Verso il 200 a. E. V. il volume apparteneva al gruppo dei profeti minori. Lo sappiamo perché il libro apocrifo dell’Eccesiastico (Siracide) già parla di 12 profeti: “Le ossa dei dodici profeti rifioriscano dalle loro tombe” (Siracide 49:10, CEI). Per lo stato della lingua, sembra che sia stato composto a metà del 5° secolo a. E. V.. Ad esempio, in Gna 1:9 troviamo questa espressione: “Sono Ebreo e temo il Signore, Dio del cielo”. Come si nota, “Dio del cielo” è applicato a Yhvh (il testo ebraico haיְהוָה אֱלֹהֵי הַשָּׁמַיִם (Yhvh elohè hashamàym), “Yhvh Dio del cielo”. Questa espressione divenne frequente solo nell’epoca persiana. Inoltre nel testo si trova la forma anì (“io”) anziché anòkhi; vi si trova anche il relativo she (1:7,12) anziché ashèr. Questo denota l’influsso aramaico.
Alcuni studiosi fanno notare l’incipit (inizio) del libro (Gna 1:1). Nelle traduzioni non sempre si nota. In NR, “La parola del Signore fu rivolta a Giona” pare non avere nulla di speciale. In TNM si nota appena un “e” iniziale: “E la parola di Geova cominciò a essere rivolta a Giona”. Ma il testo ebraico è rivelatore: וַיְהִי דְּבַר (vayhì davàr), letteralmente: “E fu parola”. Tolto quel va iniziale, che è solo la congiunzione “e”, rimane il yhì che i traduttori trascurano e non traducono. Si tratta del verbo “essere” al passato, terza persona singolare. La traduzione giusta è: “fu” / ”era” / ”accadde” / ”divenne”, secondo il contesto. Gli studiosi che lo fanno notare e che insistono – giustamente – che si dovrebbe tradurre: “E accadde che la parola […]”, vogliono però attaccarsi a questo per sostenere che il libro facesse parte di una più ampia collezione. Tuttavia, sebbene sia corretto tradurre “E accadde”, non è necessario pensare altro.
Il canto di ringraziamento (Gna 2:3-10), pronunciato da Giona nel ventre del pesce, meriterebbe uno studio a parte per una migliore valutazione del libro.
“Io ho gridato al Signore, dal fondo della mia angoscia,
ed egli mi ha risposto;
dalla profondità del soggiorno dei morti ho gridato
e tu hai udito la mia voce.
Tu mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare;
la corrente mi ha circondato,
tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto.
Io dicevo: Sono cacciato lontano dal tuo sguardo!
Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?
Le acque mi hanno sommerso;
l’abisso mi ha inghiottito;
le alghe si sono attorcigliate alla mia testa.
Sono sprofondato fino alle radici dei monti;
la terra ha chiuso le sue sbarre su di me per sempre;
ma tu mi hai fatto risalire dalla fossa,
o Signore, mio Dio!
Quando la vita veniva meno in me,
io mi sono ricordato del Signore
e la mia preghiera è giunta fino a te,
nel tuo tempio santo.
Quelli che onorano gli idoli vani
allontanano da sé la grazia;
ma io ti offrirò sacrifici, con canti di lode;
adempirò i voti che ho fatto.
La salvezza viene dal Signore”.
Ci limitiamo a fare alcune osservazioni:
- Il salmo non presenta alcuna allusione alle speciali contingenze di Giona che si trova ancora nel ventre del pesce.
- Giona ringrazia per una liberazione che non solo non è ancora avvenuta, ma che non sa se avverrà.
- Non c’è nessuna allusione al mandato ricevuto e soprattutto al fatto che non vi ha ubbidito.