Mr 1:1-8 – Note di critica letteraria
Mr non ha creato lui stesso le sue narrazioni in 1:1-15, ma le ha trovate in una sua fonte come piccole unità che poi lui ha riunite con leggeri ritocchi redazionali.
“Inizio del vangelo di Gesù Cristo” (1:1). Il termine “vangelo” (greco εὐαγγέλιον, euanghèlion) è un termine caratteristico di Marco. Probabilmente serve per introdurre tutto il vangelo, ma la parola “lieto annuncio” (“vangelo”, appunto) ricorre anche ai vv. 14 e 15, ragione per cui va certamente attribuito a Marco.
In 1:2-8 tre elementi sarebbero redazionali. Le citazioni scritturistiche (vv. 2,3) sono redazionali: Mt, infatti, le semplifica e le sposta. Redazionale è anche la doppia determinazione del luogo: “nel deserto” (v. 4) e “fiume Giordano” (v. 5), suggerita per ricollegare il passo con la profezia appena citata. È redazionale anche l’espressione “predicando un battesimo” (v. 4). Si tratta qui certamente di un ritocco marciano, dato che l’espressione usuale è “battezzando con un battesimo”: “Essere battezzati del battesimo”, “sarete battezzati del battesimo” (Mr 10:38,39); “Facendosi battezzare del battesimo” (Lc 7:29); “Vi è un battesimo del quale devo essere battezzato” (Lc 12:50); “Con quale battesimo siete dunque stati battezzati?” (At 19:3). È vero che “predicare un battesimo” si ha anche in Lc 3:3 (“predicando un battesimo”), in At 10:37 (“Il battesimo predicato”) e in At 13:24 (“aveva predicato il battesimo”), ma questi passi dipendono da Mr.
Il v. 6 (“Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico”) sembra un’aggiunta di Marco, perché turba la successione tra i versetti precedente e successivi. Il duplice “vi” del v. 8, infatti, si ricollega al v. 5. La successione originaria doveva essere:
“E tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. E predicava, dicendo: ‘Dopo di me viene colui che è più forte di me; al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari. Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo’”. – Mr 1:5,7,8.
In questa armoniosa sequenza propria della fonte utilizzata da Marco, questi deve aver poi inserito il v. 6: “Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico”. Questo inserimento proviene da Mal 4:5 (“Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile”) unito a 2Re 1:8 (“Era un uomo vestito di pelo, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi”, riferito all’abbigliamento di Elia).
Mr 1:9-13 – Note di critica letteraria
In 1:9-13 si hanno il battesimo di Yeshùa e le tentazioni. Qui non sono rintracciabili interventi redazionali di Marco. In ogni caso, l’elemento storico che sta sotto la redazione è innegabile.
La redazione di Marco. Il Vangelo di Mr accresce i rapporti con le profezie delle Scritture Ebraiche, quasi a sottolineare che il battezzatore è colui che avvera in sé le profezie antiche. Gli altri due sinottici (Mt e Lc) citano solo la profezia isaiana, ma Mr la fa precedere da un passo di Malachia che così afferma: “Ecco, io vi mando il mio messaggero, che spianerà la via davanti a me” (3:1). Il battezzatore è quindi il precursore. Si noti poi come entrambe le profezie (Mal 3:1 e Is 40:3) siano presentate con il solo nome di Isaia, in quanto profeta più importante.
L’uso poi della frase isaiana induce Marco a sottolineare che il battezzatore ha “la voce di uno grida” di prepararsi alla venuta del messia nel deserto.
Nel testo marciano vi è continuità nell’azione salvifica attraverso varie fasi: profezie, precursore, il messia. Anche il battesimo di Giovanni è già “un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati” (v. 4) come lo sarà quello di Yeshùa, ma il Messia è presentato come “più forte” (v. 7) e annuncia “il regno di Dio” (v. 15) anziché il solo “ravvedimento”. – V. 4.
