Affini agli inni sono i canti di ringraziamento in cui si loda Dio per un beneficio ricevuto, che può essere privato o pubblico. Va però ricordato che la lode non manca quasi mai in alcun salmo. La parola ebraica הַלְלוּ־יָהּ (halelu-yàh) – che significa “lodate Yàh” – si può definire la sintesi dello spirito devozionale ebraico.
I canti di ringraziamento, sia pubblici che privati, hanno una composizione affine a quella degli inni.
Privati: 4, 18, 30, 32, 34, 40, 86, 92, 107, 116, 138.
Pubblici: 124, 129.
Ringraziamenti privati. Dopo un’introduzione di lode a Dio, si descrive la grazia ricevuta con l’esposizione del pericolo che si è corso e l’allusione alla fossa (sheòl) o morte cui si è scampati. Si passa poi a glorificare la potenza di Dio. Più raramente si promette un sacrificio. La conclusione può rivestire forme diverse. Generalmente si cantava nel Tempio: lo cantava la persona graziata oppure i leviti a nome suo. Esaminiamo ora questo tipo di salmo di ringraziamento privato prendendo ad esempio il Sl 30.
Sl 30 (TNM)
0 Melodia. 1 Canto 1 d’inaugurazione della casa. 2 Di Davide.
1 Ti esalterò, o Geova, 3 poiché mi hai tratto in alto 4
E non hai fatto rallegrare su di me i miei nemici. 5
2 6 O Geova 3 mio Dio, invocai il tuo soccorso, e tu mi sanavi. 7
3 O Geova, hai tratto la mia anima dallo stesso Sceol; 8
Mi hai mantenuto in vita, perché non scendessi nella fossa. 9
4 Innalzate melodie 10 a Geova, 3 o suoi leali, 11
Rendete grazie al suo santo memoriale; 12
5 Perché essere sotto la sua ira 13 è per un momento,
Essere sotto la sua buona volontà è per tutta la vita. 14
La sera può albergare il pianto, ma la mattina c’è un grido di gioia.
6 In quanto a me, ho detto nella mia tranquillità: 15
“Non mi si farà mai vacillare”.
7 O Geova, 3 nella tua buona volontà hai fatto sì che il mio monte si ergesse nella forza. 16
Nascondesti la tua faccia; mi turbai. 17
8 Te, o Geova, 3 chiamavo;
E a Geova 18 facevo supplica di favore.
9 Che profitto c’è nel mio sangue quando scendo nella fossa? 19
Ti loderà la polvere? Annuncerà la tua verità? 20
10 Odi, o Geova, 3 e mostrami favore.
O Geova, 3 mostrati mio soccorritore.
11 Hai cambiato 21 il mio cordoglio in danza per me;
Hai sciolto il mio sacco, 22 e mi tieni cinto di allegrezza, 23
12 Perché la [mia] gloria ti innalzi melodie e non taccia.
O Geova 3 mio Dio, certamente ti loderò a tempo indefinito. 24
Il poeta, avendo goduto di un lungo periodo di prosperità, si illudeva ormai di possederla o di esserne lui stesso l’artefice. Da qui la sua dimenticanza di Dio e la sua disillusione dovuta ad una malattia quasi mortale che poi lo ha risvegliato alla realtà. Allora gridò disperatamente a Dio che lo sollevò dai suoi malanni.
Note:
Introduzione: lode e ringraziamento.
Accenno alla grazia ricevuta.
Invito alla celebrazione di Dio per il soccorso.
Descrizione della prova.
Motivi di persuasione.
Esaudimento e conclusione.
1 Ci sono due nomi: 1.מִזְמֹור (mitzmòr), qui tradotto “melodia”, che significa “cantico”; 2. שִׁיר (shyr), che significa “canto”. Questi due nomi denotano che il titolo è composito. Originariamente forse era semplicemente “salmo di Davide”, cui fu poi aggiunta l’indicazione liturgica: “Canto d’inaugurazione della casa”. Per TNM questo sarebbe il versetto zero: per il testo ebraico i titoli dei Salmi fanno sempre parte del v. 1.
