Il significato del nome “Geremia” è molto discusso. Lo studioso Gesinius gli dà il significato di “gettare le fondamenta”. Altri lo interpretano come “aprire la matrice”. Il Noth, con più ragione, suggerisce la pronuncia di Yerimeyàhu con il significato di “Ya eleva [dalla miseria o dalla necessità]”. L’ebraico è יִרְמְיָהוּ (Yirmyàhu), ma questa è la traslitterazione della parola ebraica come si trova nel testo vocalizzato. L’ebraico era scritto senza la vocalizzazione attuale, per cui era: ירמיהו (yrmyho oppure yrmyhu oppure yrmyhv).
Geremia nacque ad Anatot (oggi Anata), cittadina a un’ora e mezzo a sud di Gerusalemme, nella tribù di Beniamino, menzionata in Is 10:30. Geremia era di stirpe sacerdotale, in quanto figlio di Chilchia: ”Geremia, figlio di Chilchia, uno dei sacerdoti che stavano ad Anatot, nel paese di Beniamino” (Ger 1:1). Alcuni vorrebbero identificare questo Chilchia con il sommo sacerdote che trovò il libro della Legge nel Tempio: “Il sommo sacerdote Chilchia disse a Safan, il segretario: ‘Ho trovato nella casa del Signore il libro della legge’” (2Re 22:8). Pur accordandosi cronologicamente, l’accostamento – stando già solo a Sof 1:1 – è improbabile, perché in tal caso non sarebbe stato definito “uno dei sacerdoti”. Il nome “Chilchia” era molto diffuso tra gli ebrei. È probabile che Geremia fosse discendente di quell’Abiatar che Salomone relegò ad Anatot (1Re 2:26). Ad Anatot il profeta Geremia aveva un campicello di famiglia (Ger 32:8) cui fu sempre affezionato: “Signore, Dio, tu mi hai detto: ‘Cómprati con denaro il campo’”. – Ger 32:25.
Giacché in Ger 1:5 si legge: “Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato”, alcuni teologi cattolici (tra cui Tommaso d’Aquino) hanno voluto dedurre, in armonia con il loro dogma, che Geremia sia stato purificato dal peccato originale prima della sua stessa nascita (cosa che l’Aquinate ammetteva anche per Miryàm madre di Yeshùa). A parte il fatto che la teoria del peccato originale non è biblica, il contesto del passo non consente questa interpretazione. Nel contesto il passo non vuol dire altro che il profeta fu consacrato a Dio e riservato alla sua missione profetica sin dal seno di sua madre. Il verbo ebraico non può assolutamente significare una consacrazione interiore, perché si riferisce anche ad animali e a cose che si consacravano a Dio. Conseguenza di questa consacrazione fu che Dio obbligò Geremia al celibato: “Non prendere moglie e non aver figli né figlie” (Ger 16:2), affinché la sua eventuale famiglia non soccombesse nei tragici eventi che stavano per accadere (Ger 16:4). Quest’obbligo al celibato è uno dei casi più unici che rari nella storia del profetismo ebraico.
Chiamato alla sua missione nel 13° anno del re Giosia (628/627 a. E. V.), Geremia si mostrò alquanto titubante nell’accettare l’incarico da cui avrebbe voluto sottrarsi. “Ahimè, Signore, Dio, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo” (Ger 1:6). Questa timidezza accompagnò sempre Geremia nel corso della sua missione, che si svolse a Gerusalemme sotto ben cinque re (Giosia, Ioacaz, Ioiachim, Ioiachin, Sedechia).