Il brano mattaico relativo a Giovanni il battezzatore (Mt 3:1-12) è più lungo di quello marciano perché riferisce anche un saggio dei discorsi tenuti dal battezzatore alle persone che venivano da lui. In questo senso Mt si avvicina a Lc. Ci sono tuttavia delle modifiche dovute al fatto che in Mt Giovanni parla ad una speciale categoria di persone. Vediamo prima gli accordi e poi le differenze (differenze, non contrasti).
Secondo Matteo il battezzatore predica il ravvedimento: “Ravvedetevi” (Mt 3:2), aggiungendo: “perché il regno dei cieli è vicino” (v. 2). Si tratta di una modifica mattaica, in quanto la stessa espressione ricorre anche sulle labbra di Yeshùa: “Gesù cominciò a predicare e a dire: ‘Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino’” (4:17) e vi appare la terminologia – caratteristica di Mt – “regno dei cieli” anziché “regno di Dio” (cfr. Mr 1:15). Dopo l’usuale citazione di Is (40:3), Matteo ricorda il modo di vestirsi e di cibarsi di Giovanni (v. 4; cfr. 2Re 1:8) e presenta le persone che si recavano da lui. Queste giungono da “Gerusalemme, tutta la Giudea e tutto il paese intorno al Giordano” (3:5). Le prime due località sono tratte da Mr, che ha però “Giudea” e il plurale “gerosolimitani [οἱ Ἰεροσολυμεῖται, òi ierosolümèitai (i gerosolimitani sono gli abitanti di Gerusalemme) – Mr 1:5]”. La terza località ha una somiglianza con Lc, sebbene qui non siano gli abitanti della regione ad andare da lui ma sia lo stesso Giovanni che “andò per tutta la regione intorno al Giordano” (Lc 3:3). Tutta questa gente veniva a farsi immergere da Giovanni nel fiume Giordano confessando i propri peccati (ἐξομολογούμενοι, ecsomologùmenoi; participio presente: “confessanti”, ad indicare l’azione contemporanea all’immersione). – Mt 3:6.
Nel brano di Mt 3:7-12, caratteristico di Mt (e di Lc), si riferiscono le invettive del battezzatore contro i farisei e i sadducei, mentre secondo Lc sono rivolte alla folla. Mt aveva sintetizzato tutto ricordando solo che il battezzatore era inferiore a “colui sta per venire” (ἐρχόμενος, erchòmenos; participio presente che sta per il futuro mancante nelle Scritture Greche e nella koinè – Mt 3:11). Gli interlocutori di Giovanni (farisei e sadducei, secondo Mt) vengono da lui ἐπὶ τὸ βάπτισμα, epì to bàptisma, “a motivo dell’immersione” (Mt 3:7), vale a dire: non per farsi immergere ma per discutere sul perché mai immergesse. In Mt i farisei e i sadducei sono sempre menzionati insieme (ad eccezione di 22:23,34 dove si pone in ridicolo la resurrezione) e sono presentati come gli avversari di Yeshùa nelle controversie (cfr. 16:1,6,11,12). Quest’associazione dei due gruppi è caratteristica di Mt (non si ritrova in nessun altro Vangelo). Essa è così caratteristica che un raffronto la evidenzia in tutta la sua specificità:
Mt |
Mr |
Lc |
|||
“I farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrar loro un segno dal cielo” |
16:1 |
“Vennero i farisei […] chiedendogli, per metterlo alla prova, un segno dal cielo” |
8:11 |
“Altri, per metterlo alla prova, gli chiedevano un segno dal cielo” |
11:16 |
“Guardatevi bene dal lievito dei farisei e dei sadducei” |
16:6 |
“Guardatevi dal lievito dei farisei” |
8:15 |
“Guardatevi dal lievito dei farisei” |
12:1 |
“Lievito dei farisei e dei sadducei” |
16:11 |
||||
“L’insegnamento dei farisei e dei sadducei” |
16:12 |
Forse questo fenomeno (la menzione di farisei e sadducei insieme) fu dovuta al fatto che quando Matteo stese il suo Vangelo, il Tempio era già stato distrutto e i sadducei avevano quindi perso la loro influenza e si affiancarono in prima linea ai farisei nel combattere i discepoli di Yeshùa. Per Matteo, infatti, la parola “sadducei” sembra indicare tutti i capi giudei non farisei.