2 La “casa” è il Tempio di Gerusalemme. Titolo probabilmente aggiunto per adattare il salmo a scopo liturgico (non ha, infatti, attinenza con il contesto). L’aggiunta è del tempo di Giuda Maccabeo, quando fu consacrato il Tempio profanato da Antioco Epifanie (1Maccabei 4:42,43). La festa annuale si celebrava d’inverno. È la festa ebraica di Khanukàh. – Cfr: 10:22.
3 Il testo ebraico ha il tetragramma (יהוה, yhvh), reso da TNM con “Geova”, trascrizione assurda perché si basa sulle vocali errate che i soferìm aggiunsero proprio per impedirne la pronuncia esatta. Il palinsesto Ambrosiano O 39 sup. (della fine del 9° secolo E. V.) lo presenta in caratteri ebraici quadrati.
4 “Mi hai tratto in alto”. Non ci si faccia ingannare dalla traduzione, pensando a chissà quale elevazione. Il verbo ebraico דִלִּיתָנִי (dilytàny) indica il tirare su l’acqua da un pozzo. Il salmista usa questa immagine per dire che Dio lo ha salvato, tirandolo su dalla fossa. – Cfr. Ger 38:6-13.
5 “I miei nemici”. Qualcuno potrebbe pensare che il pericolo del salmista sia derivato dai suoi nemici. Si tratta però solo di una pennellata stilistica che non manca mai in tali salmi. I “nemici” sono anche ricordati nel cantico di Anna: “La mia bocca si apre contro i miei nemici”, “Gli empi periranno nelle tenebre . . . Gli avversari del Signore saranno frantumati” (1Sam 2:1,9,10). Non mancano neppure nel cantico di Miryàm, madre di Yeshùa, durante la sua visita ad Elisabetta: “Egli ha operato potentemente con il suo braccio; ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore; ha detronizzato i potenti” (Lc 1:51,52). Se il salmista fosse morto, i suoi “nemici” si sarebbero rallegrati, ma Dio lo ha tratto dalla fossa come si trae un secchio dal pozzo.
6 Si passa, secondo l’uso, a specificare la ragione della gratitudine, così come fa anche Anna nel suo cantico: “La sterile partorisce sette volte” (1Sam 2:5). Si tratta della guarigione da una malattia che poteva essere mortale (“Mi sanavi”, v. 2).
7 Si noti come la risposta alla preghiera sia immediata: “Invocai il tuo soccorso, e tu mi sanavi”.
8 Secondo la concezione cosmologica degli antichi, lo sheòl era collocato al di sotto della superficie terrestre. Nelle case ebraiche il piano superiore era per l’abitazione del padrone, il piano terreno apparteneva alla servitù e quello sotterraneo era usato come deposito o serviva da carcere. Ad imitazione della casa ebraica il cielo è dimora di Dio, la terra è per l’umanità (che serve Dio, Padrone e Creatore dell’universo) e lo sheòl è il “carcere” in cui sono rinchiusi i morti.
9 Abbiamo qui un chiaro esempio di frasi fatte: chi è gravemente ammalato viene descritto come se già avesse toccato la morte e come se fosse fatto risalire dallo sheòl, il soggiorno dei morti. – Cfr. 1Sam 2:6; Sl 9:14; Dt 32:39.
10 “Innalzate melodie” (ebraico זַמְּרוּ, samrù, “salmeggiate”). Il poeta si rivolge ora agli astanti nel Tempio perché si uniscano a lui nell’atto liturgico della preghiera.
11 “Suoi leali”: “fedeli di lui”, nel testo ebraico. Amici, conoscenti e familiari sono invitati ad unirsi al salmista nella lode.
12 “Santo memoriale”: traduzione poco comprensibile. L’ebraico ha לְזֵכֶר קָדְשֹׁו (lesècher qodeshò): “ricordo di santità di lui”. Con traduce: “Rendete grazie alla sua santa memoria”.
13 “Ira”. Non ha nulla a che fare con l’ira umana che è ingovernabile (At 15:39;19:28): quella divina è un sentimento di sdegno santo: “In quel tempo parlerà loro nella sua ira . . . acceso di sdegno”. – Sl 2:5, TNM.
