Una caratteristica di Gv è che – a differenza dei tre sinottici – esso si sofferma sull’attività di Yeshùa in Giudea. In Gv si mostra di sapere che Yeshùa era stato in Galilea e vi aveva esercitato il suo ministero, ma Gv si concentra quasi esclusivamente sul ministero di Yeshùa in Giudea (aspetto che viene trascurato quasi del tutto dai tre sinottici).
La domanda che si pone lo studioso è: Gv conosce bene i luoghi oppure no? La domanda non è oziosa: verso la fine del 1800 qualche studioso cercò di dimostrare che quando lo scrittore di Gv aveva bisogno di scrivere il nome di un luogo metteva quello che gli veniva in mente, senza preoccuparsi se andava bene o no. Gli studiosi a volte (troppo spesso, forse) fanno ipotesi strane e fantasiose, ma queste – per essere confutate o confermate – costringono ad approfondire gli studi, e questo di certo è il lato buono della cosa. Comunque, dalla fine del 1800 si sono compiuti molti studi in campo geografico, e questi hanno fatto cambiare opinione a chi aveva messo in dubbio la conoscenza geografica dello scrittore di Gv, specialmente per la Giudea meridionale.
Il Vangelo di Giovanni ricorda una dozzina di località che non sono nominate nei sinottici. Vediamone alcune.
Cana di Galilea. Si tratta probabilmente dell’attuale Khirbet Qana situata a circa 16 km a nord di Nazaret, dove giacciono le rovine di un antico villaggio. Vediamone la menzione fatta da Gv:
“Gesù dunque venne di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un ufficiale del re, il cui figlio era infermo a Capernaum. Come egli ebbe udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, andò da lui e lo pregò che scendesse e guarisse suo figlio, perché stava per morire. Perciò Gesù gli disse: ‘Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete’. L’ufficiale del re gli disse: ‘Signore, scendi prima che il mio bambino muoia’. Gesù gli disse: ‘Va’, tuo figlio vive’. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detta, e se ne andò. E mentre già stava scendendo, i suoi servi gli andarono incontro e gli dissero: ‘Tuo figlio vive’. Allora egli domandò loro a che ora avesse cominciato a star meglio; ed essi gli risposero: ‘Ieri, all’ora settima, la febbre lo lasciò’. Così il padre riconobbe che la guarigione era avvenuta nell’ora che Gesù gli aveva detto: ‘Tuo figlio vive’; e credette lui con tutta la sua casa. Gesù fece questo secondo segno miracoloso, tornando dalla Giudea in Galilea”. – 4:46-54.
È detto in questo passo che l’ufficiale che chiede la guarigione del figlio abitava a Capernaum (o Cafarnao), che si trova sul Lago di Tiberiade (o Mar di Galilea). Tale lago giace a circa 209 m sotto il livello del Mar Mediterraneo; Capernaum è al livello del lago. Cana è invece situata sulle alture, assai più in alto di Cafarnao. È logica quindi l’insistenza con cui l’ufficiale chiede a Yeshùa di scendere a casa sua: “Lo pregò che scendesse” (v. 47), “Signore, scendi” (v. 49); “Mentre già stava scendendo”. – V. 51.
Samaria. È interessante l’incontro di Yeshùa con la samaritana. Le indicazioni geografiche sono precise. Yeshùa “lasciò la Giudea e se ne andò di nuovo in Galilea. Ora doveva passare per la Samaria” (4:3,4). “Doveva passare per la Samarìa”: strada obbligata, e Gv conosce bene la regione. “Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe; e là c’era il pozzo di Giacobbe” (4:5,6). Qui Yeshùa incontra una samaritana venuta ad attingere acqua e le chiede da bere; poi lui stesso le offre dell’acqua. “Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo” (v. 11). Il pozzo era, infatti, uno dei più profondi della Palestina. Yeshùa, “stanco del cammino, stava così a sedere presso il pozzo” (v. 6), e da quella posizione poteva spaziare con lo sguardo a ovest, sul monte Gherizim, di cui la samaritana dice: “I nostri padri hanno adorato su questo monte” (v. 20); il tempio dei samaritani era lì, ancora visibile. Verso sud-est, sulla pianura, c’erano i campi di grano pronti per la mietitura, e Yeshùa li indica per trarne un insegnamento: “Alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura” (v. 35). Lo scrittore di Gv era persona che conosceva bene i luoghi.
