Umiltà dei discepoli e umiltà di Yeshùa

 

“Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri”. – 2:1-4, CEI.

   Critica testuale. Va richiamata l’attenzione su quel “qualche” ripetuto, al v. 1. Occorre riferirsi al testo greco del v. 1 con le sue quattro frasi:

Εἴ τις οὖν παράκλησις ἐν Χριστῷ

Éi tis un paràklesis en christò,

εἴ τι παραμύθιον ἀγάπης,

èi ti paramΰthion agàpes,

εἴ τις κοινωνία πνεύματος,

èi tis koinonìa pnèumatos,

εἴ τις σπλάγχνα καὶ οἰκτιρμοί

èi tis splànchna kài oiktirmòi

   Probabilmente il testo originale aveva prima di ciascuna frase un τι (ti), che in greco significa “qualcosa” (genere neutro). Ma i copisti, non riuscendo a comprendere bene, accordarono quel ti alla parola seguente, interpretandolo come femminile (τις, tis) o neutro plurale (tìna), facendone così un aggettivo pronominale (“qualche”). Tuttavia, per ciascuna delle quattro frasi abbiamo sempre qualche manoscritto (codice) che ha solo τι (ti). Questo ci mette sull’avviso. Questi codici mantengono il τι (ti) a ricordo del testo originale. Perciò il ti non è un aggettivo pronominale, ma un pronome (“qualcosa”). Siccome il verbo “essere” è sottinteso, l’espressione εἴ τι (èi ti), “se qualcosa”, va completata in italiano così: “Se c’è qualcosa”, “se esiste qualcosa”, con il senso – messo in bell’italiano – di: “Se significa qualcosa (per voi)”. Abbiamo così un nuovo senso, che è poi quello originale di Paolo:

Testo dei manoscritti attuali

Testo dei codici originali

“Se, dunque, c’è qualche incoraggiamento in Cristo, “Se, dunque, l’incoraggiamento in Cristo significa qualcosa (per voi),
se qualche consolazione d’amore, se la consolazione d’amore significa qualcosa,
se qualche partecipazione di spirito, se la partecipazione di spirito significa qualcosa,
se dei teneri affetti e compassioni, se i teneri affetti significano qualcosa,
rendete la mia gioia piena”. – 1:1,2, TNM. rendete la mia gioia piena”. – 1:1,2.

   Così, le frasi di Paolo acquistano un senso pieno. Con la traduzione consueta, invece, pare tutto buttato lì: “Se, dunque, c’è qualche incoraggiamento in Cristo [eccetera], rendete la mia gioia piena in quanto siete dello stesso pensiero e avete lo stesso amore, essendo uniti nell’anima, avendo il medesimo pensiero nella mente” (vv. 1,2, TNM). Come potrebbe solo “qualche incoraggiamento” e solo “qualche” delle altre cose menzionate, rendere piena la gioia dell’apostolo? Come potrebbero i filippesi essere “dello stesso pensiero”, avere “lo stesso amore, essendo uniti nell’anima” e avere “il medesimo pensiero nella mente” se tra loro è presente solo “qualche” di quelle meravigliose qualità?

   Si noti anche il “se” (εἴ, èi) all’inizio di ogni frase. Questo èi (“se”) potrebbe essere anche inteso come un ebraismo, e in tal caso può assumere un valore affermativo. L’ebraico אם (im), “se”, può corrispondere all’ebraico כי (ki), “poiché”. Il senso potrebbe quindi essere:

Testo dei manoscritti attuali

Testo dei codici originali,

applicando l’ebraismo

 אם (im), “se” = כי (ki), “poiché”

“Se, dunque, c’è qualche incoraggiamento in Cristo, “Dato che l’incoraggiamento in Cristo significa qualcosa (per voi),
se qualche consolazione d’amore, dato che la consolazione d’amore significa qualcosa,
se qualche partecipazione di spirito, dato che la partecipazione di spirito significa qualcosa,
se dei teneri affetti e compassioni, dato che i teneri affetti significano qualcosa,
rendete la mia gioia piena”. – 1:1,2, TNM. voi rendete la mia gioia piena”. – 1:1,2.

   Però, si può accogliere anche il senso dubitativo e retorico: “Se . . . vale qualcosa per voi . . . , allora voi colmate la mia gioia“.