14 Cfr. Es 20:4-6.
15 “Tranquillità”. La parola scelta per la traduzione è poco appropriata. L’ebraico ha בְשַׁלְוִי (beshalvì). Il vocabolo שלו (shalù) si trova solo qui. Dato il contesto, meglio tradurre con “prosperità” o – meglio ancora – con “baldanza”. Il senso è: “Io dicevo nella mia baldanza: mai vacillerò!”. Questa “baldanza” era data dalla sicurezza di una vita felice, frutto della bontà divina (“Nella tua buona volontà”).
16 “Hai fatto sì che il mio monte si ergesse nella forza”. L’ebraico ha letteralmente: “Stabilisti monte di me potenza”. Una buona traduzione è: “Avevi fatto potente il mio monte” (Con). Si tratta di un idiotismo (modo di parlare popolano) ebraico che significa: “Mi hai dato onore e potenza”. Il testo ebraico è però corrotto, e altri traducono: “Avevi stabilito una forza sul mio monte”, alludendo alla sicurezza sul monte Siòn. Per il senso di “monte” si veda Abd 3: “L’orgoglio del tuo cuore ti ha ingannato, o tu che abiti nei crepacci delle rocce, e stabilisci la tua abitazione in alto; tu che dici in cuor tuo: ‘Chi potrà farmi precipitare a terra?’”.
17 “Nascondesti la tua faccia; mi turbai”. Passaggio stupendo, che la traduzione non rende bene. L’ebraico ha נִבְהָל (nivhàl), altro che “mi turbai”: “Fui terrificato”! Andrebbero poi messi i due punti e non il punto e virgola: “Nascondesti il tuo volto: fui terrificato”. Passaggio bellissimo, espresso in pochissime parole. Si noti anche l’efficacia dei verbi al passato compiuto. Il senso è: È bastato che per un attimo Dio volgesse altrove il suo volto perché finisse la letizia. Si confronti il ricco stolto del Vangelo, che d’improvviso vide rotte tutte le sue speranze più rosee dalla morte fulminea: “Un ricco aveva dei terreni che gli davano abbondanti raccolti. Tra sé e sé faceva questi ragionamenti: ‘Ora che non ho più posto dove mettere i nuovi raccolti cosa farò?’. E disse: ‘ Ecco, farò così: demolirò i vecchi magazzini e ne costruirò altri più grandi. Così potrò metterci tutto il mio grano e miei beni. Poi finalmente potrò dire a me stesso: Bene! Ora hai fatto molte provviste per molti anni. Riposa, mangia, bevi e divertiti!’. Ma Dio gli disse: ‘Stolto! Proprio questa notte dovrai morire, e a chi andranno le ricchezze che hai accumulato?’” (Lc 12:16-20, PdS). Il credente israelita fa direttamente risalire a Dio la malattia, come se provenisse dal semplice venir meno dell’assistenza divina. Stupenda la traduzione di PdS: “Stavo bene e pensavo: ‘Non corro alcun pericolo’. Tu sei stato buono con me, mi hai reso stabile come una montagna; ma quando mi hai nascosto il tuo sguardo, la paura mi ha preso”. – 30:7,8, PdS.
18 L’ebraico non ha qui il tetragramma, ma ha וְאֶל־אֲדֹנָי (veèl-adonày): “o Dio Signore”. Alcuni manoscritti tra i migliori e alcune edizioni antiche hanno però il tetragramma. Non occorre pensare a chissà quali manovre occulte dei soferìm per nascondere il tetragramma. Sarebbe assurdo, perché poco prima esso rimane intatto, come mostrato dal testo che riproduciamo:
8
יְהוָה בִּרְצֹונְךָ הֶעֱמַדְתָּה לְהַרְרִי עֹז הִסְתַּרְתָּ פָנֶיךָ הָיִיתִי נִבְהָל׃
9
אֵלֶיךָ יְהוָה אֶקְרָא וְאֶל־אֲדֹנָי אֶתְחַנָּן׃
Tetragramma (Yhvh) – Veèl-adonày (“O Dio Signore”)
Nota: Lo scarto di un versetto è dovuto al fatto che TNM – contrariamente al testo ebraico che conteggia il titolo del salmo come v. 1 – numera il titolo come v. 0.