Marco, anziché apporre Yeshùa al precursore (come fanno Mt e Lc), mette in rapporto i due battesimi, del battezzatore e di Yeshùa. Marco toglie ogni indicazione escatologica (che riguarda cioè il tempo della fine) eliminando l’elemento del fuoco per lasciare solo: “Lui [Yeshùa] vi battezzerà con lo Spirito Santo” (v. 8). Il battezzatore immerge solo nell’acqua, Yeshùa immerge nello spirito santo. Marco non ricorda l’ira futura, la scure posta alla radice degli alberi, il ventilabro di colui che viene, l’aia dove si separa il grano dalla paglia. Tutto è concentrato nel battesimo che sarà attuato da colui che viene, anzi è già in atto di venire. Probabilmente la presentazione di Marco fu influenzata dalla pratica del battesimo attuato dai primi discepoli: “Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo” (At 1:5); “Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo”. – At 11:16.
Il battesimo di Giovanni secondo Marco
Dopo la citazione di Is 40:3, Marco presenta Giovanni che predica “un battesimo di ravvedimento” (v. 4) a cui i giudei si sottopongono nel Giordano (v. 5). Descrive quindi l’abito e il cibo del battezzatore (v. 6) che predicava la propria inferiorità nei riguardi del Messia (v. 7) che avrebbe battezzato non con sola acqua ma anche con spirito santo (v. 8). Vediamo altri aspetti non ancora trattati.
“Battezzare” viene dal greco βαπτίζειν (bptìzein), frequentativo del verbo βάπτειν (bàptein) che significa “immergere in”. Nella lingua greca il verbo bàptein era usato soprattutto riferito all’immersione del ferro nell’acqua per temprarlo, all’immersione delle stoffe nella tintura e all’immersione della spada nel sangue (quest’ultimo aspetto si riscontra nelle tragedie greche). Il frequentativo baptìzein conserva il significato originale di “immergere in” sia in senso fisico (immergere in un liquido) sia in senso metaforico (purificazione). Anche in italiano si usa un’espressione simile quando si dice “essere indebitati fino al collo”, vale a dire essere immersi nei debiti fino al collo. Anche riguardo a questo verbo dobbiamo subire le conseguenze di quei primi traduttori che anziché semplicemente tradurre preferirono traslitterare. Venne così a crearsi una categoria inesistente nella lingua dei Vangeli. Oggi, dire “battezzare” può significare solo una cosa. Eppure, quel verbo significa “immergere”. Se noi dicessimo che al tempo di Yeshùa si battezzavano le stoffe in certe tinture, questo provocherebbe sorpresa e confusione. Eppure, al tempo si diceva proprio così. Ecco cosa succede a traslitterare. Un altro esempio concreto lo abbiamo presso Giuseppe Flavio: la nave su cui si trovava Giona stava per essere … sommersa? Sì, certo, ma Giuseppe Flavio dice letteralmente “battezzata” (Antichità Giudaiche 9,10,2). Se i traduttori avessero tradotto baptìzein con “immergere” non avrebbero creato la confusione che oggi noi dobbiamo. Erode il Grande aveva ordinato ad un amico di suo figlio Aristobulo di scendere con lui in piscina e di “battezzarlo”; no, non si trattava di una cerimonia religiosa: lo fece annegare (Id. 15,3,3). Nella Bibbia stessa troviamo il verbo baptìzein proprio con il suo significato originale. “Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io bevo, o essere battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?” (Mr 10:38): qui è abbastanza intuitivo: Yeshùa sta domandando se loro possono essere sommersi dalle afflizioni che lo attendono. Meno chiaro – per colpa dei traduttori che anziché tradurre traslitterarono – sarebbe Mr 7:4 (“Vi sono molte altre cose che osservano per tradizione: abluzioni di calici, di boccali e di vasi di rame”) se fosse reso coerentemente con le traslitterazioni suonerebbe: “Vi sono molte altre cose che osservano per tradizione: battesimi [βαπτισμοὺς (baptismùs) nel testo greco] di calici, di boccali e di vasi di rame”. Così Lc 11:38: “Il fariseo, veduto questo, si meravigliò che non si fosse lavato prima del pranzo”, che letteralmente suonerebbe: “Il fariseo, veduto questo, si meravigliò che non si fosse battezzato [ἐβαπτίσθη (ebaptìsthe)] prima del pranzo”. In Lv 11:32 leggiamo: “Ogni oggetto sul quale cadrà qualcuno di essi quando è morto, sarà immondo: sia che si tratti di oggetti di legno o stoffa o pelle o sacco o qualunque altro oggetto di cui si faccia uso; sarà messo nell’acqua e sarà impuro fino alla sera; poi sarà puro”. La LXX greca traduce, letteralmente: “Sarà battezzato [βαφήσεται (bafèsetai)] nell’acqua”.
