La speculazione teologica concernente il matrimonio andò nel corso dei secoli sempre più deviando dal pensiero biblico per valorizzare altri elementi che nulla avevano a che vedere con l’insegnamento di Paolo. Questo è quanto è ammesso, almeno in parte, dai teologi più riflessivi.

   Padri antiniceni (prima del 325). Già la prima lettera a Timoteo preannunciava il sorgere di movimenti eretici che avrebbero proibito il matrimonio come un male:

“Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio”. – 1Tm 1,1-3.

   Ciò si avverò con lo gnosticismo, che ritenendo che la materia fosse stata creata dallo spirito malvagio opposto a Dio (identificato dall’eresia gnostica con lo Yahvèh Elohìm delle Scritture Ebraiche), presentò il matrimonio come un servizio reso al dio del male in quanto incarcerava nella materia altre anime spirituali.

   Il concetto di materia peccaminosa – in contrasto con lo spirito vivificante – condusse gli gnostici su due binari opposti. I primi proibirono il matrimonio perché strumento per convogliare altre anime a essere incarcerate nel corpo dei figli; i secondi furono invece indotti a concedersi ogni dissolutezza, dato che questa non aveva alcun valore per lo spirito che si era svelato e liberato mediante la gnosi.

   I primi scrittori ecclesiastici, quindi, sottolinearono con insistenza che il matrimonio è un fatto lecito e non peccaminoso (cfr. Clemente Alessandrino, Stremata 3,15, PG 8, 1196,1197). Anche Yeshùa – dissero questi – santificò il matrimonio partecipando alle nozze di Cana e dimostrando così che esso era conforme al volere divino. – Cfr. Epifanio, Haer. 67,6, PG 42, 180 c; ma qui siamo già in periodo post-niceno.

   Contro gli usi del tempo insistettero, comunque, nel proibire le profanazioni licenziose che accompagnavano spesso la celebrazione delle nozze. Per questi primi scrittori ecclesiastici il matrimonio doveva attuarsi in armonia con la nuova vita del credente:

“Come potrei descrivere la felicità di un matrimonio fondato dalla Chiesa, consolidato dal sacrificio, suggellato dalla benedizione, annunciato dagli angeli, ratificato dal Padre?”. – Tertulliano, Ad uxorem 2,9, PL 1, 1415.1416.

   Quando parlano poi del matrimonio, i primi Padri – in armonia con il pensiero biblico – lo presentano ancora come un’unione che per tutta la sua durata deve rispecchiare lo stesso rapporto d’amore e sudditanza che si rinviene nel suo prototipo che è il Cristo e la chiesa. Si esortano i coniugi a volersi bene così come Cristo ama la chiesa. Non si sale dal matrimonio all’unione Cristo-Chiesa, ma si discende da questa unione a quello. Nelle sue linee generali è questo l’uso più antico del simbolismo matrimoniale presso i Padri, ed ha un contenuto prevalentemente esortativo e parenetico. Nei Padri, è vero, c’è anche una comunicazione di grazia al matrimonio, ma si tratta di un influsso causativo energetico che proviene dal fatto che i coniugi sono credenti, non certo da un sacramento matrimoniale.

   In altre parole, la vita coniugale deve raffigurare il comportamento del Cristo verso la chiesa e della chiesa verso il Cristo. I credenti con il loro battesimo si rivestono di Cristo e devono essere la sua immagine per la vita intera. E con il matrimonio devono divenire la raffigurazione vivente del rapporto Cristo-Chiesa.

   Tertulliano afferma che chi accetta Cristo e la chiesa deve pure accettare ciò che di essi è immagine e simbolo, vale a dire il matrimonio e la carne. – Adv. Marc. V, 18,8-10 PL 2,550.

   Per Noviziato “le mogli devono essere amate dai loro mariti come il Cristo amò la Chiesa; e similmente le donne devono amare i loro mariti come la Chiesa ama Cristo”. – De bono pudicitiae 4, CSEL III, 3,16,17.

   Secondo Clemente Alessandrino “il matrimonio compiuto secondo il Verbo viene santificato se si sottomette a Dio e se viene vissuto con cuore sincero, nella pienezza della fede, avendo i coniugi purificato i cuori da una cattiva coscienza, lavato il corpo con acqua pura, testimoniata da speranza” (Stremata IV 20, PG 8, 1337). L’allusione a Ef 5,22 e al battesimo è evidente.

   Secondo Origène l’unione Cristo-Chiesa “raggiunge il suo punto culminante sulla croce. Solo tra i cristiani il matrimonio è divenuto imitazione dell’unione in una carne di Cristo e della Chiesa, finalmente e perfettamente realizzata”. – Mtth. Comm. Serm. 14,16,17 PG 13, 1228,1229.

   Anche per Metodio d’Olimpo l’unione Cristo-Chiesa diviene modello dell’unione coniugale. Il marito deve comportarsi verso la moglie così “come Cristo verso la Chiesa; a favore della quale ha dato se stesso per santificarla e purificarla con il battesimo”. – Symposion 3,10 PG 18,76,77.

