Il libro di Ecclesiaste sembra intessuto d’idee contraddittorie. Su questo fatto il direttivo americano che edita La Torre di Guardia fa un commento che – è il caso di dirlo – è la scoperta dell’America (o dell’acqua calda): “Anche se alcuni sostengono che il libro si contraddica, lo dicono solo perché non capiscono che molte volte esso espone l’opinione comune in contrasto con quella che rispecchia la sapienza divina. (Cfr. Ec 1:18; 7:11, 12). Perciò il libro va letto in modo da afferrarne il senso” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 766). Prendendo come spunto l’esempio citato, leggiamo 1:18: “Nell’abbondanza della sapienza c’è abbondanza di vessazione, così che chi accresce la conoscenza accresce il dolore” (TNM) e facciamo un confronto con 7:11,12: “La sapienza . . . è buona ed è vantaggiosa . . . il vantaggio della conoscenza è che la sapienza stessa conserva in vita quelli che la possiedono”. E giriamo la domanda: Ma sapienza e conoscenza vanno ricercate oppure no? Qual è la risposta “che rispecchia la sapienza divina” (Ibidem)? Se vanno ricercate, come mai più le si ricerca e più aumentano vessazione e dolore? E se non vanno ricercate, perché sono definite buone e vantaggiose? Forse la risposta è che sì, vanno ricercate ma non troppo? Vorrebbe allora dire che sono buone in dosi minime ma dannose se vengono approfondite? È una risposta che rifiutiamo. O forse la sapienza che fa male è quella mondana e quella da ricercare è quella divina? Nulla nel testo giustifica questa differenziazione, che l’autore ispirato non fa.
Citiamo solo altri due esempi tra i tanti:
La gioia |
“Non c’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere e del godersi il benessere in mezzo alla fatica che egli sostiene; ma anche questo ho visto che viene dalla mano di Dio”. – 2:24. |
“Io ho riconosciuto che non c’è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del procurarsi del benessere durante la loro vita, ma che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio”. – 3:12,13. | |
“Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere! Ed ecco che anche questo è vanità. Io ho detto del riso: «È una follia»; e della gioia: «A che giova?»”. – 2:1,2. | |
“È meglio andare in una casa in lutto, che andare in una casa in festa . . . La tristezza vale più del riso; poiché quando il viso è afflitto, il cuore diventa migliore. Il cuore del saggio è nella casa del pianto; ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia”. – 7:2-4. | |
La sapienza |
“Dov’è molta saggezza c’è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore”. – 1:18. |
“La sorte che tocca allo stolto toccherà anche a me; perché dunque essere stato così saggio? – 2:15. | |
“Vidi che la saggezza ha un vantaggio sulla stoltezza”. -2:13 | |
“La saggezza dà al saggio più forza che non facciano dieci capi in una città”. -7:19. | |
“La saggezza vale più della forza”. -9:16. |
Partendo da questo fatto, la maggioranza degli studiosi è giunta alla conclusione che nel libro manchi qualsiasi nesso logico, per cui Ec sarebbe una collezione di massime sapienziali slegate tra loro, come nel libro dei Proverbi. Questa posizione è ben rappresentata da F. Delitsch che così scrive:
“Vi manca qualsiasi svolgimento graduale di idee, qualsiasi dimostrazione progressiva; anche il raggruppamento ideale è stato non bene curato. La connessione dei pensieri è spesso determinata da elementi esterni ed accidentali, mentre talora del materiale incongruo si intromette in gruppi armonici. Ogni tentativo di mostrare l’unicità di pensiero e un progresso genetico, un piano generale, un collegamento organico, è fallito e deve necessariamente fallire”. – Commentary on the Song of Songs and Ecclesiastes, Edinburg, 1891, pag. 188.
Altri autori hanno tentato di ricercare in Ec uno schema, ricorrendo a diverse ipotesi. Si è così elaborata
“l’ipotesi delle due voci. Si ammetteva che l’autore riproducesse talvolta il pensiero di avversari delle sue idee [così già in Gregorio il Taumaturgo] o che opponesse due o tre voci che udiva parlare dentro di sé, o ancora che avesse voluto scrivere un dialogo vero e proprio. Ma queste sono congetture che non sono affatto suggerite dal testo”. – A. Lods, Histoire de la littérature hébraique et juive, Paris, 1950, pag. 699.
Si è pure supposto l’intervento di diverse mani nella redazione dl libro, che sarebbe stato così composto da brani di un ateo o di un bigotto, di un modernista o di un tradizionalista. Il secondo avrebbe cercato di correggere quanto il primo affermava. È questa l’idea di C. Siegfried in Prediger und Hohelied, Gottingen, 1898.
Negli ultimi decenni si è sviluppata una nuova teoria: la teoria delle forme, che può essere definita la stilistica del nuovo metodo critico. Questa teoria non insiste su indizi psicologici, ma cerca di trovare un appoggio per la sua indagine nello stesso testo biblico che sottopone ad una indagine strutturale e verbale. Il difetto di questa teoria è che vi gioca sempre l’elemento soggettivo del ricercatore, tuttavia si deve riconoscere che mediante questo tipo di analisi si sono potuti mettere il risalto parole chiave, ritornelli ricorrenti nel testo, le idee principali come l’autore ispirato le vedeva. In tal modo si è cercato di ricostruire lo schema come lo scrittore lo intendeva.
I primi tentativi di questo genere, applicati all’Ecclesiaste, furono compiuti da due studiosi con i seguenti risultati:
- O. Loretz. Non è riuscito a scoprire lo schema di Ec. – Qohelet und der alte Orient, Freiburg, 1964.
- G. Castellitto. Vi ha trovato due grandi parti: una in prima persona (1:1-4:16) e un’altra con ammonizioni all’imperativo (4:17-12:12) (Qohelet and his Wisdom, 1968). Ma dobbiamo dire che il risultato non è consistente, giacché anche nella seconda parte vi sono dei brani in prima persona, come – ad esempio – nel cap. 6.
Visti i vari fallimenti, proponiamo il seguente schema:
- Titolo. – 1:1.
- Poema sul lavoro. – 1:2-11.
- Prima parte del libro: Investigazioni dell’autore sulla vita. – 1:12-6:9.
- Seconda parte del libro: Conclusione dell’autore. – 6:10-11:6.
a) L’uomo non sa quello che è meglio. – 7:1-8:17.
b) L’uomo ignora quello che avverrà. – 9:1-11:6.
- Poema sulla giovinezza e la vecchiaia. – 11:7-12:3.
- Epilogo. – 12:9-14.