Nell’esaminare la dottrina isaiana occorre distinguere le due sezioni: Proto-Isaia e Deutero-Isaia.
Proto-Isaia. Il principio fondamentale si riassume nella frase: “Se voi non avete fede, certo, non potrete sussistere” (Is 7:9). Alla politica umana poggiante sulle armi, Isaia oppone la fiducia in Dio. Dio solo, che domina l’universo, può salvare: “Il Signore è il nostro giudice, il Signore è il nostro legislatore, il Signore è il nostro re, egli è colui che ci salva” (Is 33:22), “Così aveva detto il Signore, Dio, il Santo d’Israele: ‘Nel tornare a me e nello stare sereni sarà la vostra salvezza; nella calma e nella fiducia sarà la vostra forza’” (Is 30:15). Fu, infatti, Dio che salvò Gerusalemme dall’invasione di Sennacherib che nel 701 a. E. V., dopo aver accettato a Lakish il tributo che gli veniva offerto, si intestardì e pretese la capitolazione della città:
“Ezechia pregò davanti al Signore dicendo: ‘Signore, Dio d’Israele, che siedi sopra i cherubini, tu solo sei il Dio di tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. Signore, porgi l’orecchio, e ascolta! Signore, apri gli occhi, e guarda! Ascolta le parole che Sennacherib ha mandate per insultare il Dio vivente! È vero, Signore; i re d’Assiria hanno devastato le nazioni e i loro paesi, e hanno dato alle fiamme i loro dèi; perché quelli non erano dèi; erano opera di mano d’uomo: legno e pietra; li hanno distrutti. Ma ora, Signore nostro Dio, salvaci, te ne supplico, dalla sua mano, affinché tutti i regni della terra riconoscano che tu solo, Signore, sei Dio!’”. – 2Re 19:15-19.
Solo Isaia, in quei terribili momenti, profetizzò la salvezza da parte di Dio, come poi, di fatto, avvenne. – Is 37:22-29;14:24-26.
Anche durante la coalizione siro-efraimita fu Isaia a suggerire fiducia in Dio, preannunciando la distruzione delle due nazioni alleate (Siria e Regno di Israele). Dio chiamerà per questo un popolo lontano che viene a essere al servizio di Dio. Dio chiamerà l’Assiria con un fischio, come si chiamano gli animali: “Fischia a un popolo, che è all’estremità della terra; ed eccolo che arriva, pronto, leggero” (Is 5:26). Poi l’Assiria stessa sarà punita per l’alterigia con cui compie la missione: “Guai all’Assiria, verga della mia ira! Ha in mano il bastone della mia punizione. Io la mando contro una nazione empia e la dirigo contro il popolo che ha provocato la mia ira, con l’ordine di darsi al saccheggio, di far bottino, di calpestarlo come il fango delle strade. Ma essa non la intende così; non così la pensa in cuor suo; essa ha in cuore di distruggere, di sterminare nazioni in gran numero”. – Is 10:5-7.
Le alleanze politiche a nulla valgono. Quando Acaz e i suoi consiglieri esultano per l’aiuto assiro da loro invocato, Isaia afferma che proprio dall’Assiria verrà il male futuro per il Regno di Giuda: “Il Signore farà venire su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre dei giorni, come non se ne ebbero mai dal giorno che Efraim si è separato da Giuda: vale a dire il re d’Assiria. In quel giorno il Signore fischierà alle mosche che sono all’estremità dei fiumi d’Egitto e alle api che sono nel paese d’Assiria. Esse verranno e si poseranno tutte nelle valli deserte, nelle fessure delle rocce, su tutti i cespugli e su tutti i pascoli. In quel giorno, il Signore, con un rasoio preso a noleggio di là dal fiume, cioè con il re d’Assiria, raderà la testa, i peli dei piedi e porterà via anche la barba” (Is 7:17-20). Quando una forte coalizione, formata dal babilonese Evil-Merodac e dalla potente dinastia etiopica, spinse Ezechia a ribellarsi all’Assiria, Isaia disinganna i giudei dicendo che l’Egitto non li può affatto salvare: “Guai, dice il Signore, ai figli ribelli che formano dei disegni, ma senza di me, che contraggono alleanze, ma senza il mio spirito, per accumulare peccato su peccato; che vanno giù in Egitto senza aver consultato la mia bocca, per rifugiarsi sotto la protezione del faraone, e cercare riparo all’ombra dell’Egitto! La protezione del faraone vi tornerà a confusione” (Is 30:1-3). “Tutti saranno delusi di un popolo che a nulla giova loro, che non reca aiuto né giovamento alcuno” (Is 30:5). “Il soccorso dell’Egitto è un soffio, una vanità; per questo io chiamo quel paese: Gran rumore per nulla” (Is 30:7). “Gli Egiziani sono uomini, e non Dio” (Is 31:3). Quelle alleanze allontanavano da Dio, facevano accogliere costumi e riti pagani, come l’altare posto da Acaz nel Tempio di Gerusalemme, simile a quello visto a Damasco.