Il brano mattaico delle invettive contro i farisei-sadducei (3:9,10) corrisponde a quello lucano. Il battezzatore li chiama “razza di vipere” (3:7). Li rimprovera perché vogliono sfuggire all’ira divina sostenendo la loro origine abraamica, mentre dalle “pietre Dio può far sorgere dei figli ad Abraamo” (v. 9). Viene minacciato l’abbattimento dei loro alberi privi di frutti per darli in preda al fuoco divoratore. – V. 10.
Si può ipotizzare a ragione che queste invettive molto forti Matteo le abbia fatte rivolgere da Giovanni ai farisei-sadducei. Ci sono buone ragioni. Intanto, secondo Luca le invettive sono rivolte alla folla: “Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: ‘Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura?’” (Lc 3:7). Le folle “andavano per essere battezzate da lui”, i farisei-sadducei no: andavano per discutere. Quando Matteo scrive (dopo la distruzione del Tempio nel 70), questa categoria (farisei-sadducei) era decisamente opposta al Regno di Dio. I termini usati da Matteo risentono molto della successiva predicazione di Yeshùa (la decantata discendenza da Abraamo). E poi, se davvero Giovanni avesse usato parole così forti contro i farisei e i sadducei (capi del popolo), avrebbe attirato su di sé e sul proprio movimento l’immediata espulsione dal giudaismo ufficiale. Il lettore occidentale non deve scandalizzarsi. Quella che per noi sarebbe una contraffazione, non lo era affatto per i semiti. Matteo riferisce la verità. La sua è una verità storica retrospettiva. Che dal battezzatore si siano recati anche dei farisei è testimoniato da Yeshùa che li rimprovera per non aver accolto l’immersione di Giovanni: “I farisei e i dottori della legge, non facendosi battezzare da lui, hanno respinto la volontà di Dio per loro” (Lc 7:30). Che vi siano andati anche dei sadducei per interrogare il battezzatore è pure confermato da Gv 1:19,20: “Quando i Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei Leviti per domandargli: ‘Tu chi sei?’. Egli confessò e non negò; confessò dicendo: ‘Io non sono il Cristo’”. Il battezzatore ebbe quindi con loro un colloquio franco, anche se privo d’invettive.
Il richiamo alle vipere fu usato pure da Yeshùa: “Razza di vipere, come potete dir cose buone, essendo malvagi?”; “Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna?” (Mt 12:34;23:33). Tale richiamo si rinveniva anche a Qumràn: “Alcova di vipere”.
Il richiamo ai figli di Abraamo (“Abbiamo per padre Abraamo”, Mt 3:9) era una realtà molto decantata dai farisei e dagli ebrei. Il richiamo alla nascita di veri israeliti dalle pietre è un’espressione propria del battezzatore e non fu usata da Yeshùa, per cui non è possibile dire che Matteo attribuisca al battezzatore una terminologia di Yeshùa.
Matteo riferisce che a questi farisei-sadducei il battezzatore non chiede “frutti [plurale: καρποὺς, karpùs] degni del ravvedimento” (Lc 3:8), ma un unico “frutto [singolare: καρπὸν, karpòn] degno di pentimento (Mt 3:8, TNM). Per salvarsi, costoro devono capovolgere del tutto la loro mentalità: le traduzioni “frutto degno di pentimento” (TNM) o “del ravvedimento” (VR) non sono traduzioni accurate; il testo greco ha τῆς μετανοίας (tes metavòias) che significa “del mutamento di pensiero”. Giovanni sta loro dicendo: “Producete perciò un frutto degno del mutamento di pensiero” o – per dirla in italiano corrente – “dimostrate d’aver cambiato testa”, “date le prove che avete messo la testa a posto”. Per salvarsi, costoro devono capovolgere del tutto la loro mentalità: anche loro, anziché ritenersi salvati perché discendenti di Abraamo, devono comprendere d’aver bisogno di salvezza.
In Lc sono presenti varie categorie: folle (3:7), pubblicani (3:12), soldati (3:14), il popolo (3:15); ogni categoria ha un suo comportamento, e Luca lo spiega. Matteo opera un cambiamento redazionale e applica tutto ai farisei-sadducei, invettive comprese (3:7-12). Matteo non teme di fare queste modifiche: egli adatta il racconto al suo uditorio per rispondere meglio alle esigenze del tempo in cui scrive.
