Due passi biblici sono molto chiari riguardo alla morte e resurrezione nel battesimo. Si tratta di Rm 6:4 e di Col 2:12.
In Rm 6:4 Paolo vede nella immersione (“battesimo” significa “immersione”), che è una sepoltura, il mezzo con cui ci innestiamo alla morte di Yeshùa. Questo senso, purtroppo, non appare nelle traduzioni: “Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte” (NR); “Fummo sepolti con lui per mezzo del nostro battesimo nella sua morte” (TNM). Da queste traduzioni appare che il battezzato si unirebbe alla sepoltura di Yeshùa. Più corretta è Diodati, anche se in un italiano per noi antiquato (è del 16° secolo): “Noi siamo adunque stati con lui seppelliti per lo battesimo, a morte”. È ben diverso dire “nella sua morte” (TNM) anziché dire “a morte” (Did). La domanda è d’obbligo: cosa dice il testo originale della Bibbia?
συνετάφημεν οὖν αὐτῷ διὰ τοῦ βαπτίσματος εἰς τὸν θάνατον
sünetàfemen un autò dià tu baptìsmatos èis ton thànaton
fummo consepolti dunque con lui con la immersione verso la morte
Questo il senso letterale, rinvenibile anche in Diodati. La particella greca εἰς (èis) non indica affatto lo stato in luogo (“nella”), ma il moto a luogo: “a, verso”. Anche quando è necessario tradurla con “in”, indica sempre il moto a luogo, come nella frase italiana “lei va in città”, che non significa che lei stia andando per la città, stando nella città, ma che lei sta andando verso la città, alla città. Occorre fare attenzione. Vediamone bene il senso. La parolina εἰς (èis) è una preposizione primaria e il suo senso è sempre quello di un moto a luogo, anche figurato; può significare “per” inteso come finalità: “Ciascuno di voi si battezzi nel nome di Gesù Cristo per [εἰς (èis)] il perdono dei vostri peccati” (At 2:38, TNM). Si noti qui: “Per il perdono”, non “nel perdono”!
Paolo, quindi, dice: “Per mezzo dell’immersione [“battesimo”] siamo stati sepolti con lui [“consepolti con lui”] per la morte”. Cosa vuol dire? Vuol dire che lo scopo o la finalità (“per”, εἰς, èis) dell’immersione-sepoltura (battesimo) è quella di essere uniti alla morte di Yeshùa per poi avere, come nel caso di Yeshùa, la resurrezione a una vita nuova. Il passo potrebbe essere tradotto così: “Siamo infatti stati seppelliti con lui per mezzo del battesimo per [essere così uniti] alla [sua] morte, affinché come Cristo è risorto dai morti, così anche noi avessimo a camminare in novità di vita”. – Rm 6:4.
La sepoltura che avviene nel battesimo è appunto l’immersione per mezzo della quale la persona terrena condannata a morte si unisce non alla sepoltura di Yeshùa, ma alla sua morte. Molto bella la traduzione di PdS:
“Per mezzo del battesimo che ci ha uniti alla sua morte, siamo dunque stati sepolti con lui, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la potenza gloriosa del Padre, così anche noi vivessimo una vita nuova”.
Se Paolo non facesse qui riferimento al rito dell’immersione battesimale, non si comprenderebbe come mai egli dica che la sepoltura lo innesta alla morte di Yeshùa. Sarebbe stato ben più ovvio dire: ‘Siete stati morti con Cristo’, anziché dire: “Siete stati seppelliti per morire con Cristo”!
Lo scopo dell’immersione è appunto quello di far morire il nostro vecchio essere terreno, fatto a imitazione del primo Adamo, per divenire così una realtà unica con Yeshùa risorto. Nel battesimo, quindi, moriamo e risorgiamo con Yeshùa.
In questo passo Paolo non mette in risalto l’innesto del credente nella resurrezione del Cristo, poiché l’intento parenetico o esortativo lo conduce a insistere di più sulle conseguenze pratiche della morte in Cristo: una vita morale senza lacune e tentennamenti.
L’altro passo biblico è Col 2:12. Qui si ha un ulteriore progresso dell’idea in quanto non vi si parla solo del nostro innesto alla morte di Yeshùa con la sepoltura dell’immersione, ma anche dell’innesto alla sua resurrezione: “Siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti”.