Per Isaia quel che più importa è la necessità di cambiare vita, di tornare a Dio. L’ira divina, infatti, si abbatterà sui colpevoli che hanno dimenticato Dio:
“Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio! Poiché il Signore parla: ‘Ho nutrito dei figli e li ho allevati, ma essi si sono ribellati a me. Il bue conosce il suo possessore, e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non ha discernimento’. Guai alla nazione peccatrice, popolo carico d’iniquità, razza di malvagi, figli corrotti! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, hanno voltato le spalle e si sono allontanati”. – Is 1:2-4.
I giudei hanno dimenticato Dio. Opprimono i deboli (Is 3:14,15). S’illudono di non essere visti da Dio: “Dicono: ‘Chi ci vede? Chi ci conosce?’” (Is 29:15). Chiamano bene il male e male il bene (Is 5:20). Il profeta grida con pessimismo: “Per quale ragione colpirvi ancora? Aggiungereste altre rivolte. Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente” (Is 1:5). Isaia preannuncia che Dio, come un leone, abbatterà la sua preda (Is 31:4), distruggendo la sua vigna (Is 5:1-7) e rendendola un deserto (Is 32:14,15). Isaia stesso si contorce dallo spavento a tal vista:
“Una visione terribile mi è stata data: il perfido agisce con perfidia, il devastatore devasta. […] Perciò i miei fianchi sono pieni di dolori; delle doglie mi hanno còlto, come le doglie di una partoriente; io mi contorco, per quello che sento; sono spaventato da ciò che vedo. Il mio cuore si smarrisce, il terrore s’impossessa di me; la sera, alla quale anelavo, è diventata per me uno spavento”. – Is 21:2-4.
Tuttavia, Dio rimane pur sempre amore e non si allontana per sempre dai suoi. Dio innaffierà la sua vigna (27:2-5), si conserverà un rimanente tra la distruzione generale (10:20-23) e alla fine anche i nemici saranno vinti (17:12-14). Come un uccello protegge il suo nido, Dio proteggerà Gerusalemme: “Come gli uccelli spiegano le ali sulla loro nidiata, così il Signore degli eserciti proteggerà Gerusalemme; la proteggerà, la libererà, la risparmierà, la farà scampare” (31:5). Sarà proprio da Gerusalemme che Dio istruirà tutte le nazioni: “Molti popoli vi accorreranno, e diranno: ‘Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri’. Da Sion, infatti, uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore” (2:3). Il trono davidico sarà restaurato. – Is 16:5.
Deutero-Isaia. Qui il tono cambia. Ciro è ormai divenuto capo del grande impero persiano, il cui dominio si estende fino alle coste occidentali dell’Asia Minore (moderna Turchia). In quel tempo un profeta (il Deutero-Isaia, appunto) presenta il dramma della redenzione.
Dio sta per redimere il suo popolo, Babilonia cadrà e Ciro sarà incaricato di una grande missione da parte di Dio onnipotente:
“Io dico di Ciro: ‘Egli è il mio pastore; egli adempirà tutta la mia volontà, dicendo a Gerusalemme: Sarai ricostruita! e al tempio: Le tue fondamenta saranno gettate!’”. – 44:28.
“Così parla il Signore al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui le porte, in modo che nessuna gli resti chiusa. Io camminerò davanti a te, e appianerò i luoghi impervi; frantumerò le porte di bronzo, spezzerò le sbarre di ferro’”. – Is 45:1,2.
Dio permetterà il rientro degli esuli e la restaurazione di Gerusalemme. È questo il contenuto essenziale di Is 40-66. La voce del profeta trascende tuttavia il suo tempo, diviene atemporale e assume aspetti sublimi che confortano i sofferenti di ogni tempo e addita un futuro ben più radioso dello stato doloroso in cui si trovano.
Gerusalemme è distrutta, gli ebrei in esilio, i loro “figli venivano meno, gettati a ogni angolo di strada, come un’antilope nella rete” (51:20) e gli aguzzini infierivano su di loro e “dicevano: ‘Chìnati, ché ti passiamo addosso!’” (51:23). Ma il popolo di Dio è fedele al suo Signore, è un servo sofferente che non apre bocca. – Is 53:7; profezia che poi sarà applicata a Yeshùa.
