Schiavi e padroni (6:5-9).
Agli schiavi Paolo raccomanda anzitutto l’obbedienza ai loro padroni, qui chiamati con il nome greco di κύριος (kΰrios), “signore”, che è il corrispettivo greco dell’ebraico baàl (בַּעַל), “signore/padrone”. “Servi, ubbidite ai vostri padroni [κυρίοις (kürìois)] secondo la carne con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo” (6:5). Il termine kΰrios (κύριος) ha diversi valori nella Bibbia:
- Dio.
- Yeshùa.
- Un padrone umano.
Nel caso presente indica il padrone umano.
“Con timore e tremore” riguarda la situazione degli schiavi verso il padrone in quel tempo. Ma qui Paolo lo riferisce a Yeshùa, giacché servendo il padrone si deve pensare di servire Yeshùa. “Tutti quelli che sono sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni onore” (1Tm 6:1). “Domestici, siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni; non solo ai buoni e ragionevoli, ma anche a quelli che sono difficili” (1Pt 2:18). Il passo parallelo di Col 3:22 dice: “Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore”.
Al v. 6 Paolo raccomanda la retta intenzione nell’ubbidienza: “Non servendo per essere visti”. La motivazione deve essere il proprio dovere. Spesso nel lavoro ci si comporta diversamente secondo che il “padrone” (sia esso il titolare o un superiore) sia presente o no. Non si dice forse che quando manca il gatto, i topi ballano? Per il credente la presenza del proprio superiore dovrebbe essere inutile, perché egli lavora alla presenza di Dio per fare la Sua volontà. “Servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini” (v. 7). Ma non è detto per nulla che la volontà di Dio imponga la schiavitù (che ai tempi biblici era ritenuta normalissima). Sopraffazioni e schiavismo in senso moderno possono essere contrastati legalmente. Il credente non è un fatalista.
Il premio, dice Paolo, sarà dato da Dio. E riguarderà non solo gli schiavi ma anche i padroni: “Sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore, servo o libero che sia” (v. 8). Anche quelli liberi, i padroni, dovranno rendere conto di ciò che compiono. Questo introduce già un germe di parità.
“Voi, padroni […]” (v. 9). Si vede da qui come la comunità primitiva dei credenti fosse composta tanto da schiavi quanto da padroni. I rapporti tra le due classi non erano eliminati, ma solo mitigati.
“Fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio. Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché com’è scritto:‘Chi si vanta, si vanti nel Signore’”. – 1Cor 1:26-31.
“Voi, padroni, agite allo stesso modo verso di loro astenendovi dalle minacce, sapendo che il Signore vostro e loro è nel cielo e che presso di lui non c’è favoritismo” (6:9). Ai padroni Paolo ricorda che loro pure hanno un padrone. E lo fa magistralmente, con un gioco di parole: “Voi, padroni [κύριοι (kΰrioi)] [..] sapendo che il Signore [κύριος (kΰrios)] vostro e loro […]” (6:9). Loro sono kΰrioi, ma Yeshùa è ὁ κύριος (o kΰrios), “il signore”.
Dio non ha riguardo verso l’importanza delle persone: quel che conta per lui sono le opere.