19 Il salmista domanda a Dio: Che ci guadagni dal mio sangue se scendo nella fossa? Ovvero: nessuna lode o adorazione può venire a Dio da un morto. Si tratta di un’impetrazione (il cercare di ottenere con una preghiera ciò che si vuole). Il salmista presenta a Dio la ragione logica per cui dovrebbe intervenire ed aiutarlo. Nella sua genuinità l’aspetto egoistico è nascosto dalla devozione: Se muoio, come faccio poi a lodarti? Fa tenerezza e quasi commuove, perché è come se dicesse: Non ti conviene.
20 “Verità”. La parola ebraica è אֲמִתֶּךָ (emitècha): meglio tradurre “la tua fedeltà”. Il salmista sta implorando Dio perché non lo faccia morire, in modo che poi possa lodarlo. Se Dio lo mantiene in vita è per la sua “fedeltà”; qui la verità non c’entra nulla.
21 “Hai cambiato” (ebraico הָפַכְתָּ, hafàchta, “mutasti”). Dio ha mutato il cordoglio in danza.
22 “Sacco”. È il vestito di panno ruvido che gli ebrei portavano in segno di lutto o di penitenza. – Cfr. Sl 35:13.
23 Bella questa figura che – conforme al pensiero pratico ebraico – vede Dio che cambia l’abito al sofferente che lo implora, scena che si perde però nella traduzione, che inizia bene con “hai sciolto il mio sacco” e termina meno bene con “mi tieni cinto di allegrezza” (TNM). L’ebraico ha: “Apristi il mio sacco e mi cingesti di gioia”, come se Dio aprisse il vestito del malato per toglierglielo e poi cingesse ai fianchi del poeta guarito il nuovo abito della gioia. Vengono evocate qui le vesti gioiose usate per recarsi al Tempio. Al posto dei lamenti funebri, la gioiosa danza del ringraziamento. Con tutta probabilità questa danza gioiosa costituiva una parte del rito sacro, come si deduce da altri passi biblici: “Davide e tutta la casa d’Israele sonavano davanti al Signore ogni sorta di strumenti di legno di cipresso, e cetre, saltèri, timpani, sistri e cembali . . . Davide era cinto di un efod di lino e danzava a tutta forza davanti al Signore”. – 2Sam 6:5,14.
24 “A tempo indefinito”: traduzione poco felice, che richiama un ‘tempo non definito’. Stupendo l’ebraico: לְעֹולָם (leolàm), “per sempre”.
Ringraziamento pubblico. Per illustrare questo tipo di ringraziamento abbiamo scelto il Sl 129. Questo salmo è gemello del 124 e appartiene alla stessa collezione (Salmi dei pellegrinaggi). Presenta la medesima freschezza, l’identico stile e l’analogo uso del paragone (che è scelto molto bene). Deve essere opera del medesimo autore, vissuto al tempo postesilico appena dopo la liberazione. Il poeta, guardando panoramicamente la storia dolorosa del suo popolo, ne trae auspicio per un avvenire migliore. Il poeta fa parlare la nazione personificata.
Sl 129 (ND)
1 [Canto dei pellegrinaggi.] 1 Molto mi 2 hanno oppresso fin dalla mia giovinezza, 3 dica pure 4 Israele:
2 «Molto 5 mi hanno oppresso fin dalla mia giovinezza, ma non mi hanno potuto vincere.
3 Gli aratori hanno arato sul mio dorso, 6 vi hanno tracciato i loro lunghi solchi». 7
4 L’Eterno è giusto; egli ha reciso le funi degli empi. 8
5 9 Siano tutti confusi e voltino le spalle coloro che odiano Sion!
6 Siano come 10 l’erba dei tetti, 11 che si secca prima di crescere; 12
7 non ne riempie la mano il mietitore, 13 né le braccia chi lega i covoni; 14
8 e i passanti non dicono: 15 «La benedizione dell’Eterno sia su di voi; noi vi benediciamo nel nome dell’Eterno». 16
Note:
1 Il titolo è molto semplice: שִׁיר הַמַּעֲלֹות (shyr hamaalòt), “canto delle salite”, ossia dei pellegrinaggi verso Gerusalemme che – essendo posta in alto – obbligava ad una salita. Come abbiamo già osservato, forse le “salite” riguardavano i gradini del Tempio.
