Il problema più importante del libro di Giona è la sua interpretazione. Si tratta di un racconto storico oppure di una composizione didattica con intento teologico?
È risaputo che il racconto biblico di Giona ha dato l’opportunità a molti miscredenti per screditare la Scrittura. Renan riteneva che il libro fosse – parole sue – “une drôlerie”, “una buffonata” (Histoire du Peuple d’Israel III, pag. 511). Molti credenti, scossi dagli attacchi, si domandano: Si deve credere che Giona sia stato per tre giorni e tre notti nel ventre di una balena? È la stessa questione che si pose Agostino: “Cosa dobbiamo dire di Giona che si dice sia rimasto tre giorni nel ventre del pesce, il che sembra incredibile? Questo fatto è spesso occasione di scherno da parte dei pagani”. – Epist. 111 q. 6 PL 33,352.
Opinione tradizionale
In genere gli esegeti che rientrano in questa corrente la ritengono una storia vera. Così anche il moderno gesuita P. A. Vaccai.
Argomenti di autorità. Sono il punto forte di questa interpretazione. La tradizione sia giudaica che della prima chiesa sono favorevoli alla storicità del racconto.
- Tradizione giudaica. Il libro apocrifo di Tobia – che pur non facendo parte della Bibbia è comunque parte della letteratura ebraica – in 14:4 dice: “Io credo alla parola di Dio, che Nahum ha pronunziato su Ninive. Tutto dovrà accadere, tutto si realizzerà sull’Assiria e su Ninive, come hanno predetto i profeti d’Israele, che Dio ha inviati; non una delle loro parole cadrà. Ogni cosa capiterà a suo tempo” (CEI). Questa traduzione è tratta dal Codice Sinaitico, ma i manoscritti B e A della versione greca hanno “Giona” invece di “Nahum”. Giona sarebbe quindi collegato a Ninive. Però è più credibile il Sinaitico, perché in Giona la città di Ninive è salvata. Maccabei (un apocrifo del 100 a. E. V.) e Giuseppe Flavio (in Antichità Giudaiche IX 4,1,2) ne parlano come di un fatto storico. Tuttavia, Giuseppe Flavio introduce dei cambiamenti: Giona s’imbarca per Tarso di Cilicia ed è rigettato a terra nella regione del Ponto Eusino (Mar Nero), non fa parola del pentimento di Ninive né della susseguente ira di Giona. Sinceramente dobbiamo dire che la tradizione giudaica è priva di valore, giacché molti elementi fantastici esagerano ancora di più l’elemento miracoloso. Nella tradizione giudaica, infatti, compare quanto segue: il mostro che inghiottì Giona è ritenuto creato apposta sin dall’inizio del mondo, una grossa perla nelle viscere del pesce permette a Giona di vedere, Giona è vomitato da un pesce maschio e poi inghiottito da un pesce femmina che essendo incinta fa star male Giona al punto che invoca Dio. – Jewish Enciclopedia, alla voce “Jona”.
- Tradizione della congregazione primitiva. Yeshùa stesso pone Giona tra i suoi segni, anzi come unico segno: “Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona” (Mt 12:39), “Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non quello di Giona” (Mt 16:4), “Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno ma nessun segno le sarà dato, tranne il segno di Giona” (Lc 11:29). Sembrerebbe quindi che Yeshùa ritenesse il fatto di Giona un fatto reale. Certamente lo riteneva un segno e un preannuncio del futuro.
Esame interno del libro. L’esame non è troppo favorevole alla sua autenticità. Questo è il lato debole dell’opinione tradizionale. Il lavoro dei critici tradizionalisti consiste nel mostrare che non vi sono motivi sufficienti per respingerne la storicità. Si noti già qui l’approccio da una posizione debole: non si cercano punti forti per dimostrarne la storicità (che non ci sono), ma la non sufficienza dei punti che negano la storicità.