In Tt 1:3 l’immersione (“battesimo”) è chiamato “il bagno della rigenerazione”. In Ef 5:25,26 abbiamo: “Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola”; qui i traduttori ci hanno messo del loro, così perdiamo la possibilità di gustare un’immagine colma di tenerezza. Anzi, viene trasformata in qualcosa che sa di volgare: quel lavare la chiesa quasi fosse sporca. Paolo sta parlando ai mariti credenti e cita loro l’esempio di Yeshùa che ama la chiesa come una moglie. Paolo non dice affatto che Yeshùa lava la chiesa, quasi una moglie dovesse essere lavata dal marito, ma dice letteralmente: “Il consacrato [Yeshùa] amò la congregazione e si consegnò per essa, affinché la santificasse, purificata col bagno dell’acqua [ἵνα αὐτὴν ἁγιάσῃ καθαρίσας τῷ λουτρῷ τοῦ ὕδατος (ìna autèn aghiàse katharìsas to lutrò tu ΰdatos)]”. Qui si allude al rito del bagno nell’acqua che la sposa faceva per prepararsi all’incontro con lo sposo. Nello stesso modo in cui la sposa prepara il suo corpo con cura ed emozione, facendosi bella con un bagno, nello stesso modo la chiesa si prepara con emozione e aspettativa facendosi bella con un simbolico bagno nella parola santificante di Dio.
Nel caso dell’immersione dei discepoli di Yeshùa si comprende il simbolismo della sepoltura e della resurrezione: “O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?” (Rm 6:3); “Siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti”. – Col 2:12.
L’immersione attuata dal battezzatore non aveva un valore magico in se stessa, ma per i sentimenti che l’accompagnavano. Essa era vivificata dalla fede nella prossima venuta del messia cui il battesimo serviva da preparazione: “Preparate la via del Signore” (Mr 1:3). L’immersione doveva essere accompagnata anche dal “ravvedimento”: “un battesimo di ravvedimento” (v. 4) attuato con la confessione generica dei peccati: “confessando i loro peccati” (v. 5). Il testo usa un participio presente: ἐξομολογούμενοι (ecsomologùmenoi), “mentre confessavano i propri peccati”. – V. 5.
Senza la fede e il ravvedimento, l’immersione a nulla vale. Fede e ravvedimento sono due elementi indispensabili alla salvezza individuale (Lc 13:1-5). Anche la missione dei discepoli di Yeshùa è quella di predicare “il ravvedimento per il perdono dei peccati”. – Lc 24:47.
In tal modo il battezzatore è il successore degli antichi profeti: “Va’, proclama queste parole […]: ‘Torna, o infedele Israele’” (Ger 3:12). Con i profeti si erano interiorizzate le antiche liturgie penitenziali: digiuno (Gdc 20:26; 1Re 21:8,sgg.); lacerazione degli abiti per rivestirsi di sacco (1Re 20:31,sgg.; 2Re 6:30); spargimenti di cenere (Is 58:5); confessione collettiva dei peccati (Gdc 10:10; 1Sam 7:6). Per i profeti occorreva ‘cercare Yah’ (Am 5:6), ‘tornare a Yah con tutto il cuore’ (1Sam 7:3) e tornare a Dio con le dovute condizioni (Ger 3:11,21-15). Questo ravvedimento interiore predicato dal battezzatore sarà insegnato poi anche dalla congregazione dei discepoli di Yeshùa. All’inizio Yeshùa aveva ordinato: “Ravvedetevi” (Mt 4:17); la stessa cosa ripeterono gli apostoli: “Predicavano alla gente di ravvedersi” (Mr 6:12); così insegnò Pietro nel suo discorso alla Pentecoste: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2:38), sotto il portico di Salomone: “Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati” (At 3:19), davanti al sinedrio: “Per dare ravvedimento a Israele, e perdono dei peccati” (At 5:31). La stessa cosa ripeté Paolo: “Ho predicato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento”. – At 26:20.