   Va comunque notato che tali sentimenti sono supposti già esistenti da Paolo. La gioia di Paolo per loro, infatti, già è goduta: “Rendete perfetta la mia gioia” (2:2), gioia che già ha ma che può essere resa “piena” (TNM). Paolo desidera che questi sentimenti, già presenti nei filippesi, giungano alla loro pienezza con l’unità completa dei fratelli, così che abbiano un’anima sola. È così che la gioia dell’apostolo raggiungerà il suo apice.

   “Incoraggiamento”, traducono TNM e NR in 2:1. Ma CEI ha “consolazione”. La parola greca è παράκλησις (paràklesis), da cui deriva “paràclito” (il “consolatore”, cioè lo spirito santo, Gv 14:26). Paràklesis può significate tanto “consolazione” quanto “esortazione”. Quale preferire? Dal contesto e dai passi paolini paralleli è meglio preferire “esortazione”: “Vi esorto [greco παρακαλῶ (parakalò)]”. – Ef 4:1; 1Cor 1:10.

   “In Cristo” (2:1). È da intendersi come uno stato in luogo. Siccome il credente vive in Cristo, deve sentirsi spronato da lui a vivere in modo degno di questa nuova vita. Paolo vorrebbe che l’esortazione o lo stimolo derivante dal vivere in Cristo fosse qualcosa di vivo e importante per loro.

   “Consolazione d’amore” è il sentimento successivo, in TNM, in 2:1. Similmente, per NR è “conforto d’amore”. Questa è una possibilità. “Conforto” o “consolazione” è uno dei significati della parola greca del testo, che è παραμύθιον (paramΰthion). L’altra possibilità è “incentivo”. Il genitivo ἀγάπης (agàpes, “di amore”) – che segue il vocabolo paraΰthion può essere inteso in modo soggettivo, nel senso che l’amore spinge ad agire; ma anche in modo oggettivo, nel senso che l’agire spinge verso l’amore. Dal contesto è forse meglio intendere: “Vi è nell’essere in Cristo un incentivo all’amore”. Questo è, infatti, lo stesso senso che si trova in 1Ts 2:12, dove troviamo ancora il binomio “esortazione e incentivo”: “Abbiamo esortato, confortato”. Qui il greco ha παρακαλοῦντες ὑμᾶς καὶ παραμυθούμενοι  (parakalùntes ümàs kài paramüthùmenoi), “abbiamo esortato voi e incentivato”. In TNM (qui si trova al v. 11) abbiamo: “Esortavamo ciascuno di voi, e vi consolavamo”. Ma il contesto (l’esempio di Paolo nel lavorare duramente notte e giorno, l’essere irreprensibili, in vista del continuare a camminare degnamente), fa preferire l’esortazione e l’incentivazione, non vedendo cosa c’entri qui la consolazione.

   In 2:2 si parla di comunanza con lo spirito. Paolo sta dicendo: Se la vostra partecipazione (la partecipazione che si ha in Cristo con lo spirito santo, che è spirito d’amore) non è una cosa vuota (o: dato che non è una cosa vuota ma una realtà viva), occorre vivere nell’umiltà.

   È importante l’enfasi posta da Paolo sull’amore. Lo spirito santo è al servizio della comunità; i doni spirituali vanno valutati in funzione della comunità, altrimenti si cade con troppa facilità nel puro sentimentalismo.

   In 2:2 abbiamo “rendete perfetta”, riferito alla gioia di Paolo. “Rendete compiuta” (Did); “rendete piena” (CEI, TNM). Il greco ha  πληρώσατε (pleròsate), “colmate”. I filippesi devono completare ciò che già avevano iniziato. Paolo aveva già dimostrato gioia per la loro fede: “In ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia”, “ (1:4). Ora devono colmare la sua gioia, renderla piena.

   Come possono i filippesi rendere piena la gioia di Paolo? “Avendo un medesimo pensare” (2:2) ovvero desiderando la stessa cosa. E Paolo chiarisce che ciò consiste nel:

  • “Medesimo amore,”
  • “essendo di un animo solo” (σύνψυχοι, sΰnpsichoi)
  • “e di un unico sentimento” (Paolo si ripete per dimostrare la serietà del suo richiamo).