- Si tratterebbe di un vero pesce, per cui non è necessario ricorrere alle strane ipotesi di alcuni razionalisti increduli del passato, per evitare il miracolo. Il critico Eichhorn aveva, infatti, proposto un mostro marino morto e galleggiante usato da Giona come zattera. Per altri, “Balena” era il nome di un vascello che accolse Giona. Già. Ma la Bibbia non parla di “balena”, ma proprio diדָּג גָּדֹול (dag gadòl), “pesce grande” (Gna 2:1). Qualcuno ha proposto un’osteria in cui Giona avrebbe alloggiato dopo il naufragio, e l’insegna era ovviamente una balena. E li chiamano studiosi. Qualcun altro, più semplicemente, ha sostenuto che il tutto si svolse in sogno. E citano pure la Bibbia: “Era sceso in fondo alla nave, si era coricato e dormiva profondamente” (Gna 1:5). Bisogna proprio convenire con Reuss: “Le interpretazioni più azzardate e buffe hanno preso il posto del racconto biblico”. – Philosophie religeuse et marale des Hebreux, Introdiction au livre de Jonas, pag. 565.
- Si tratterebbe di uno squalo e non di una balena. Si sa che la balena non può inghiottire un uomo ma solo piccoli pesci che passano attraverso i fanoni (lamine carnali triangolari e sfilacciate, disposte le une accanto alle altre, impiantate nella mascella della balena; erroneamente sono detti “denti di balena” ed erano adoperate per stecche da busti per signora e per le bacchette degli ombrelli). “Il volgo assai comunemente fa di un grosso pesce una balena”, dice T. J. Lamy in Jonas (in D. Apol., prima edizione). Lo studioso fa notare che la parola κῆτος (kètos) usata nella LXX greca per tradurre l’ebraico דָּג (dag ), “pesce”, designa non solo tutti i mostri marini del genere dei cetacei ma anche il pescecane e gli squali. Meno male, almeno, che questo studioso non batte sul fatto che “pesce” non può applicarsi alla balena perché la balena non è un pesce ma un mammifero. Sarebbe stato insostenibile, dato che per gli ebrei del tempo la distinzione non c’era. Comunque, per determinare il tipo di pesce, i commentatori del 16° secolo ricorsero al naturalista francese Rondelet (1507-1565) che scrisse il suo De piscibus marinis (Libro XVIII, Lyon, 1554), secondo cui “nel ventre di un pescecane nei pressi di Marsiglia sarebbe stato trovato un uomo con la corazza”. Passati i secoli, il vizio non fu perso. Nel 1905 le E. König pubblicò in The Expository Times (tavola XVII, pag. 521) il caso straordinario di J. Bartley, pescatore di balene. Nel 1891 sarebbe stato inghiottito da una balena all’insaputa dei compagni che uccisero poi la balena. Caricatala sul vascello, la fecero a pezzi. Aperto il suo stomaco, vi avrebbero trovato il compagno stordito ma non morto. Già. Solo che il The Expository Times citava la storia per smentirla, riportando la testimonianza autorizzata di un testimone oculare. Nel corso dei secoli simili “prove” sono state proposte a più riprese. Non fanno eccezione i Testimoni di Geova. Anche loro sono ricorsi a tentativi di identificare il “grosso pesce”: “Il capodoglio, dalla gigantesca testa quadrata che occupa circa un terzo della sua lunghezza, è capacissimo di inghiottire un uomo intero. (E. P. Walker, Mammals of the World, riveduto da R. Nowak e J. Paradiso, 1983, vol. II, p. 901)” (Ibidem, pag. 1122). Non mettiamo in dubbio la validità della citazione, ma facciamo solo notare che la fonte citata non sostiene che l’uomo intero inghiottito possa rimanere in vita tre giorni interi. D’altra parte, forse la cosa non convince neppure gli editori di Brooklyn se subito dopo optano per un altro animale: “D’altra parte è possibile che il pesce che inghiottì Giona fosse il grande squalo bianco. Uno di questi, preso nel 1939, aveva nello stomaco due squali interi lunghi 2 m, ciascuno grande circa come un uomo. E i grandi squali bianchi erano presenti in tutti i mari, incluso il Mediterraneo. (Nel Mondo degli Animali, Milano, 1980, vol. V, pp. 2689, 2690; R. H. Backus e T. H. Lineaweaver III, The Natural History of Sharks, 1970, pp. 111, 113)” (Ibidem). Stessa domanda: I “due squali interi lunghi 2 m, ciascuno grande circa come un uomo” sono stati trovati vivi? Potevano esserlo dopo tre interi giorni? Ciò che si evita di dire, però, è che lo squalo bianco (come tutti gli squali) attacca l’uomo per sbaglio (scambiandolo magari per una tartaruga marina), ma appena si accorge dell’errore lo rigetta, perfino se è affamato. Comunque, anche questa ipotesi pare non convincere neppure loro, se si aprono possibilità incontrollabili: “Va però notato che la Bibbia dice semplicemente: ‘Geova stabilì che un grande pesce inghiottisse Giona’, senza specificare che tipo di pesce fosse. (Gna 1:17) Non è dunque possibile determinare di che specie di ‘pesce’ si trattasse. In effetti la conoscenza che l’uomo ha delle creature che abitano i mari e gli oceani è piuttosto frammentaria. La rivista Scientific American (settembre 1969, p. 162) osservava: ‘Come è avvenuto nel passato, l’ulteriore esplorazione degli abissi rivelerà senza dubbio creature sconosciute, incluse alcune appartenenti a gruppi ritenuti estinti da tempo’” (Ibidem). Una riflessione però s’impone: ma che necessità c’è di cercare a tutti i costi una spiegazione realistica con tanto di parziali citazioni scientifiche? Se è un miracolo, è un miracolo. E un miracolo è un miracolo. O no?
Il miracolo. Si deve ricordare che il fatto di Giona è miracoloso. È inutile affannarsi per ricercare similitudini – più o meno sicure – per rendere verosimile l’episodio di Giona. Se il libro di Giona è storico, va accolto con tutta semplicità, anche se non si potrà trovare nel mondo attorno a noi alcun fatto simile. Si tratta in tal caso di un miracolo che va accolto perché Dio può compiere anche ciò che per natura può riuscire inesplicabile. Già Girolamo così argomentava: “Chi obietta o è un fedele (ed è tenuto a credere) o un infedele (e allora che legga le Metamorfosi di Ovidio e si ricordi della mitologia greco-latina); se credono alle turpi meraviglie dei falsi dèi, non mettano in dubbio la potenza del vero Dio”. – In Jon. 2,2 PL XXV 1132.
Se invece il libro di Giona vuole essere un racconto didattico (ossia parabolico e non storico), è inutile ricercare episodi simili che ne mostrino la storicità. Più che provare se il fatto sia possibile o no, si tratta di dimostrare se il racconto biblico vuol essere storico oppure no. Forse sono gli occidentali, con la loro mente razionale alla maniera occidentale, che tutto prendono alla lettera con mente chiusa di fronte al modo diverso con cui una mente semita ragionava. Tutto il problema è quindi spostato.
Gli ebrei amano moltissimo insegnare e apprendere attraverso parabole e storielle. Yeshùa stesso fu maestro in questo campo didattico. Si prenda la parabola del buon samaritano. In questo caso, come in molti altri, i personaggi creati sono così realistici che quasi ci sembra che davvero sia vissuto un tale samaritano e che davvero abbia incontrato quel poveraccio sulla strada. E il famoso “figliol prodigo”? Non si fa a volte confusione nella nostra memoria tanto che dobbiamo ricordarci che è una parabola e che non esistettero mai né lui né il padre pieno d’amore filiale che lo riaccolse a braccia aperte? Chissà, a ben pensarci, forse ci si rimane anche un po’ male. Eppure il buon samaritano, il figliol prodigo e suo padre non sono storici. Non vissero mai. E così per tutti i personaggi delle parabole. Racconti didattici, nulla di più. E che racconti! Ma noi come facciamo a sapere che furono solo racconti e che quei fatti non accaddero veramente? La risposta sembrerebbe facile e scontata: la Bibbia dice chiaramente che sono parabole. Ma lo dice davvero sempre chiaramente? Forse sì e forse no.
“Egli [un dottore della Legge], volendo giustificarsi, disse a Gesù: ‘E chi è il mio prossimo?’. Gesù rispose: ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno. Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?’. Quegli rispose: ‘Colui che gli usò misericordia’. Gesù gli disse: ‘Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa’”. – Lc 10:29-37.
