Vecchia vita e nuova vita (4:17-24).

   “Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza che è in loro, a motivo dell’indurimento del loro cuore. Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni specie di impurità con avidità insaziabile. Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo”. –  4:17-20.

   Situazione dei pagani:

  1. Loro direttiva è la “vanità dei loro pensieri” (v. 17). Mancano di stabilità perché mancano della base sicura dell’insegnamento apostolico (che è l’interpretazione esatta del pensiero di Yeshùa) che si comprende alla luce dello spirito santo. Contro questa “intelligenza ottenebrata” (v. 18) che rende “estranei alla vita di Dio” (v. 18) c’è la saggezza di Dio. – Cfr. 1Cor 1:18-25;2:6-10.
  2.  La loro situazione è perciò tragica: Non riescono a capire la verità perché hanno l’“intelligenza ottenebrata”, “i loro ragionamenti li rendono come ciechi” (v.17, PdS). “Il loro cuore indurito li fa diventare ignoranti” (v. 18, PdS). Il cuore, nella Bibbia, è la sede dei pensieri: significa, quindi, che i loro pensieri sono incalliti nella loro ignoranza. Non è questione di sentimenti, come sembra aver inteso TNM che – interpretando “cuore” alla maniera occidentale – traduce: “insensibilità del loro cuore”. Qui si parla della mente, non dei sentimenti: “Futilità della loro mente” (v. 17, TNM), “Sono mentalmente nelle tenebre” (v. 18, TNM), “A causa dell’ignoranza che è in loro” (v. 18, TNM). È la loro volontà ad essere indurita. La volontà è frutto dei pensieri e delle idee che si hanno. Chi non ha volontà non ha grandi idee.

   Conseguenza di tale indurimento è la dissolutezza, l’immoralità: “Avendo superato ogni senso morale, si sono dati alla condotta dissoluta per operare impurità di ogni sorta con avidità” (v. 19, TNM). I pagani pongono il loro dio nell’appagamento sfrenato dei propri sensi (cfr. Rm 1:18-32). Si pensi al culto che nell’antico oriente veniva reso al sesso, concepito come qualcosa di sacro e divino, che era appagato perfino nei templi con la prostituzione sacra. Oggi c’è un rigurgito di tale idea pagana con la religione dei raeliani, il cui “profeta” Raèl sostiene di aver avuto incontri ravvicinati con degli U. F. O. che sarebbero degli elohìm, i quali invitano l’umanità a godersi la vita anche tramite liberi e disinibiti piaceri sessuali.

   La contrapposizione si ha ai vv. 20-24:

“Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità”.

   La situazione del credente è, quindi, il rovesciamento dei valori precedenti.

   Si noti: “Se pure gli avete dato ascolto” (v. 21). “Se, in realtà, lo udiste” (TNM). Yeshùa non era mai stato in Asia Minore, ma là vi avevano predicato gli apostoli (Paolo) e forse anche solo dei discepoli che non erano neppure apostoli, come Epafra. Eppure, ascoltare la predicazione apostolica è ascoltare Yeshùa: “Chi ascolta voi ascolta me”. – Lc 10:16.

   “Se pure gli avete dato ascolto” (v. 21): ἠκούσατε (ekùsate). Il verbo greco ἀκούω (akùo), numero Strong 191, significa non semplicemente “udire”, ma: “ascoltare, considerare quello che è detto; capire, percepisce il senso di quello che è detto; ottenere ascoltando, imparare; dare orecchio a un insegnamento o un insegnante; comprendere, capire” (Vocabolario del Nuovo Testamento). Non è quindi: “Se, in realtà, lo udiste” (TNM), ma: “Se pure gli avete dato ascolto”. Non basta udire, sentire. Occorre prestare ascolto, vivere quanto si è udito. L’ascoltare include quindi anche l’ubbidienza alla fede. Il verbo akùo include tre dati: sentire, ascoltare quel che si sente e ubbidire a quello che si è ascoltato.