Prima vediamo alcune precisazioni necessarie.
Quando Paolo dice “sepolti”, lo intende per essere uniti alla morte di Yeshùa, come lui stesso spiega molto bene in Rm 6:4.
L’inciso ἐν τῷ βαπτίσματι (en to baptìsmati) può essere tradotto “nel battesimo” (NR, TNM) oppure “per mezzo del battesimo”. Dato il parallelismo con Rm 6:4, dove c’è διὰ (dià, “per mezzo di”), e dato che nelle epistole paoline l’ἐν (en) ha spesso un significato strumentale, è preferibile tradurlo “per mezzo del battesimo”. Illustriamo di seguito queste motivazioni, citando per la seconda ragione solo alcuni passi tra i tanti:
Rm 6:4 |
διὰ τοῦ βαπτίσματος |
dià tu baptìsmatos |
“per mezzo del battesimo” |
Col 2:12 |
ἐν τῷ βαπτίσματι |
en to baptìsmati |
“nel [per mezzo del] battesimo” |
Rm 1:4 |
ἐν δυνάμει |
en dünàmei |
“con* potenza” |
Rm 1:12 |
ἐν ἀλλήλοις πίστεως |
en allèlois pìsteos |
“mediante* la fede dell’altro” |
Rm 6:11 |
ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ |
en christò Iesù |
“mediante* Cristo Gesù” |
1Cor 6:2 |
ἐν ὑμῖν |
en ümìn |
“da* voi” |
2Cor 3:14 |
ἐν Χριστῷ |
en christò |
“per mezzo di Cristo” |
Gal 2:17 |
ἐν Χριστῷ |
en christò |
“per mezzo di Cristo” |
Ef 2:13 |
ἐν τῷ αἵματι |
en to àimati |
“mediante* il sangue del Cristo” |
Flp 3:14 |
ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ |
en christò Iesù |
“mediante* Cristo Gesù” |
Col 1:16 |
ἐν αὐτῷ |
en autò |
“per mezzo di lui” |
1Ts 2:2 |
ἐν τῷ θεῷ ἡμῶν |
en to theò emòn |
“mediante* il nostro Dio” |
Flm 6 |
ἐν ἐπιγνώσει |
en epighnòsei |
“per mezzo del tuo riconoscimento” |
* Strumentale: significa “per mezzo di”. |
(TNM)
Il passo quindi andrebbe tradotto così: “Con lui infatti siete stati sepolti per mezzo del battesimo, nel quale [battesimo] siete anche resuscitati con lui [Yeshùa] in virtù della fede nella potenza di Dio che lo resuscitò dai morti”.
“Nel quale” è riferito al battesimo, non a Yeshùa. È incredibile come i traduttori possano fare confusione. TNM traduce: “Foste sepolti con lui nel [suo] battesimo, e in relazione a lui foste anche destati”; “in relazione a lui” viene riferito, in questa traduzione, a Yeshùa. E poi, perché mai trasformare un semplice ἐν (en), “in”, nella locuzione “in relazione a”? Occorre tornare per un momento sui banchi di scuola e fare una semplice analisi:
συνταφέντες αὐτῷ ἐν τῷ βαπτίσματι, ἐν ᾧ
süntafèntes autò en to baptìsmati, en o
consepolti con lui in il battesimo, in il quale
È una regola elementare che il pronome relativo (“quale”, ᾧ, o) si riferisca al nome appena precedente. Se diciamo: “Lei entrò con Caio in un ristorante, il quale era molto carino”, dovremmo forse intendere “il quale” riferito a Caio anziché al ristorante? O dovremmo forse volgere la frase in: “Lei entrò con Caio in un ristorante, e in relazione a Caio era molto carino”?! Il senso del testo è chiaro e semplice, facile da tradurre: “Siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui” (NR). È solo evidente che “nel quale” si riferisca al battesimo.