Dove è detto che è una parabola? Nel testo la parola “parabola” non appare neppure. Luca non dice da nessuna parte: ‘E Gesù raccontò questa parabola’. Né lo stesso Yeshùa, rispondendo al dottore della Legge, disse qualcosa del tipo: ‘Ti rispondo con un esempio’ oppure ‘Ti rispondo con una parabola’ o ‘Adesso ti racconto una storia’. Il contesto dice semplicemente che “un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: ‘Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?” (Lc 10:25). Dopo aver concordato che per avere la vita eterna bisogna amare Dio e il prossimo, il dottore se ne esce con un’altra domanda: “E chi è il mio prossimo?”. E il testo biblico dice: “Gesù rispose: ‘Un uomo scendeva da […]’”. Tutto qui. E parabola? Non è detto da nessuna parte che lo fosse. Eppure, noi sappiamo che è una parabola. Lo è. Si noti però come Yeshùa la propone. Egli inizia a raccontare semplicemente: “Un uomo scendeva da . . . “. Era il modo semita di insegnare. Il dottore della Legge non ebbe sicuramente dubbi che si trattasse di un racconto inventato per insegnare. Era un semita. Perfino noi non abbiamo dubbi che si trattasse di una parabola. Ma, per capirci, supponiamo che quella parabola non sia parte del Vangelo di Luca. Supponiamo invece che Luca l’avesse scritta a parte, su un manoscritto che contenesse solo l’episodio del samaritano senza riferimenti al dottore della Legge e a Yeshùa. Mettiamo di possedere un manoscritto che dica solo questo:
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: ‘Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno’”.
Beh, se possedessimo un manoscritto che contenesse solo questo testo, i critici farebbero a gara per studiarlo come esempio di uno spaccato dell’epoca. Gli archeologi farebbero scavi e ci indicherebbero forse i luoghi di due o tre posti in cui si presumerebbe ci sia stata la locanda. Ma è una parabola! Racconto didattico, mai storicamente accaduto.
È il modo degli ebrei di insegnare. Questo sistema è usato dagli ebrei credenti ancora oggi. Si vedano tutte le storielle che vengono da loro inventate a scopo didattico.
Conversione dei niniviti. Per i tradizionalisti la conversione dei niniviti è possibile. È vero che nessun altro libro biblico o profano ne parla, tuttavia ciò si spiegherebbe – secondo alcuni – con il fatto che si sarebbe trattato di una conversione temporanea, fittizia e non sincera. Secondo lo studioso Reuss questo accadde poco prima del 612 a. E. V.. Altri studiosi risalgono ad un periodo più antico, quando visse il Giona del libro dei Re, al tempo di Salmanasar II (782-773 a. E. V.), di Asurdan III (772-755 a. E. V.) e di Ashurnirari (754-745 a. E. V.). La potenza assira era allora in decadenza e, in più, non se ne conoscono bene gli eventi per mancanza di annuali. Sotto Salmanasar (8° secolo a. E. V.) vi furono grandi pericoli: incursioni armene, pestilenze, eclissi di sole, sedizioni. Tutto questo potrebbe spiegare il meraviglioso effetto della predicazione di Giona, possibile perché ridotta a poche parole: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Queste poche parole potevano venire facilmente tradotte in assiro da parte di un ebreo e da lui ripetute con grande enfasi e forza spirituale. La cosa è possibile. Lo studioso C. F. Keil osserva acutamente: “La profonda impressione fatta sui niniviti dalla predicazione di Giona, tale che l’intera città si pentì in sacco e cenere, è ben comprensibile, se solo teniamo presente la grande emotività degli Orientali, il timore di un Essere Supremo proprio di tutte le religioni pagane dell’Asia, e la grande stima di cui indovini e oracoli godevano in Assiria dai tempi più remoti […], e se teniamo conto della circostanza che la comparsa di uno straniero, il quale, senza alcun concepibile interesse personale e col più intrepido ardimento, rivelò alla grande città residenza reale le sue empie vie e ne annunciò la distruzione entro un brevissimo periodo di tempo, con la fiducia così caratteristica dei profeti inviati da Dio, non poteva non fare grande impressione sulla mente della popolazione, impressione tanto più forte se la notizia del miracoloso operato dei profeti d’Israele era giunta a Ninive”. – Commentary on the Old Testament, 1973, vol. X, Giona 3:9, pagg. 407, 408.