2 “Mi”: è la nazione d’Israele che parla, personificata (“dica pure Israele”, stesso versetto).
3 “Fin dalla mia giovinezza”: vale a dire dall’inizio del suo sorgere come nazione durante la schiavitù egiziana fino al tempo del poeta. “Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d’Egitto” (Os 11:1). “Io mi ricordo dell’affetto che avevi per me quand’eri giovane, del tuo amore da fidanzata, quando mi seguivi nel deserto”. – Ger 2:2.
4 “Dica pure”: congiuntivo-imperativo giustificato da נא (na), “orsù”. “Dica, orsù, Israele”: יֹאמַר־נָא יִשְׂרָאֵל (yomar-nà israèl). Fuori luogo “ora” di TNM.
5 “Molto”, ebraico רַבַּת (ràbat), con senso avverbiale. Meglio tradurre “troppo”, come in Sl 120:6: “L’anima mia troppo a lungo ha dimorato con chi odia la pace!”. Debole e insignificante l’“abbastanza a lungo” di TNM.
6 “Sul mio dorso”. Il “dorso” (גב, gab) è usato solo qui riferito agli uomini. Etimologicamente, gab indica una cosa convessa, una gobba, che in Ez 10:12 è applicato al dorso dei cherubini: “Tutto il corpo dei cherubini, i loro dorsi, le loro mani, le loro ali . . .”. In Is 51:23 gli oppressori comandano a Israele di stendersi a terra per poi per passarvi sopra in segno di vittoria e conquista: “’Chìnati, ché ti passiamo addosso!’. Tu facevi del tuo dorso un suolo”.
7 “Vi hanno tracciato i loro lunghi solchi”: come un terreno soffre per le arature, così ha patito Israele per la sua oppressione: “Gli aratori hanno arato sul mio dorso”.
8 Ora tocca ai nemici scontare.
9 Iniziano qui due strofe di 4 versi ciascuna:
1a strofa: 1. “Siano tutti confusi e voltino le spalle
2. coloro che odiano Sion!
3. Siano come l’erba dei tetti,
4. che si secca prima di crescere;
2a strofa: 1. non ne riempie la mano il mietitore,
2. né le braccia chi lega i covoni;
3. e i passanti non dicono:
4. ‘La benedizione dell’Eterno sia su di voi’”.
10 “Siano come”. La stessa fine (descritta subito dopo), dice il salmista, facciano i nemici degli ebrei (“Coloro che odiano Sion”).
11 “Come l’erba sui tetti”. Sopra i tetti delle antiche case palestinesi (che erano delle terrazze per lo più di terra battuta) dopo le piogge spesso spuntava l’erba.
12 Questa erba poi si seccava subito, quando il sole iniziava a scottare.
13 Non si faceva in tempo a coglierla.
14 A volte germogliava perfino qualche spiga di frumento, che però non giungeva a maturazione e tanto meno se ne potevano fare dei covoni.
15 “E i passanti non dicono”. La costruzione ebraica significa: “Né i passanti possono dire”. TNM mantiene il senso letterale (che in italiano suona male) e traduce: “Né i passanti hanno detto”, rendendo poco comprensibile il testo. Anticamente, durante la mietitura, i passanti rivolgevano l’augurio di buon raccolto ai mietitori (cfr. Rut 2:4: “Disse ai mietitori: ‘Il Signore sia con voi!’”), ma ciò non poteva essere detto a colui che raccoglieva le scarse spighe sulla terrazza di terra battuta della propria casa. Giusto quindi tradurre come dice il testo ebraico: “I passanti non possono dire”. Si noti la confusione creata da TNM: “Diverranno [i nemici di Siòn; futuro] . . . Né i passanti hanno detto [passato! Come è possibile che i passanti possano compiere l’azione di dire prima che i nemici siano divenuti come l’erba sui tetti?!]”.
16 “La benedizione dell’Eterno sia su di voi; noi vi benediciamo nel nome dell’Eterno”. La conclusione è liturgica: probabilmente la seconda frase (che è una ripetizione della prima) è un’aggiunta, trattandosi di una formula da parte del sacerdote al termine del canto.