   In 21-23 si ha lo sviluppo del rinnovamento del credente:

  1. Punto di partenza: “Gli avete dato ascolto” (v. 21). La fede viene dall’udire, ma si deve ascoltare. Non si può credere senza conoscere. E la conoscenza viene tramite la predicazione: “La fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Rm 10:17). Non semplicemente da “ciò che si ode” (TNM), ma “da ciò che si ascolta [greco ἐξ ἀκοῆς (ex akoès), “dall’ascolto”, non ‘dall’udito’]”.
  2. Spogliamento della vecchia persona: “Spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici” (v. 22). È la prima conseguenza della fede. Ciò è incluso nel ravvedimento che ci mostra come abbiamo sbagliato e come abbiamo deviato dalla retta via. “Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato” (Rm 6:6). “Ora invece deponete anche voi tutte queste cose […]”. – Col 3:8.
  3. Viene poi la parte positiva che consiste nel rivestire la persona nuova creata secondo Dio: “Rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (v. 24). “L’uomo nuovo” non è più il vecchio Adamo peccatore (Gn 1:27), ma il nuovo Adamo, vale a dire Yeshùa: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura” (1Cor 5:17), “Infatti siamo opera sua [di Dio], essendo stati creati [da Dio] in Cristo Gesù”. – Ef 2:10.

“Così anche sta scritto: ‘Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente’; l’ultimo Adamo è spirito vivificante. Però, ciò che è spirituale non viene prima; ma prima, ciò che è naturale; poi viene ciò che è spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo uomo è dal cielo. Qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri; e quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terrestre, così porteremo anche l’immagine del celeste”. – 1Cor 15:45-49.

   Anche se la rinascita avviene con il battesimo, lo sforzo per far morire la vecchia persona e per far rinascere la nuova deve accompagnare l’intera vita del credente: “Essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente” (v. 23). “Essere rinnovati”: ἀνανεοῦσθαι (ananeùsthai), all’infinito presente: è un’azione che dura. Lo sforzo che si è “imparato” (v. 22) a fare per “essere rinnovati” (v. 23) dura, ma è uno sforzo sereno perché si sa che anche in caso di qualche sbaglio (che possiamo fare nonostante il nostro sforzo contrario) ci sarà l’amore misericordioso di Dio che ci perdona di continuo. “Non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”. – 1Gv 2:1,2.

   “L’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia” (4:24). La giustizia per i filosofi (cfr. Aristotele) consisteva nel dare a ciascuno il suo. Per la Bibbia il “giusto” è chi si sforza di compiere la volontà di Dio, è chi vive per fede.

   “Nella giustizia e nella santità” (4:24). La santità consiste nel separarsi (“santo” significa “separato”) da ciò che è male agli occhi di Dio (v. 22) per unirsi al Cristo, alla sua condotta, al suo esempio. Dio è “colui che è il Vero” (1Gv 5:20), è la verità; quindi la vera santità consiste nell’unione con Dio, che è l’unico vero Santo e la verità per eccellenza. “Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era, che è, e che viene”. – Riv 4:8.

   Il vecchio uomo e il nuovo uomo sono visti da Paolo come abiti: “Spogliarvi del vecchio uomo”, “rivestire l’uomo nuovo” (4:22,24). Il credente si spoglia dell’abito vecchio, rattoppato e brutto, per rivestire il nuovo che Yeshùa gli dà. Che non si tratti di un mutamento puramente esteriore, risulta dal fatto che il fedele deve avere una nuova attitudine mentale: “Rinnovati nello spirito della vostra mente” (v. 23), “rinnovati nella forza che fa operare la vostra mente” (TNM). Va notato che non sono i singoli atti che contano. Anche chi è diretto verso Dio può talvolta sbagliare, ma non si ferma nel peccato e riprende subito il cammino verso Dio. È l’attitudine l’elemento più importante. Il credente tende e deve tendere verso Dio; il non credente, invece, tende al male verso se stesso e verso il suo io divinizzato.