Tradurre nel modo giusto, riferendo “nel quale” al battesimo (come vuole la grammatica), sembra che crei però a qualche studioso un problema teologico. Alludiamo qui a C. Masson e alle considerazioni che fa nel suo libro L’épitre de s. Paul aux Colossiens, Commentarie du N. T. (X, Neuchâtel-Paris, pag 126, n. 4). Lo studioso vede una palese contraddizione tra il futuro usato in Rm 6:5 (“Saremo anche [uniti a lui] in una risurrezione simile alla sua”) e il passato usato in Col 2:12 (“Siete anche stati risuscitati con lui”). Lo studioso non modifica la grammatica (sa, da studioso, che non può farlo) – come fa invece TNM – ma nega l’autenticità di ᾧ (o), “quale”, lasciando intendere che si sarebbe trattato di un αὐτῷ (autò), “lui”. Se il testo avesse ἐν αὐτῷ (en autò) si dovrebbe tradurre “in lui”, riferito a Yeshùa. Se. Ma non abbiamo proprio nessun motivo per ritenere il testo interpolato. Rimane il fatto: il testo ha ἐν ᾧ (en o), “nel quale”. E quel “nel quale” va riferito senza ombra di dubbio al battesimo. Lo esige prima di tutto la grammatica.
Anziché modificare il testo biblico o ritenerlo interpolato, occorrerebbe invece capirlo. In esso (Col 2:12) non c’è alcuna contraddizione con Rm 6:5. I due testi hanno idee complementari, non contraddittorie. Nella lettera ai romani Paolo considera la resurrezione quale si attuerà alla fine dei tempi e perciò ne parla come di una realtà futura. Nella lettera ai colossesi considera invece la nostra partecipazione alla resurrezione di Yeshùa quale si è già attuata nell’immersione battesimale come segno, come caparra della realtà che in quel segno si trova in un certo senso già racchiusa; ne parla perciò al passato.
Questa resurrezione già avvenuta è anche – è vero – una realtà spirituale identificabile con la rigenerazione del credente: “Anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo […] e ci ha risuscitati con lui” (Ef 2:5,6). Questa rigenerazione porterà alla futura resurrezione del corpo (se il credente rimane fedele): “La nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha”. – Flp 3:20,21.
Ma questa resurrezione già avvenuta è soprattutto una realtà corporale, poiché con tale innesto alla resurrezione di Yeshùa le forze escatologiche sono già all’opera nel credente, per cui si può ben dire – nel linguaggio concreto degli ebrei – che egli è già risorto con Yeshùa e con lui già siede alla destra del Padre: “Ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo”. – Ef 2:6.
Si noti anche, in Col 2:12, la frase: “Mediante la fede nella potenza di Dio”. È la fede ad avere efficacia unica ed esclusiva nel battesimo: “Siamo stati dichiarati giusti come risultato della fede” (Rm 5:1, TNM). Non c’è posto nella vera congregazione dei discepoli di Yeshùa per atti magici o atti compiuti senza consapevolezza che agiscano ex opere operato, vale a dire che agiscano per conto loro senza l’intervento della volontà cosciente della persona.
Coloro che sono immersi e scompaiono nell’acqua battesimale sono sepolti con Yeshùa perché così abbiano parte alla morte del Cristo e con lui muoiano (Rm 6). Conseguenza di tale morte con Yeshùa è negativamente lo spogliamento della vecchia persona (Rm 6:6) e positivamente il partecipare alla resurrezione con Yeshùa, alla nuova vita, in cui più non si muore, quale ebbe Yeshùa dopo la sua vittoria sulla morte. Tutto ciò si compie non per un rito magico – Paolo è alieno da ogni rituale magico – ma in virtù della fede nella resurrezione di Yeshùa che si dispiega nell’atto battesimale e che gli conferisce il suo valore.
Dai due passi in questione appare che il battesimo non costituisce l’ingresso del credente in una famiglia già morta e risorta nel momento della morte e della resurrezione storiche di Yeshùa. Si tratta invece proprio dell’attimo in cui il fedele realmente muore con Yeshùa e con lui risorge. Sarà tuttavia solo in futuro che si svelerà appieno l’attuazione pratica e totale di questa resurrezione già avvenuta nel battesimo. – Rm 6:5.
Sorge ora il problema del come salvaguardare l’identità della morte e della resurrezione del credente nel battesimo con le identità storiche di Yeshùa che accaddero il mercoledì pomeriggio del 5 aprile dell’anno 30 (sua morte) e il sabato sera dell’8 aprile dell’anno 30 (sua resurrezione), avvenimenti storici così chiaramente asseriti da Paolo. Questo è l’oggetto del prossimo studio.