù è finita”; subito dopo si aggiunge: “La vostra colpa perdonata”. – PdS.
Quando il suo popolo era schiavo in Egitto, Dio ne provò compassione: “Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni” (Es 3:7). “Conosco bene le pene che soffre” (Es 3:7, TNM), “Ho preso a cuore la sua sofferenza” (Es 3:7, PdS): questa è compassione. Dio poi li libera. E fin qui c’è solo compassione. La storia di Dio con il suo popolo non è ancora iniziata e il peccato non si è ancora accumulato. Si tratta quindi di pura compassione, come per figlio di Agar che sta morendo di sete: “Dio udì la voce del ragazzo e l’angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del ragazzo»”. – Gn 21:17.
La misericordia di Dio è mossa dalla sofferenza, come nel caso degli ebrei schiavi in Egitto, come nel caso di Ismaele.
“Egli guarda dall’alto del suo santuario;
dal cielo il Signore osserva la terra
per ascoltare i gemiti dei prigionieri,
per liberare i condannati a morte”. – Sl 102:19,20.
Se non ci fosse Dio ad ascoltare i gemiti che si levano dalla terra, il grido di sofferenza si disperderebbe inascoltato nel buio dell’universo. Anche il peccatore è un sofferente, e oltre alla compassione divina ha bisogno ugualmente del perdono di Dio. “Egli perdona tutte le tue colpe … ti corona di bontà e compassioni”. – Sl 103:3,4.
La compassione di Dio verso i sofferenti e il perdono misericordioso dei peccatori fanno parte dell’amore di Dio, che dice di sé “Io sono il Signore, il Dio misericordioso e clemente, sono paziente, sempre ben disposto e fedele. Conservo la mia benevolenza verso gli uomini”. – Es 34:6,7, PdS.
Dio non è compassionevole solo verso il suo popolo ma anche verso la singola persona. La compassione divina per il popolo amato da Dio la troviamo nei messaggi dei profeti, ma quella per il singolo o la singola appartiene all’ambito della preghiera.
“Signore, non rimproverarmi con ira,
non castigarmi con collera.
Pietà di me, Signore, sono esausto;
guariscimi, io sono sfinito.
Mi sento sconvolto”. – Sl 6:2-4, PdS.
“Volgiti verso di me, abbi pietà:
sono infelice e solo.
Ho il cuore gonfio di angoscia:
liberami da ogni affanno.
Guarda il mio dolore e la mia sofferenza,
perdona tutti i miei peccati”. – Sl 25:16-18, PdS.