51-64 E. V.
Dopo la prigionia romana è possibile sapere qualcosa di preciso riguardo a Paolo? Fu liberato dalla prigionia? Poté fare dell’altro lavoro missionario? Sembra di sì.
Eusebio vede la prova della liberazione di Paolo nelle frasi paoline di 2Tm 4:16,17: “Nella mia prima difesa nessuno si è trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato; ciò non venga loro imputato! Il Signore però mi ha assistito e mi ha reso forte, affinché per mezzo mio il messaggio fosse proclamato e lo ascoltassero tutti i pagani; e sono stato liberato dalle fauci del leone”. Eusebio così commenta: “Con ciò dice chiaramente che la prima volta fu liberato dalla bocca del leone perché potesse compiere la predicazione; e nel leone è abbastanza evidente che vuol raffigurare Nerone”. Poi Eusebio dice “essere tradizione” (lògos èchei) che Paolo ripartisse per il ministero della predicazione e che poi tornasse nuovamente a Roma per terminarvi la vita con il martirio (Eusebio, Storia Ecclesiastica 2,22,2). La liberazione dalla bocca del leone è riferita alla prima prigionia paolina da Girolamo (De viris II,5 PL 23,648), da Teodoro di Mpsuestia (in H. B. Swete II, Cambridge 1882, pag. 230), da Teodoreto (PG 82,856), da Ambrosiaster (PL 17,52) e da Primario (PL 68,680). I critici moderni vedono però nella frase di Paolo (“Sono stato liberato dalle fauci del leone”) un riferimento alla comparsa del prigioniero davanti al tribunale imperiale alla presenza di molta gente, con un rinvio. Ciò appare in armonia con il contesto. Paolo dice che il Signore l’ha reso forte durante quella sua “prima difesa” (il che fa pensare ad un rinvio), che aveva potuto proclamare il vangelo a tutti i pagani (ovvero la folla presente: “lo ascoltassero”); la bocca del leone può essere benissimo l’imperatore Nerone.
Nel Frammento Muratoriano (primo catalogo delle Scritture Greche, compilato verso il 180) abbiamo un rapido cenno ad un’andata di Paolo in Spagna, dopo la quale sarebbe tornato a Roma e sarebbe stato imprigionato. Questo viaggio è però molto problematico poiché potrebbe essere stato creato dal desiderio di far attuare il progetto di Paolo espresso nella sua lettera ai romani: “Quando andrò in Spagna, spero”. – Rm 15:24.
Qualcuno vuole trovare un’allusione di questo presunto viaggio in Spagna nella lettera di Clemente (fine del 1° secolo), in cui si rinviene la prima testimonianza del martirio di Pietro e di Paolo e si legge che Paolo si era spinto “fino al termine dell’Occidente” (vale a dire la Spagna, che allora si pensava fosse al limite occidentale del mondo) prima di morire. Altri studiosi però traducono la frase di Clemente non con “termine dell’Occidente” (to terma tes dùseos) ma con “la meta dell’Occidente”, riferendolo a Roma. Per Clemente romano, “vescovo” di Roma, l’Urbe era la meta cui ognuno bramava giungere. In verità, per Paolo Roma non era la meta, ma solo una tappa verso la Spagna (Rm 15:24). La chiusa del libro di Atti senza alcun accenno al viaggio iberico di Paolo sembra escludere tale viaggio. Si tenga presente che una missione in Spagna si sarebbe adattata benissimo al programma lucano di mostrare come il vangelo si fosse esteso da Gerusalemme alla Giudea, alla Samaria e poi fino alle estremità della terra: “Mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”. – At 1:8.
Anche la mancanza di allusioni a qualsiasi viaggio in Spagna nelle lettere pastorali di Paolo rende tale viaggio assai problematico. Quelle lettere parlano di viaggi in Grecia, in Macedonia e in Asia Minore, ma non in Spagna.