Gli studiosi, se ora pure convinti, trovavano però ancora un problema nel nome di quella cittadina in cui Yeshùa si era fermato: “Una città della Samaria, chiamata Sicar” (v. 5). Questa Sicar era ignota, mai nominata altrove. Qualcuno tentò di identificarla con Askar, un piccolo villaggio un po’ lontano, a settentrione del pozzo. Ma questo villaggio è del tutto recente, privo di riscontri che ci facciano ipotizzare una sua esistenza al tempo di Yeshùa. Poi, nel 1913 un gruppo di archeologi tedeschi iniziò degli scavi nel Tell Balatah accanto al pozzo di Giacobbe. Essi si accorsero con meraviglia che quella località andava identificata con la biblica Sichem (la moderna Nablus, città palestinese, nei Territori). Ora, nell’antica versione siriaca dei Vangeli, al posto di Sicar si legge “Sechem” (in 4:5). Questa grafia è preferibile e risulta confermata da Girolamo che scriveva che “Sicar” non è altro che un errore del testo per “Sichem” (Quaestiones in Genesim 48,22 PL 23,1055). Questo luogo si adatta bene all’incontro della donna con i suoi concittadini samaritani (“La donna lasciò dunque la sua secchia, se ne andò in città e disse alla gente: ‘Venite a vedere’” – vv. 28,29). Yeshùa, risalendo dal sud al nord si ferma al pozzo che si trova a meno di un km da Sichem, mentre “i suoi discepoli erano andati in città a comprar da mangiare”. – V. 8.
Enon. Mentre Yeshùa era in Giudea, il battezzatore (ovvero Giovanni) predicava e battezzava “a Enon, presso Salim” (3:23). Là, dice Gv, “c’era molta acqua” (v. 23). “Ivi erano acque assai” traduce meglio Diodati, rispettando il plurale del testo greco che fa pensare a delle sorgenti d’acqua. L’ubicazione di Enon è stata molto discussa. Era posta tradizionalmente al limite meridionale della Galilea, a 12 km a sud di Beisan (Beschean o Scitopoli). Eusebio, infatti, afferma: “Enon, dove battezzava Giovanni, è situata presso Salim, e può essere indicata ancor oggi a circa tre miglia da Scitopoli nella parte meridionale, vicino a Salim e al Giordano” (Onom 41,1-3). Di recente, comunque, è stato suggerito il luogo dove si trova, in Samaria, la sorgente di Ainun (a sud del wadi* el-Farah – *Il wadi è un torrente ricco d’acqua durante il periodo delle piogge), distante circa 10 km dal villaggio di Salim (che è a 6 km ad est di Nablus). Gli scavi archeologici hanno dimostrato che lì c’erano molte sorgenti d’acqua che potevano essere usate per le molte immersioni dei battesimi (“La gente veniva a farsi battezzare” – v. 23). In questo luogo Giovanni il battezzatore si era rifugiato venendo via da Betania (1:28), forse per sfuggire all’ira di Antipa. Dato che questo luogo si trovava in Samarìa e lì in Samarìa Giovanni aveva battezzato molte persone, si comprende meglio ciò che Yeshùa disse agli apostoli: “È vero il detto: ‘L’uno semina e l’altro miete’. Io vi ho mandati a mietere là dove voi non avete lavorato; altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica” (4:37,38). Queste parole Yeshùa le disse loro proprio mente si trovava in Samarìa.
Gerusalemme. In Gv è ricordata la piscina di Siloe (Siloam), in cui il cieco doveva lavarsi per essere guarito: “Va’, làvati nella vasca di Siloe”. – 9:7.
In Gv si parla anche del “torrente Chedron” (18:1), che nel testo non è detto propriamente “torrente” (come tradotto), ma χείμαρρος (chèimarros), nome che designa un wadi. Molto bene traduce TNM: “Torrente invernale di Chidron”. Quando Yeshùa l’attraversò con i suoi discepoli era probabilmente asciutto, essendo verso aprile (Yeshùa è arrestato in quel luogo nel periodo pasquale).
Questi nomi geografici non creano agli studiosi nessuna difficoltà perché sono molto noti, essendo citati in tanti passi biblici.
Sempre a Gerusalemme, Gv menziona il portico di Salomone. “Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone” (10:23). “Era d’inverno” (v. 22). Non possono esserci dubbi sull’esistenza di questo portico di Salomone, dato che – secondo Giuseppe Flavio (Antichità Giu-daiche 20,7,9) – si trovava sul lato orientale del colonnato che circondava il cortile esterno del Tempio. I particolari dati da Gv sono molto naturali: Yeshùa vi aveva cercato riparo contro il freddo e il maltempo (“passeggiava” – v. 23) perché “era inverno” (v. 22), e precisamente ricorreva “la festa della Dedicazione” (v. 22). Questa era una festa non mosaica, istituita al tempo dei Maccabei. Si tratta di indicazioni che non hanno alcun legame con il racconto e sono semplici ricordi di un testimone oculare che ripensa al freddo e alla festa. Anche questa è una dimostrazione della conoscenza personale che l’autore di Gv ha di Gerusalemme.