L’immersione avviene nell’acqua del “fiume Giordano”, ἐν τῷ Ἰορδάνῃ ποταμῷ, en to Iordàne potamò (Mt 3:6): si tratta di un moto in luogo; ma avviene εἰς μετάνοιαν, èis metànoian (Mt 3:11), moto a luogo figurato: “verso [in direzione] del cambiamento di pensiero”. Queste parole il battezzatore le rivolge ai farisei-sadducei. Va compresa bene la successione che Mt presenta. TNM non rende tale successione, anzi pare non comprenderla e la travisa: “Avendo scorto molti farisei e sadducei che venivano al battesimo, disse loro: ‘Progenie di vipere, chi vi ha mostrato come sfuggire all’ira avvenire? Producete dunque frutto degno di pentimento; […] Io, da parte mia, vi battezzo con acqua a motivo del vostro pentimento’” (Mt 3:7-11, TNM). Si noti la traduzione: “Io, da parte mia, vi battezzo con acqua a motivo del vostro pentimento” (corsivo aggiunto). Il testo greco, come abbiamo visto, non dice “a motivo di” ma “in vista di”. Ovvero: non è che i farisei-sadducei potevano essere immersi perché si erano prima pentiti, ma dovevano essere immersi per poi pentirsi.
Si noti la differenza tra Mt e Mr–Lc:
Testo tradotto (TNM) |
Destinatari |
Testo greco |
|
Mr 1:4 |
“Il battesimo [in simbolo] di pentimento per il perdono dei peccati” |
Giudei e gerosolimitani (1:5) |
μετανοίας metanòias “di pentimento” |
Lc 3:3 |
“Il battesimo [in simbolo] di pentimento per il perdono dei peccati” |
Folle (3:10), esattori (3:12), militari (3:14), popolo (3:21) |
μετανοίας metanòias “di pentimento” |
Mt 3:11 |
“Vi battezzo con acqua a motivo [?!] del vostro pentimento” |
Farisei e sadducei (3:7) |
εἰς μετάνοιαν èis metànoian “verso [il] pentimento” |
Abbiamo quindi questa sequenza:
Mr e Lc |
Per il popolo: |
Ravvedimento>immersione>perdono |
Mt |
Per i farisei e sadducei: |
Immersione>ravvedimento (perdono) |
In Mt 3:11 non si tratta quindi di immergere i farisei e i sadducei “a motivo” (TNM) o come conseguenza del fatto che si sono ravveduti, ma per ottenere il ravvedimento. Si notino i diversi punti di partenza. La folle, già pentite, confessano i peccati: “Erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando apertamente i loro peccati” (Mr 1:5). I farisei e i sadducei sono invece invitati all’immersione per ottenere il ravvedimento e, di conseguenza il perdono dei peccati. Diodati traduce: “Vi battezzo io con acqua, a ravvedimento” (Mt 3:11); ma traduce “il battesimo del ravvedimento” in Lc 3:3 e “il battesimo della penitenza” in Mr 1:4.
Quella particella greca èis (εἰς) fa la differenza. La particella èis indica un movimento per raggiungere qualcosa di non ancora esistente od ottenuto. Si veda, infatti, Lc 3:3: “Il battesimo [in simbolo] di pentimento per il perdono dei peccati” (TNM). Qui il testo greco ha: βάπτισμα μετανοίας εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν (bàptisma metanòias èis àfesin amartiòn). Si noti quell’èis. Il battesimo è concesso per il pentimento avvenuto: “[in simbolo] di pentimento”, ma èis (verso, in direzione, affinché) il perdono. In Lc è rivolto al popolo; questo avviene al popolo. In Mt (in cui ci si rivolge ai farisei-sadducei) non possiamo ritenere quell’èis come se significasse “a motivo di” (TNM), altrimenti dovremmo coerentemente dire che anche presso Mr e Lc deve avere lo stesso significato di “a motivo di”. Ma questo ci farebbe concludere che il popolo era immerso “a motivo del perdono dei peccati” ovvero, dato che i peccati erano già stati perdonati, erano per questo immersi. Sarebbe una conclusione del tutto sbagliata, ma cui saremmo costretti dalla non corretta traduzione di TNM.
