L’antica critica che rimandava gli scritti biblici delle Scritture Greche solo al 2° secolo (privandoli così del loro valore storico) è ormai superata da tempo. Assodata la storicità degli scritti, le valutazioni della critica moderna sulla chiamata di Paolo si riducono fondamentalmente a due: i fattori psicologici interiori e il fenomeno esteriore.

   Mutamento psicologico interiore. Questa è la tesi di molti studiosi che pretendono di spiegare il radicale mutamento di Paolo con un intenso lavoro interiore e con lo sviluppo naturale del suo animo che lo avrebbe portato a mutare vita. Secondo questa bizzarra teoria, l’apostolo avrebbe falsamente attribuito il tutto a una visione. Questi studiosi vanno anche oltre. Paolo, prima della visione sulla via per Damasco, sarebbe stato un allucinato e un nevrotico. Per questa “diagnosi” ci si fa forti della personalità tutta particolare di Paolo da come appare dai suoi scritti. Si confonde il vero genio spirituale tutto preso dalla sua devozione con il disordine mentale. La visione, quindi, non sarebbe altro che un’allucinazione (conseguenza di giorni e giorni di viaggio faticoso nel deserto siriaco). Questi studiosi credono di rinvenire alcuni indizi che, secondo loro, spiegano il mutamento di Paolo. Vediamoli.

  1. Bisogno di giustizia e di santità nel fariseo Saulo che non poteva essere soddisfatto appieno dalla Legge: questa, pur ponendo obblighi, non forniva la capacità operativa. – Rm 7.
  2. Lo spirito liberale del rabbino Gamaliele (che si opponeva alle persecuzioni dei discepoli di Yeshùa per il semplice motivo che se essi fossero stati approvati da Dio sarebbe stato inutile combatterli, mentre se si fosse trattato di un fenomeno umano sarebbero scomparsi da soli – At 5:34-39) – avrebbe lasciato una notevole impronta nell’animo del suo discepolo Saulo.
  3. La migliore conoscenza di Yeshùa e del suo annuncio, attinta in discussioni con i discepoli di Yeshùa, e specialmente con il gruppo ellenista capeggiato da Stefano (At 6:8-10;7:58;8:3), può aver scosso un po’ la sua incrollabile fermezza.
  4. L’eroismo e la fede dei martiri deve aver stupito l’animo dell’accanito persecutore. Egli non poté facilmente dimenticare le parole di Stefano morente sotto la gragnola delle sassate: “Vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio”, “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore, non imputar loro questo peccato”. – At 7:56,59,60.
  5. La stessa ira di Saulo contro i discepoli di Yeshùa può essere stata un’ira contro se stesso che sentiva vacillare la propria fede nella Legge divina.

   Forse alcuni di questi dati possono aver influito nel preparare psicologicamente Paolo, ma di certo non possono aver provocato il suo cambiamento improvviso e radicale. Certi dati psicologici possono anche spiegare il suo cambiamento, ma di certo non lo poterono causare.

   Per quel profondo cambiamento ci voleva qualcosa di subitaneo e decisivo, qualcosa al di fuori dello stesso Paolo. Ci voleva un evento straordinario. E questo evento non fu forse l’apparizione di Yeshùa risorto, proprio come lo stesso Paolo dice? Sì che lo fu. Lo dice lui stesso.

   Perché allora cercare e ricercare spiegazioni umane – contro la testimonianza personale di Paolo – quando il testo biblico è così chiaro? Uccidendo i discepoli di Yeshùa egli era certo di dare gloria a Dio. Yeshùa lo aveva detto: “L’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio” (Gv 16:2). Altro che conflitti psicologici interiori. L’unica sua attenuante e preparazione alla chiamata era la coscienza retta con cui credeva di mettere in atto la sua persecuzione: “Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità”. – 1Tm 1:13.

   Fattore esterno. Non si sa qui se ridere o sorridere scuotendo ironicamente la testa. Per lo studioso Renan un temporale con un lampo accecante, capitato verso la conclusione del viaggio per la spedizione punitiva di Paolo a Damasco, sarebbe stato interpretato dal futuro apostolo come un’azione del Cristo perseguitato. Spaventato, Paolo avrebbe subito cambiato atteggiamento. Che dire? Purtroppo, c’è anche chi legge la Bibbia così: “E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d’improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo [che sarebbe un lampo] e, caduto in terra, udì una voce [che sarebbe un tuono]” (At 9:3,4). Lo studioso trova addirittura dei paralleli biblici: “Nei cieli Geova tuonava, E l’Altissimo stesso dava la sua voce”, “Dal fulgore di fronte a lui passarono le sue nubi, grandine e carboni di fuoco ardenti” (Sl 18:3,12 TNM). L’accostamento però non convince. Non è sostenibile. In Sl l’intervento di Dio è descritto con un cataclisma. Cosa ben diversa in At. Qui non si parla né di temporali né di lampi né di tuoni. Si parla di una luce sfolgorante e di una voce. Una voce, “una voce che gli diceva: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’” (At 9:4). Quando mai i tuoni parlano?

   Per chi sa credere, il cambiamento radicale di Paolo fu dovuto a un’azione miracolosa del Cristo risorto. È solo così che si spiega l’espressione di Paolo: “Non ho veduto Gesù, il nostro Signore?”. – 1Cor 9:1.

   Lo storico dovrebbe fermarsi di fronte ad un fatto esteriore nuovo. Il credente può prestare fede all’interpretazione che di tale esperienza ci offre Paolo stesso. Da quel preciso momento il persecutore divenne testimone di Yeshùa: anziché costringere i discepoli a bestemmiare il nome del Messia, affermò dinanzi a tutti (anche a costo della sua vita) che solo in quel nome vi è la salvezza dai peccati: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati”. – At 4:12.

   In quel preciso momento Paolo, divenuto cieco con i suoi occhi di carne, vide per la prima volta la realtà del Cristo e ne divenne “strumento” scelto da Yeshùa per portare il suo nome “davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele” (At 9:15). Tutto ciò che per lui era stato prima amato ed esaltato, ora lo reputava spazzatura allo scopo di guadagnare Cristo:

“Benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d’Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti”. – Flp 3:4-11.