Senza il ravvedimento e senza la conversione una persona non può salvarsi: “Se non vi ravvedete, perirete tutti”. – Lc 13:3,5.
Secondo Marco, lo scopo del battesimo giovanneo è quello di ottenere “la remissione dei peccati” (Mr 1:4), non quello di mostrare agli altri che si è ravveduti e quindi già perdonati. La fede e il ravvedimento lavorano nell’ubbidienza dell’immersione in modo da procurare la remissione delle colpe. L’immersione è, infatti, compiuta εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν (èis àfesin amartìon): èis indica il movimento (verso) in direzione del perdono che si realizza attraverso l’immersione. Questo senso della particella èis riappare anche in altri passi biblici in cui si presenta l’immersione dei nuovi discepoli: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati [εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν (èis àfesin amartìon)]” (At 2:38); letteralmente: “Ciascuno di voi sia immerso nel nome di Yeshùa il consacrato verso il perdono dei vostri peccati”. Così anche per il sangue sparso da Yeshùa sul palo: “Questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati [εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν (èis àfesin amartìon)]” (Mt 26:28); letteralmente: “Sparso per molti verso il perdono del peccato”. In italiano si direbbe: in vista di.
Leggendo Mr sembra che tutti i giudei siano usciti dalle loro città per farsi immergere nel fiume Giordano senza che Giovanni si opponesse: “Tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano” (1:5). L’opposizione di Giovanni è invece presentata da Mt, Lc e Gv: “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: ‘Razza di vipere’” (Mt 3:7); “Diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: ‘Razza di vipere’”. – Lc 3:7.
L’accorrere da Giovanni per farsi immergere là “nel deserto” si comprende meglio conoscendo le idee di allora. Per prepararsi al messia bisognava andare proprio nel deserto, rinnovando così una specie di esodo e passare nuovamente attraverso le acque come gli ebrei nei guadi del Mar Rosso. Paolo si fece portavoce di queste idee rabbiniche quando diceva che per divenire discepoli di Yeshùa occorreva prima essere immersi nelle acque tra il mare e la nuvola: “Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, passarono tutti attraverso il mare, furono tutti battezzati nella nuvola e nel mare”. – 1Cor 10:1,2.
La superiorità di Yeshùa rispetto al battezzatore è presentata con il simbolismo dello sciogliere i legacci dei sandali come facevano i servi al padrone. Anzi, Giovanni si dice indegno perfino di quel gesto servile: “Dopo di me viene colui che è più forte di me; al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari” (Mr 1:7). Mt presenta un simbolismo simile ma non identico: “Io non sono degno di portargli i calzari”. – Mt 3:11.
C’è un netto contrasto tra acqua e spirito santo. Il battezzatore immerge in acqua, ma il consacrato con lo spirito santo: “Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo”. – Mr 1:8.
Acqua. L’acqua esprimeva il senso dell’ospitalità quando la si offriva a chi era accolto in casa propria: “Lasciate che si porti un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e riposatevi” (Gn 18:4). L’acqua simboleggiava anche la purificazione come la rimozione della sporcizia del corpo: “Non fosti lavata con acqua per pulirti”, “Ti lavai con acqua” (Ez 16:4,9); così diceva Dio a Gerusalemme. L’acqua simboleggiava anche la purezza interiore: “Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male” (Is 1:16). Da tutto ciò il simbolismo dell’acqua riservata specialmente per il tempo messianico:
“Io vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi, e vi ricondurrò nel vostro paese; vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi, e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni”. – Ez 36:24-27.