In Mt il ravvedimento è presentato come un atto ambivalente. È frutto di opera umana; alle folle il battezzatore dice: “Producete [voi, con la vostra volontà umana] dunque frutto degno di pentimento” (Lc 3:8). Ma il ravvedimento è anche dono di Dio. Ai farisei e ai sadducei che non sentono il bisogno del ravvedimento il battezzatore raccomanda di chiedere a Dio tale dono (sarebbe altrimenti qualcosa di impossibile per loro), assoggettandosi all’atto umiliante dell’immersione compiuto dalla gente con la confessione dei propri peccati. Che il ravvedimento sia un dono divino è spesso suggerito dalla Bibbia. Yeshùa è stato elevato al cielo “per dare ravvedimento a Israele” (At 5:31) e “anche agli stranieri” (At 11:18). “La bontà di Dio ti spinge al ravvedimento” (Rm 2:4), scrive Paolo al giudeo che non crede. Chi diffonde la buona notizia agli altri deve comportarsi con dolcezza “nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per [èis (εἰς)] riconoscere la verità” (2Tm 2:25). Per inciso, su questo passo si dovrebbe riflettere bene, e dovrebbero farlo soprattutto i Testimoni di Geova. La loro Bibbia traduce: “Se mai Dio conceda loro il pentimento che conduce all’accurata conoscenza della verità” (TNM). Traduzione corretta, ma si noti (e notino loro) che è “il pentimento” quello “che conduce all’accurata conoscenza della verità” e non lo studio. Il poter conoscere Dio (conoscere in senso biblico: farne esperienza personale) – se mai Dio lo conceda – è il frutto del pentimento, non il frutto dello studio e dell’accettazione mentale. Il perdono dei peccati non è che la conseguenza del ravvedimento donato da Dio. – At 5:31.
In Mt 3:11 Il battezzatore parla dell’immersione che sarà effettuata da Yeshùa in questi termini: “Battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco”. Dopo aver indicato la propria inferiorità di fronte a colui che deve venire e di cui non è degno nemmeno di portargli i calzari (in Mr 1:7 e Lc 3:16 “sciogliere il legaccio dei calzari”), Giovanni afferma in qual modo il battesimo messianico sarà compiuto: “Con lo spirito santo e con il fuoco”. In altre parole, esso immergerà la persona nello spirito santo e nel fuoco: l’”in” (greco ἐν, en) è locativo. Mr e Lc hanno solo “nello spirito santo”. Il detto si trova anche presso Mr, benché Marco non ami i discorsi. A cosa si riferiscono queste parole?
Se studiamo la storia dell’esegesi relativa a questa espressione, vediamo che in un primo tempo ci fu incertezza: Origéne vi vide prefigurata la discesa dello spirito santo alla Pentecoste e il susseguente battesimo (Om. 24 in Lc, PG 13,1864). L’incertezza durò fino a Tommaso d’Aquino che così sintetizzò le interpretazioni precedenti: Il battesimo nello spirito santo e nel fuoco può intendersi dello spirito che scese alla Pentecoste in forma di lingue infuocate (Girolamo), oppure il fuoco può riferirsi alla tribolazione (Crisostomo) perché la tribolazione purifica e diminuisce la concupiscenza; si può anche intendere che riguardi la consumazione finale al tempo del giudizio (Ilario) (S. Th. II, 9.66,a 3. A.1). In seguito le parole di Mt furono riferite al battesimo dei discepoli di Yeshùa, anche se non fu del tutto esclusa la Pentecoste. L’opinione che poi si andò sempre più diffondendo era questa: il battesimo di Giovanni era incapace di conferire lo spirito santo: “Lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato“ (Gv 7:39), ma il battesimo di Yeshùa fa abitare lo spirito santo nella persona. Quest’opinione finì con il soppiantarne ogni altra. Fino a tempi recenti era l’unica diffusa nei commenti biblici e negli studi teologici di corrente cattolica. Van Imschost fu il primo cattolico a staccare la profezia del battezzatore dal battesimo dei credenti: egli fece osservare che il contesto collega lo spirito santo e il fuoco alla pula o paglia che viene bruciata: “Egli ha il suo ventilabro in mano, ripulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile” (Mt 3:12). Fu per questa motivazione che alcuni esegeti pensarono di modificare, senza alcun appoggio nei codici, il testo greco per armonizzarlo meglio con questo contesto. Alcuni esegeti eliminarono l’aggettivo “santo” e lasciarono “in spirito” (ἐν πνεύματι, en pnèumati) a cui diedero il valore di “vento” che avrebbe dovuto separare dal frumento la paglia gettata in alto dal ventilabro perché si potesse poi raccogliere e bruciare. Altri esegeti tolgono anche la parola “spirito” (πνεῦμα, pnèuma) per lasciarvi solo “fuoco”, che serve a bruciare la paglia. Strano modo di fare esegesi, modificando il testo greco originale.