Betesda. “A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c’è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici” (5:2). Si tratta della famosa piscina dei cinque portici, ritenuta in passato una invenzione di Gv, tanto più che la tradizione manoscritta (molto incerta, per la verità) presentava altri nomi: Bezata, Belzeta, Betsaida. Ma gli scavi iniziati del 1878, a circa un km a nord del Tempio, e ripresi nel 1931 e 1932, misero in luce una piscina doppia, circondata da portici ai quattro lati e con un portico centrale largo 6 metri e mezzo che divideva la piscina in due, una più alta e l’altra un po’ più bassa. Ecco così chiarito l’enigma dei cinque portici. Questa stessa piscina è anche ricordata nel “Rotolo di rame” rinvenuto tra i reperti di Qumràn; da ciò è stata confermata sia l’esattezza di Gv sia il nome di Betesda. La piscina doveva essere profonda 16 m; il paralitico di cui Gv parla in 5:5 doveva essere portato nella vasca e anche sostenuto a galla durante l’immersione: “Io non ho nessuno che, quando l’acqua è mossa, mi metta nella vasca” 8v. 7), di qui la sua difficoltà ad arrivare per primo: “E mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me” (v. 7). L’acqua doveva arrivare a tratti: quando il deposito d’acqua nella montagna si riempiva, allora l’acqua rifluiva nella piscina portando sali e gas salutari per le malattie; dava l’idea – nell’immaginario popolare – che a muovere l’acqua fosse un angelo (“Un angelo scendeva nella vasca e metteva l’acqua in movimento” – v. 4). Yeshùa, nel guarire il paralitico, non lo affida affatto all’“angelo”, ma lo guarisce direttamente: “Àlzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina”. In quell’istante quell’uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare” (vv. 8,9). Secondo gli studi effettuati, pare ci fosse stato sul posto un luogo di culto al dio Asclepio – costruito dai soldati romani stanziati lì -, con tanto di piscina per le immersioni. Gv oppone al “guaritore” pagano il vero guaritore, Yeshùa.
Lastricato. “Pilato dunque, udite queste parole, condusse fuori Gesù, e si mise a sedere in tribunale nel luogo detto Lastrico, e in ebraico Gabbatà [probabilmente “altura”]” (19:13). Doveva trattarsi di un cortile lastricato posto nella sede del governatore. Fino a tempi recenti (e qualcuno lo sostiene ancora oggi) si riteneva che dovesse trovarsi nel palazzo di Erode dove questi aveva fissato la sua dimora nel 65 E. V. (De Bello Judaico, 2,14,2). Ma gli scavi non portarono alla luce nessuna traccia di pavimentazione. Poco dopo il 1930 furono però iniziate le ricerche nella Torre Antonia, eretta a fianco del Tempio perché i governatori vi sorvegliassero l’attività e individuassero subito le possibili agitazioni.
Proprio in questa zona si rinvenne un cortile lastricato di oltre 2000 m² posto su un terreno roccioso elevato; da qui la denominazione di Gabbathà, “altura”. Tutto questo conferma le cognizioni topografiche di Gv che doveva conoscere bene quei luoghi. I giudei, per non contaminarsi, non entrarono nella Torre Antonia, ma si fermarono al colonnato dell’entrata nel cortile: “Essi stessi non entrarono nel palazzo del governatore, affinché non si contaminassero” (18:28, TNM). È per questo che Pilato deve entrare nel palazzo e poi uscire per palare con i giudei: “Pilato dunque andò fuori verso di loro” (18:29); “Pilato dunque rientrò nel pretorio” (18:33); “Uscì di nuovo verso i Giudei”. – 18:38.
Betania. Questo borgo si trova a est del fiume Giordano. “Queste cose avvennero in Betania di là dal Giordano” (1:28). Betania era in Perea, sottoposta ad Erode Antipa; fu qui che Yeshùa incontrò Giovanni il battezzatore e si fece battezzare da lui (vv. 28-34). Qui a Betania Yeshùa tornò durante l’ultima opposizione dei giudei a Gerusalemme: “Essi cercavano nuovamente di arrestarlo; ma egli sfuggì loro dalle mani. Gesù se ne andò di nuovo oltre il Giordano, dove Giovanni da principio battezzava, e là si trattenne” (11:39,40). Un luogo per i battesimi è ben difficile da identificare dopo due millenni, e difatti tale luogo non è stato ancora identificato. Ma è del tutto verosimile che Betania sia esistita. Tanto più che, non avendo alcun valore simbolico, non avrebbe avuto senso una sua invenzione da parte di Gv.
Efraim. Dopo che i giudei fecero dei piani per uccidere Yeshùa, egli “non andava più apertamente tra i Giudei, ma si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim; e là si trattenne con i suoi discepoli” (11:54). Sembra che il luogo vada identificato con El Taiyben (a 4 miglia a nord-est di Betel), da cui si gode uno stupendo panorama sul deserto di Giuda e sulla profonda depressione giordana a circa 20 miglia a nord di Gerusalemme.
Va sottolineato che gran parte di parte di tutti questi particolari legati alla geografia non hanno valore simbolico, per cui Gv – che, al contrario, ama i simbolismi dei suoi racconti – non aveva nessuna ragione per riferirli, se non per fornire dati strettamente storici legati alla sua esperienza personale. L’autore di Gv si muove in un paese che conosce molto bene. Ora tutto ciò si accorda perfettamente con l’origine del Vangelo dell’apostolo Giovanni.