Ecco di seguito i dati biografici che possiamo trarre. Paolo è stato a Creta, siccome vi ha lasciato il suo amato collaboratore Tito: “Ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine nelle cose che rimangono da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni” (Tit 1:5). L’apostolo mostra anche l’intenzione di trascorrere l’inverno a Nicopoli, città della Macedonia: “Fa’ il possibile per venire da me a Nicopoli, perché ho deciso di passarci l’inverno” (Tit 3:12). Secondo la prima lettera a Timoteo, Paolo si è recato davvero a Efeso e poi in Macedonia: “Ti ripeto l’esortazione che ti feci mentre andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso” (1Tm 1:3). Nella seconda lettera a Timoteo, Paolo afferma di essere passato da Mileto, dove lasciò il discepolo Trofimo ammalato: “Trofimo l’ho lasciato ammalato a Mileto” (2Tm 4:20); e di essere passato da Troade, dove ha lasciato il mantello: “Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troas” (2Tm 4:13). Da Troade, passando per Corinto (2Tm 4:20), è giunto a Roma da dove prega Timoteo di raggiungerlo: “Cerca di venir presto da me” (2Tm 4:9). Timoteo sembra essere a Efeso, dove si vanno diffondendo delle eresie tra cui quelle di Imeneo e di Fileto che affermano che la resurrezione è già avvenuta: “La loro parola andrà rodendo come fa la cancrena; tra questi sono Imeneo e Fileto, uomini che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni”. – 2Tm 2:17,18.
Paolo si ritrova ancora prigioniero a Roma, imprigionato in modo molto più duro della prima volta, dato che non ha più in affitto una casa in cui insegnare liberamente e senza ostacoli a coloro che lo vanno a trovare: “Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto, e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento” (At 28:30,31). Questa volta, invece, si trova incatenato come un delinquente: “Io soffro fino ad essere incatenato come un malfattore” (2Tm 2:9). Egli ha già avuto un primo interrogatorio in cui è stato abbandonato da tutti: “Nella mia prima difesa nessuno si è trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato” (2Tm 4:16). Paolo attende la morte quale logica conclusione: “Io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto” (1Tm 4:6). Un certo Alessandro il ramaio gli ha fatto del male: “Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali”. – 2Tm 4:14.
Questi dati biografici non s’inquadrano con i racconti – sia pure incompleti – del libro di Atti, tant’è vero che At non ricorda neppure il nome di Tito, uno dei principali collaboratori di Paolo. Secondo Gal 2:1-3, Tito, figlio di pagani, non fu circonciso e Paolo ottenne l’approvazione di Gerusalemme per un suo lavoro tra i gentili: “Trascorsi quattordici anni, salii di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, prendendo con me anche Tito. Vi salii in seguito a una rivelazione, ed esposi loro il vangelo che annunzio fra gli stranieri; ma lo esposi privatamente a quelli che sono i più stimati, per il timore di correre o di aver corso invano. Ma neppure Tito, che era con me, ed era greco, fu costretto a farsi circoncidere”. Tito, che aveva preso parte al secondo e al terzo viaggio missionario, fu inviato da Paolo a Corinto dove si recò “mosso da zelo” e “spontaneamente” (2Cor 8:17). Tito fu amico carissimo di Paolo, tanto che questi a Troade non si dà pace perché non vi trova Tito: “Non ero tranquillo nel mio spirito perché non vi trovai Tito” (2Cor 2:13) ed è inquieto finché non arriva: “Dio, che consola gli afflitti, ci consolò con l’arrivo di Tito” (2Cor 7:6). Tuttavia, probabilmente Luca tace su Tito perché intende presentare il completo accordo tra Paolo e gli altri apostoli, proprio come tace il conflitto di Antiochia.
Dobbiamo però ammettere che tali lettere devono essere state composte in epoca posteriore al periodo preso in considerazione da Luca, e quindi dopo la sua liberazione romana. Luca si arresta al biennio della prigionia paolina perché la probabile espulsione di Paolo da Roma e il suo ritorno in Grecia e in Asia Minore non s’inquadrava con l’intento lucano di mostrare come il vangelo fosse giunto sino agli estremi confini della terra.
Non è quindi affatto necessario aderire all’idea di coloro che negano la genuinità delle lettere pastorali ritenendole degli scritti apocrifi posteriori, con un quadro storico fittizio (cfr. Y. N. D. Kelly, A Commentary on the Pastoral Epistole, London, pag. 9). Le lettere pastorali vanno quindi ritenute del tutto genuine.
A Roma poi Paolo avrebbe subito il martirio per decapitazione alle Tre Fontane, se dobbiamo credere a una tradizione posteriore ricordata da alcuni scrittori ecclesiastici e da testimonianze liturgiche. – Atti di Paolo, apocrifo, e Martirio di Paolo; sono la fonte anche di Ecumenio, PG 119,237, e di Teofilatto, PG 125,136.
Alla morte di Paolo si attuò il suo desiderio di essere con Yeshùa ed ebbe termine la sua corsa:
“Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno”. – 2Tm 4:7,8.