   Paolo menziona i due principali impedimenti per il vero amore universale:

  1. Lo spirito di parte (“spirito di rivalità”, 2:3), “contenzione” (TNM). La parola greca è ἐριθίαν (erithìan). Questa parola si trova, prima che nelle Scritture Greche, solo in Aristotele dove significa un inseguimento egoistico dell’ufficio politico con mezzi ingiusti (cfr. A&G). Indica la propaganda elettorale e la partigianeria. La ritroviamo in Gal 5:20: “Idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese [ἐριθίαι (erithèiai)], divisioni, sètte”.
  2. La “vanagloria” (2:3). TNM ha “egotismo”. La parola greca è κενοδοξίαν (kenodocsìan), “gloria vana / infondata / autostima / orgoglio vuoto / vanagloria / un’opinione vana / errore”. È la stessa parola che troviamo in Gal 5:26: “Non siamo vanagloriosi [κενόδοξοι (kenòdocsoi)]”, “Non diveniamo egotisti” (TNM); l’egotismo è il porre il proprio interesse come base di ogni motivazione e scelta, l’attenzione esasperata e narcisistica per la propria individualità.

    “Ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso”, spiega Paolo (2:3). “Umiltà” è nel greco del testo paolino ταπεινοφροσύνη (tapeinofrosΰne), parola composta da ταπεινός (tapeinòs, “tapino”) e da φροσύνης (frosΰnes), “pensare / stimare / giudicare”. Letteralmente significa: “stima meschina”, quindi “umiltà”. Per TNM diventa modestia di mente”, ma la modestia è cosa ben diversa dall’umiltà. “Modestia” è la consapevolezza dei propri limiti, “umiltà” è l’abbassarsi e il non far pesare la propria personalità. Dio, ad esempio, è umile, ma di certo – non avendo limiti – non può essere modesto.

   Di solito ci reputiamo superiori agli altri. Invece, se partiamo da un giusto concetto della nostra meschinità umana, siamo più portati a giudicare meglio gli altri. Si elimina così il partito preso e la vanagloria.

   “Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (2:3). Come possiamo ritenere gli altri superiori a noi, se li vediamo spesso inferiori o mancanti? Qui innanzitutto non ci si riferisce a doti particolari, ma alla valutazione generale e globale. Chi può dichiararsi superiore a un altro, se questo giudizio sarà possibile solo al tempo del ritorno di Yeshùa, quando saranno rivelati i segreti del cuore e ognuno avrà la sua lode da Dio? “Non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio” (1Cor 4:5). Chi può sapere la responsabilità vera delle singole persone nelle loro azioni? Chi può sapere come altri avrebbero agito nella situazione in cui ci troviamo noi? Con l’aiuto, le benevolenze e la grazia che noi abbiamo avuto, forse altri che noi stimiamo da meno ci avrebbero preceduto! Inoltre, la stima degli altri non è una valutazione teorica ma pratica. Si tratta di una valutazione che deve spronarci a lavorare per loro. Se ci stimiamo superiori, vorremmo che gli altri ci servissero; ma se ci stimiamo inferiori agli altri saremo noi pronti a servire.

   Anche Paolo, pur essendo superiore per certe doti, qualità e doni divini, si ritenne inferiore agli altri perché era al loro servizio: “Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro!” (1Cor 13:22).

   “Cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri”, “Ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso” (2:4). TNM omette la parola “ciascuno”:

Flp 2:4

NR

TNM

“Cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri”

“Guardando con interesse personale non solo alle cose vostre, ma anche con interesse personale a quelle degli altri”

   Il greco ha μὴ τὰ ἑαυτῶν ἕκαστοι σκοποῦντες  (me ta eautòn èkastoi skopùntes): “Non le cose se stessi ciascuno guardanti”. Qui i manoscritti si dividono. Quelli che hanno ἕκαστος (èkastos), “ciascuno”, al singolare, sono pari a quelli che testimoniano il plurale (ἕκαστοι, èkastoi). Pur preferendo il plurale in greco, traduciamo al singolare per ottenere un italiano più corretto.

   L’etica paolina non è solo individualistica, ma prevalentemente sociale. Non bisogna guardare solo ai propri interessi – egli dice -, ma a quelli di tutto il gruppo, della collettività, che qui è la congregazione; altrimenti si finisce nell’isolamento.