Si può arrivare a capire il senso vero dell’espressione? Indubbiamente si tratta di un’immagine inusitata. È vero che la Bibbia parla di “pula” (ebraico מֹּץ, mots) gettata via dal vento: “Non così gli empi; anzi son come pula che il vento disperde” (Sl 1:4); “Siano come pula al vento” (Sl 35:5); “Come la pula che il vento porta via dall’aia” (Os 13:3); “Cacciate, come la pula dei monti dal vento” (Is 17:3); e una sola volta della “paglia” (ebraico תֶבֶן, tèben): “Sono essi come paglia al vento” (Gb 21:18). Però, nella Bibbia non si parla mai della pula o della paglia bruciata nel fuoco. Questa espressione ricorre solo qui in Mt 3:12 (e nel parallelo di Lc 3:17: “Ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”). Si noti che i due termini (“spirito santo” e “fuoco”) sono introdotti da una preposizione unica (ἐν, en; “in”):
ἐν πνεύματι ἁγίῳ καὶ πυρί
en pnèumati aghìo kài pürì
in spirito santo e fuoco
– Mt 3:11.
I due termini si riferiscono quindi ad un atto unico, e precisamente a quello finale di Yeshùa, presentato dal battezzatore come giudice. Giovanni vede Yeshùa come il messia (l’unto, il consacrato) escatologico (degli ultimi tempi). Secondo lui egli darà lo spirito divino (santo) ai credenti, ma annienterà gli empi col fuoco. Il battezzatore s’immagina il messia sulla scia delle convinzioni messianiche del suo tempo, ovvero come un conquistatore che avrebbe messo a ferro e a fuoco gli empi per distruggerli affinché potesse sussistere solo il popolo di Dio. La duplice attività del messia è presentata con lo spirito santo che vivifica il frumento da deporsi nel granaio e con il fuoco che distrugge ogni malvagità, raffigurata dalla pula gettata nel fuoco. La concezione che lo spirito santo sarebbe stato effuso sul popolo di Dio specialmente negli ultimi tempi è spesso ripetuta nella Sacra Scrittura: “Avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spargerò in quei giorni il mio Spirito” (Gle 2:28,29); cfr. At 2:17; Rm 8:16; 1Cor 6:11; 1Pt 4:14). Il “fuoco” era spesso associato con il castigo degli empi che sarebbe stato attuato proprio dal messia: “Il Signore, Dio, mi fece vedere questo: Il Signore, Dio, annunciava di voler difendere la sua causa mediante il fuoco: il fuoco divorò il grande abisso e divorò la campagna” (Am 7:4); “Chi potrà resistere nel giorno della sua venuta? Chi potrà rimanere in piedi quando egli apparirà? Egli infatti è come il fuoco del fonditore” (Mal 3:2); “’La sua ròcca fuggirà spaventata e i suoi prìncipi saranno atterriti davanti al vessillo’, dice il Signore che ha il suo fuoco in Sion e la sua fornace in Gerusalemme” (Is 31:9); “Quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato”. – Is 43:2.
Anche io verbo usato in Mt 3:12 è particolare. È erroneamente tradotto “ripulirà interamente la sua aia”. Così anche TNM: “Egli pulirà completamente la sua aia”. Ma il senso greco è altro. Il testo originale ha, infatti, διακαθαριεῖ (diakatharièi), che significa “purificherà”. Questo verbo si trova solo qui e in Gv 15:2: “Ogni tralcio che dà frutto, lo pota [καθαίρει (kathàirei)] affinché ne dia di più”; in questo passo TNM traduce bene: “Ognuno che porta frutto lo purifica”. Il prefisso δια (dia) indica “attraverso”. In Gv si “purifica” potando, in Mt si “purificherà” attraverso il vento che separa la paglia. In tutti e due i casi (gli unici delle Scritture Greche in cui il verbo “purificare” è usato) si tratta di togliere il male per ravvivare ciò che è salvabile.
Il battezzatore immaginava dunque il messia secondo le attese ebraiche del tempo. Nelle sue parole non appare l’opera salvifica e misericordiosa di Yeshùa che vuole la conversione e non la morte del peccatore, anzi, che muore lui stesso per dare vita ai colpevoli. Non era questo che gli ebrei s’immaginavano, tanto che poi rifiutarono Yeshùa proprio perché non corrispondeva alle loro attese messianiche.
Le frasi usate dal battezzatore sono molto lontane dalla presentazione che i discepoli di Yeshùa avrebbero poi fatto di lui. È proprio per questo che esse hanno il marchio della genuinità. Se fossero state inventate, sarebbero state create più in armonia con l’attività di Yeshùa.
Matteo, riprendendo le frasi di Giovanni il battezzatore, le applica alla parusìa (apparizione) finale di Yeshùa: “Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 7:19); “Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna?” (Mt 23:33). Le condizioni che il battezzatore pone come requisiti per accogliere il messia, Matteo le presenta per entrare nel regno escatologico.