Il Deutero-Isaia scongiura Dio di ascoltare la sua supplica: “Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante”, “Non date riposo a lui [a Dio], finché egli non abbia ristabilito Gerusalemme, finché non abbia fatto di lei la lode di tutta la terra (62:1,7). Il profeta si meraviglia del silenzio di Dio: “Davanti a queste cose te ne rimarrai impassibile, o Signore?” (64:12). Sembra che Gerusalemme sia del tutto abbandonata: “Sion ha detto: ‘Il Signore mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata’” (49:14). Ma Dio risponde: “’I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie’, dice il Signore. ‘Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri’” (55:8,9). “Guai a colui che contesta il suo creatore, egli, rottame fra i rottami di vasi di terra! L’argilla dirà forse a colui che la forma: ‘Che fai?’. L’opera tua potrà forse dire: ‘Egli non ha mani?’” (45:9). Il popolo di Dio esiliato è il servo di Dio che espia le colpe altrui, che viene punito al di là dei suoi peccati (40:2). La sua punizione, la sua agonia, non è da considerarsi un castigo, ma un privilegio e un sacrificio. Del frutto se ne avvantaggeranno tutte le nazioni nel momento in cui Israele sarà redenta. Dio non può dimenticarsi dei suoi, proprio come una madre mai si dimentica dei propri figli:
“Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta,
smettere di avere pietà del frutto delle sue viscere?
Anche se le madri dimenticassero,
non io dimenticherò te”. – Is 49:15.
Il popolo di Israele avrà sempre un ruolo nel piano di Dio. Questo fatto immutabile è compreso da poche persone. Moltissimi cosiddetti “cristiani” asseriscono – contro l’evidenza biblica – che Dio abbia abbandonato Israele per sostituirla con la congregazione “cristiana”. Ma la Scrittura proclama:
“’Il tuo creatore è il tuo sposo; il suo nome è: il Signore degli eserciti; il tuo redentore è il Santo d’Israele, che sarà chiamato Dio di tutta la terra. Poiché il Signore ti richiama come una donna abbandonata, il cui spirito è afflitto, come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata’, dice il tuo Dio. ‘Per un breve istante io ti ho abbandonata, ma con immensa compassione io ti raccoglierò. In un accesso d’ira, ti ho per un momento nascosto la mia faccia, ma con un amore eterno io avrò pietà di te’, dice il Signore, il tuo salvatore. ‘Avverrà per me come delle acque di Noè; poiché, come giurai che le acque di Noè non si sarebbero più sparse sopra la terra, così io giuro di non irritarmi più contro di te, di non minacciarti più. Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, l’amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso’, dice il Signore, che ha pietà di te”. – Is 54:5-10.
È inutile che TNM traduca “a tempo indefinito avrò certamente misericordia di te” (v. 8), giocando sulle parole tradotte, facendo intendere che “tempo indefinito” sarebbe “non definito” ma non infinito. Il tentativo non porta lontano, perché Dio stesso assicura: “Proprio come ho giurato che le acque di Noè non passeranno più sulla terra, così ho giurato che di sicuro non mi indignerò verso di te né ti rimprovererò. Poiché i monti stessi si possono rimuovere, e i medesimi colli possono vacillare, ma la mia amorevole benignità stessa non si rimuoverà da te, né il mio stesso patto di pace vacillerà” (vv. 9,10, TNM). Se si pretende di dire che il “tempo indefinito” è non definito, ma pur sempre finito, bisognerebbe sostenere anche che la promessa di Dio di non portare più un diluvio sulla terra sarebbe temporanea. Il che equivarrebbe a dare del bugiardo a Dio. Ma “Dio, che non può mentire” (Tito 1:2), assicura che anche se “i monti stessi si possono rimuovere, e i medesimi colli possono vacillare” il suo amore per Gerusalemme ed Israele “non si rimuoverà”.
Va infine accennato qui all’intricato problema concernente il “servo di Yhvh”. In alcuni capitoli il “servo” è evidentemente Israele: “Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade” (42:1,2). È di questo servo che viene detto: “Il Signore si è compiaciuto, per amore della sua giustizia, di rendere la sua legge grande e magnifica; ma questo è un popolo saccheggiato e spogliato” (vv. 21,22). “Tu sei il mio servo, Israele” (49:3). È ovvio che quanto viene detto in 42:19,20 non può essere riferito al Messia: “Chi è cieco, se non il mio servo, e sordo come il messaggero inviato da me? Chi è cieco come colui che è mio amico, cieco come il servo del Signore [ebraico: “Servo di Yhvh”]? Tu hai visto molte cose, ma non vi hai posto mente; gli orecchi erano aperti, ma non hai udito nulla”.
In altri passi il “servo” appare invece come un individuo che soffre per il popolo: “Il Signore ha voluto stroncarlo con i patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del Signore prospererà nelle sue mani. Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce, e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato sé stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli” (53:10-12). Questo non può essere riferito al popolo.
Il “servo” è contemporaneamente Israele e il Messia che rappresenta tutta l’umanità. Il Messia porta al vertice la missione del suo popolo. Il Messia chiama l’intera nazione ad accogliere il suo compito, in modo che la sua sia una missione non solo individuale ma anche collettiva. Il “servo di Yhvh” è di oggi e di domani. Israele non può essere in tutti i suoi membri o solo in pochi o anche sintetizzato in uno solo. È quindi logica l’applicazione a Yeshùa, che più di tutti gli altri ha attuato quella missione che di diritto spettava a tutta Israele.