“In quel giorno” – dice Zc 13:1 – “vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l’impurità”. Ezechiele preannuncia un fiume che sgorgando dal santuario sarebbe sceso fino al Mar Morto per purificarlo. – Ez 47.
Al tempo di Yeshùa l’immersione era divenuta così importante per i pagani che volevano farsi ebrei che assunse quasi lo stesso valore della circoncisione. Sembra che il battezzatore abbia preso la sua immersione (battesimo) dall’uso dei rabbini. I proseliti però non erano battezzati dai rabbini, ma si autoimmergevano davanti a loro. Infatti “gli domandarono: ‘Perché dunque battezzi, se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?’” (Gv 1:25). Nel caso di Giovanni era lui stesso che immergeva, tanto che ricevette il soprannome di “battezzatore” (= immersore o immergente). Giovanni mostrò che la sua immersione e non la discendenza da Abraamo preparava davvero le persone (rabbini compresi) al messia. In questo senso, i vanagloriosi ebrei erano indegni quanto gli incirconcisi. Anche i rabbini avevano bisogno di una conversione interiore: “Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: ‘Noi abbiamo Abraamo per padre!’”. – Lc 3:8.
Spirito santo. È una potenza divina che agisce nel mondo e si posa su alcune persone per conferire loro dei doni particolari. In Sansone creò una forza straordinaria: “Lo spirito del Signore investì Sansone” (Gdc 14:6). Ai profeti recò il messaggio divino, tanto che ciascuno di essi divenne “uomo ispirato” (Os 9:7) o “uomo dall’espressione ispirata” (TNM); per meglio dire – secondo il testo ebraico – “uomo dello spirito” (אִישׁ הָרוּחַ, ish harùakh). Lo spirito santo di Dio aiutò Zorobabele a restaurare Gerusalemme e la nazione: “È questa la parola che il Signore rivolge a Zorobabele: ‘Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio’” (Zc 4:6). Ma lo spirito di Dio doveva posarsi specialmente sul futuro consacrato (messia): “Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore”. – Is 11:2.
Questo spirito viene detto santo non in quanto santifica, ma in quanto procede da Dio. Non si tratta affatto di una persona o di una entità che pur essendo distinta e separata da Dio sarebbe ugualmente Dio (dottrina pagana della trinità). Lo spirito santo è Dio quanto la forza di un uomo è lui stesso; tuttavia, non diciamo che la forza di un uomo sia quell’uomo: diciamo che quella forza è umana e che appartiene a quell’uomo. Così lo spirito santo è divino e appartiene a Dio. Dire “spirito santo” è come dire “braccio santo” ed è come dire “nome santo”:
“Non togliermi il tuo santo Spirito” |
Sl 51:11 |
“La sua destra e il suo braccio santo l’hanno reso vittorioso” |
Sl 98:1 |
“Santo e tremendo è il suo nome” |
Sl 111:9 |
“Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità, e che si chiama il Santo” |
Is 57:15 |
Essendo lo spirito divino la forza o potenza di Dio, il suo “braccio” o la “sua destra” simboleggiano – nella concretezza ebraica – proprio la sua forza. Stessa cosa per il nome: Sl 111:9, dopo aver detto che Dio “ha mandato a liberare il suo popolo” (usando la sua potenza) e che “ha stabilito il suo patto per sempre” (grazie alla sua forza che tutto può), dice che “santo e tremendo è il suo nome”. Per gli ebrei il nome era la persona stessa. Dio è il potente, l’onnipotente: la sua forza (spirito) è onnipotente ed è santa perché appartiene ha colui che per nome ha il Santo.
È questo spirito, la forza santa di Dio, che è il frutto dell’immersione messianica che diviene così superiore a quella praticata da Giovanni. Tutte e due le immersioni conferiscono il perdono dei peccati, ma solo l’immersione nel nome di Yeshùa dona lo spirito santo. Questa santa forza di Dio non poté essere data prima della resurrezione e glorificazione di Yeshùa: “Lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato”. – Gv 7:39.