La prima strofa (1:3-6).

   La prima strofa si accosta molto alla seconda preghiera del rituale ebraico che, mattina e sera, nella liturgia del Tempio precedeva la recita ufficiale della professione di fede dell’israelita, lo shemà Israèl: “Ascolta, Israele שְׁמַע] יִשְׂרָאֵל  (shemà, Israèl)]: Il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore. Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze” (Dt 6:4,5). Ecco l’inizio e la fine di tale preghiera, perché si possa confrontare con le espressioni paoline:

Tratto dal סדור (siddùr), “Libro di Preghiere”. – Mamash Edizioni Ebraiche.

Ef 1:3-6

“Benedetto tu, nostro Dio . . . Di eterno amore tu hai amato Israèl, tuo popolo. Con una pietà estrema e sovrabbondante hai anche pietà di noi, Padre nostro . . . Ci hai eletti fra tutti i popoli . . . affinché ti lodassimo e proclamassimo che tu sei unico nell’amore. Benedetto sii tu, Signore, che hai eletto il tuo popolo Israèl nell’amore”. “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio”.

   Si noti prima di tutto che la preghiera paolina è diretta a Dio, non a Yeshùa. Il Cristo è il mediatore, non l’oggetto della preghiera. L’unico caso di preghiera (che non è poi una preghiera, ma un’invocazione) a Yeshùa, è quello di Stefano: “Signore Gesù, accogli il mio spirito” (At 7:59). Stefano sta morendo per Yeshùa. E vede Yeshùa: “Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra, e disse: ‘Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio’” (At 7:55,56). “E lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’” (v. 59). “Invocava” (perché aveva la visione di Yeshùa davanti a lui), non ‘pregava’. “Poi, messosi in ginocchio, gridò ad alta voce: ‘Signore, non imputar loro questo peccato’. E detto questo si addormentò” (v. 60). Nella sua invocazione Stefano si affida a lui – perché lo vede, non perché lo preghi – per essere custodito fino alla restaurazione finale con il momento della resurrezione.

   La preghiera è compiuta sempre “nel nome di Yeshùa”, vale a dire per la potenza mediatrice di Yeshùa. Si noti perciò come Paolo si rivolge a Dio quale “Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (1:3), perché la lettera è tesa ad esaltare il primato del Padre.

   È da Dio (tramite Yeshùa: “in Cristo”, 1:3) che ci viene ogni bene spirituale: “Ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale” (1:3). Queste benedizioni sono: “Ci ha eletti” (v. 4), “Avendoci predestinati” v. 5), “Grazia, che ci ha concessa” (v. 6), “Facendoci conoscere il mistero della sua volontà” (v. 9), “Il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé” (v. 9). Tutto procede da Dio poiché lui è padre di Yeshùa. Giacché Dio ama Yeshùa come un padre ama un figlio, noi pure siamo amati da Dio perché siamo uniti a Yeshùa.

   L’israelita si sentiva amato da Dio come se questi fosse un padre: “Non è lui il padre che ti ha acquistato?” (Dt 32:6), “Tu sei nostro padre” (Is 63:16), “Efraim è dunque per me un figlio così caro? un figlio prediletto? […] È più vivo e continuo il ricordo che ne ho; perciò le mie viscere si commuovono per lui” (Ger 31:20). Anzi, come se Dio fosse una madre:

“Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta,

smettere di avere pietà del frutto delle sue viscere?

Anche se le madri dimenticassero,

non io dimenticherò te”. – Is 49:15; cfr. Sl 27:10.

   L’israelita, però, non osava chiamare Dio con il semplice nome di “padre”. Preferiva dire: “Mio re” (Sl 5:2), “Signore nostro” (Sl 8:1), “Cielo”: “Dal cielo o dagli uomini?” (Mt 21:25; “cielo” era un modo per evitare di menzionare Dio chiamandolo “Dio”, per rispetto). Se doveva dire “padre”, l’israelita tendeva ad aggiungere “mio” o “nostro”: “Egli stesso mi chiama: ‘Tu sei mio Padre [אָבִי (avì)]’”(Sl 89:26, TNM; nel testo ebraico è al v. 27, perché TNM calcola la soprascritta come un inesistente v. 0), “Tu sei nostro padre [אָבִינוּ (avìnu)]” (Is 63:16). L’unica eccezione si trova in un apocrifo: “La tua provvidenza, o Padre” (Sapienza 14:3, CEI). Fu Yeshùa a chiamare Dio “padre”. La prima preghiera di Yeshùa presentata nei Vangeli contiene due volte il nome “padre”: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!” (Lc 10:21). Anzi, Yeshùa fece molto più: “Diceva: ‘Abbà, Padre!” (Mr 14:36). Diceva proprio אבא (abà). La traduzione che ne fa NR non rende giustizia al testo originale. In ebraico “padre” si dice אב (av). Ma Yeshùa diceva אבא (abà): “papà”. Per gli ebrei era inaudito: “I Giudei più che mai cercavano d’ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre” (Gv 5:18). Il fatto che Yeshùa si rivolgesse a Dio chiamandolo “papà” (una bestemmia, per gli ebrei) era logico: tutto è stato riversato su Yeshùa da Dio, Dio fece di lui un figlio: “Io gli sarò padre, ed egli mi sarà figlio” (Eb 1:5, TNM; citato da 2Sam 7:14). In seguito, sotto l’influsso dello spirito santo, la preghiera di Yeshùa divenne anche quella dei suoi discepoli: “Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: ‘Abbà, Padre’” (Gal 4:6), “Avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!’” (Rm 8:15). È appunto quello che troviamo in Lc 11:2, che al posto di “padre nostro” (Mt 6:9) ha solo “padre”:

Mt 6:9

Lc 11:2

“Padre nostro [che sei] nei cieli, sia santificato il tuo nome” “Padre, sia santificato il tuo nome”

(TNM)

   Perché in Lc si ha solo “padre”? Perché quel semplice “padre” riproduce certamente l’aramaico אבא (aba), “papà”.

   “Ci ha eletti […] avendoci predestinati” (1:4,5). Da queste parole i calvinisti e la Chiesa dei Fratelli (seguendo l’interpretazione di Agostino) non si limitano a dedurre la conseguenza logica che i credenti sono tali senza alcun merito loro, ma per puro dono divino. Essi deducono anche – loro – che i credenti sarebbero predestinati, che Dio li sceglierebbe perché diventino figli e condannerebbe gli altri. Questa idea di predestinazione (come viene intesa dalle religioni) è semplicemente assurda. Si veda al riguardo l’Excursus 3 intitolato La predestinazione nella Bibbia, in questa stessa categoria, alla fine della trattazione dell’esegesi alla lettera agli efesini.