   Secondo questi Padri tutto ciò si avvera particolarmente quando il matrimonio si celebra con il consenso del vescovo. E si noti bene: con il consenso, non con la presenza.  “È necessario che gli sposi e le spose stringano la loro unione con l’assenso del vescovo, affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo i desideri sessuali” (Ignazio, Ad Polyc. 5,2 PG 5,724). “Siccome Dio è autore dell’unione matrimoniale, la grazia di Dio riposa su coloro che sono uniti a Dio”. – Origène, In Mat. 14,16 PG 18,76,77.

   Il “vescovo” è qui presentato ancora con un buon padre di famiglia che deve dare l’assenso si suoi figli affinché si possano sposare nel miglior modo possibile.

   Padri postniceni (dopo il 325). I vescovi postniceni iniziano a compiere il primo passo che avrebbe portato la teologia successiva a fermare la propria attenzione più sul matrimonio in se stesso che sul vincolo Cristo-Chiesa. Prima il centro d’interesse era l’amore di Yeshùa verso la congregazione e la sudditanza della congregazione verso il suo capo, da cui si deduceva come logica conseguenza l’obbligo che i coniugi realizzassero il medesimo comportamento tra loro. Ma ora tale centro si sposta sul matrimonio. Questo – inteso in genere ancora come stato di vita coniugale e non come atto iniziale o nozze – diviene l’immagine che per se stessa rende presente a modo di segno i rapporti Cristo-Chiesa. Appaiono però i germi che presentano il matrimonio nel suo aspetto iniziale di nozze, le quali cominciano a essere esaltate.

   In questo periodo affiorano due correnti circa il matrimonio. Una, prevalentemente diffusa in Occidente, presenta scarsa simpatia verso il matrimonio; viene esaltata la verginità. L’altra, meno pessimista, si sviluppa di preferenza in Oriente.

  • In occidente. Il matrimonio è presentato come un rimedio alla concupiscenza per coloro che non hanno la forza di rimanere vergini. Il matrimonio, secondo questa nuova veduta che rende piede, non corrisponderebbe più al piano divino originale, ma sarebbe solo una conseguenza del peccato.

   Ambrogio, il fervido cantore della verginità, la esaltava in modo tanto persuasivo da spingere le ragazze (anche quelle della più alta società) a far voti verginali perpetui. Egli parla ben poco del matrimonio e vi si sofferma solo per rimuovervi ogni profanazione adultera: “Noi sappiamo che Dio è il custode e il protettore del matrimonio. Egli non permette che si profani il talamo altrui, e se qualcuno si ostina a farlo pecca contro Dio, di cui viola la legge, e distrugge la grazia. Avendo peccato contro Dio perde la comunione con il sacramento celeste”. – Ambrogio, De Abrahamo 1,7 PL 14,443.

   Secondo Agostino il matrimonio fu istituito solo per “sedare la concupiscenza”. Egli esprime l’opinione che nel paradiso terrestre il matrimonio si sarebbe attuato in modo diverso (Agostino, De civitate Dei 14,22 PL 41,429,434,435). Anche se Agostino paragona il matrimonio al battesimo e all’ordine, lo fa solo per dedurne l’indissolubilità, non per la sua sacralizzazione. –  De nuptiis I, 10,11 PL 44,420.

  • In oriente. Gli orientali accentano invece il simbolismo del matrimonio riguardo all’unione Cristo-Chiesa.

   “Il matrimonio è un mistero tanto alto e tipo di una realtà così sublime che tu, o cristiano, non devi prendere decisioni affrettate e non cercare la dote quando stai per prendere moglie. Il matrimonio non deve essere un affare, ma una comunione di vita”. – Giovanni Crisostomo, Laus Maximi 3 PG 51,229.

   In questi secoli l’accento comincia rivolgersi non solo al matrimonio preso in sé, ma anche all’atto iniziale delle nozze, che va assumendo una sacralità e una pompa sempre più imponente. Vari fattori possono avervi influito, tra i quali:

  • Celebrazioni delle nozze nei templi con la presenza del sacerdote cattolico. Già Ignazio suggeriva ai credenti di contrarre il matrimonio con il “consenso” del vescovo (Ignazio, Ad Polycarpum 5,2 PG 5,724); Tertulliano parlava di “benedizione” (Ad uxorem 2,9 PL 1,1415,1416); ma la presenza del vescovo non era richiesta, come non era richiesta neppure la sua approvazione (che si esigeva invece per il battesimo e l’eucaristia: “Senza il vescovo non è lecito né battezzare né celebrare l’agape” (Ignazio, Agli Smirmesi 8,2 e 1 PG 5,713). È logico che con l’andare del tempo il permesso e la presenza del sacerdote dovessero assumere un’importanza sempre maggiore.
  • La pompa delle cerimonie nuziali contribuì a dare enorme risonanza (come, del resto, si continua a pensare anche oggi). È un fatto che la Chiesa Cattolica ha accolto e fatto proprie le cerimonie delle nozze pagane che in tal modo si sono perpetuate fino ad oggi. Ce lo fanno notare alcuni storici: “Il cerimoniale del matrimonio sopravvisse all’impero romano e continuò, salvo qualche cambiamento, a regolare l’ordinamento della maggior parte delle nozze” (J. Carcopino, La vie quotidienne à Rome à l’apogée de l’Empire, Paris, pagg. 104,105); ”Se si esclude l’auspicio, tutto il rituale matrimoniale romano si è conservato nell’uso cristiano. Non c’è nulla che non vi abbia trovato posto: perfino le corone . . . Essenzialmente conservatrice, la Chiesa non modificava questo genere di cose, se non ciò che era incompatibile con le sue credenze” (L. Duchense, Origines du culte chrétien, Paris, quinta edizione, pag. 455). Presso i romani la cerimonia del fidanzamento consisteva nel consenso dei padri accompagnato dallo scambio degli anelli e dal bacio (almeno dal 3° secolo in avanti). La cerimonia nuziale propriamente detta consisteva nella vestizione della sposa con abiti speciali, cui si aggiungeva il flammeum o velo che cadeva dalla testa, incoronata di fiori, fino alle spalle. La mattina del matrimonio, nella casa paterna della sposa venivano quindi lette le Tabulae nuptiales o matrimoniales che contenevano la stesura del contratto matrimoniale dei beni trasmessi, sottoscritte da testimoni. Si aveva quindi la cerimonia. La sera la sposa era introdotta nella casa dello sposo. Nei secoli 4° e 5° la cerimonia della velatio (il mettere il velo alla sposa) acquistò così grande importanza nella Chiesa che il matrimonio sarà detto semplicemente “Velatio” (cfr. R. D’Izarny, Mariane et consécration verginal, in “La vie spiritelle” supplement 24, pag. 97). La velatio avveniva durante la messa, dopo il Peter noster: il celebrante imponeva il velo e recitava il formulario della benedizione nuziale, che in gran parte è conservato ancora oggi nella liturgia cattolica (cfr. C. Mohlberg, Sacramentarium Veronese, Roma, numeri 1109,1110). Con l’influsso germanico si attuarono alcune modifiche: la sposa veniva condotta da chi esercitava la patria potestà sulla porta del tempio e affidata allo sposo; lo scambio degli anelli si spostò dal fidanzamento alla stessa cerimonia nuziale; le formule di benedizione si allungarono così da evocare di più il simbolismo dell’unione Cristo-Chiesa (P. Journel, La liturgie romaine du mariane, in “Maison Dieu” 50, pagg. 48-51). La maggiore solennità conferita al rito indusse logicamente a ritenerlo un sacramento.
  • Un’ulteriore ragione per esaltare l’atto matrimoniale fu il desiderio di voler salvaguardare il matrimonio verginale di Maria e di Giuseppe. La Bibbia non parla di questo, anzi testimonia proprio il contrario ricordando i fratelli e le sorelle di Yeshùa e limitando la verginità di Miryàm al periodo anteriore la nascita di Yeshùa (Mt 1,25). Per Agostino l’essenza del matrimonio non sta nell’amplesso coniugale quanto piuttosto nella volontà di unirsi in matrimonio, non nella fusione dei corpi ma nel consenso. Secondo la teologia cattolica, Maria e Giuseppe contrassero un vero matrimonio pur avendo la volontà di vivere la loro unione come fratello e sorella (Agostino, De moribus Ecclesiae Catholicae et de moribus Manicheorum I, 19-67). Qualcosa del genere sopravvive nella Chiesa del Regno di Dio (fondata da F. L. A. Freytag, responsabile della filiale svizzera degli Studenti Biblici capeggiati da C. T. Russell, quando si staccò dalla dipendenza americana); in questa Chiesa le persone “consacrate” sposate non hanno rapporti sessuali. Comunque, con Agostino il distacco dal pensiero biblico è ormai forte: non si scende più dal connubio Cristo-Chiesa al matrimonio, ma da questo si sale a quello; non si insiste più sulla vita matrimoniale come stato, ma si accentua la cerimonia nuziale che dà origine al vincolo matrimoniale. Ci sono già ormai tutte le premesse per stabilire la sacralizzazione delle nozze. Fu la Scolastica a compiere quest’ultimo passo.

   Periodo della Scolastica (dal 12° secolo). Nei secoli della Scolastica si sviluppò l’idea che il matrimonio – inteso ormai come cerimonia nuziale – fosse un vero sacramento. All’inizio tuttavia dominava ancora molta confusione. Per i primi scolastici (Ugo, Piero Lombardo) il matrimonio non era ancora un sacramento in senso stretto, ma lo era perché con la sua indissolubilità diveniva “immagine” appropriata dell’unione indissolubile Cristo-Chiesa (cfr. Bartmann, Teologia Dogmatica, pag. 1351). Anche Alberto Magno riduceva l’efficacia del matrimonio a un semplice influsso negativo della grazia, giacché agiva come medicina per placare la concupiscenza.

   Fu Tommaso d’Aquino che difese la vera sacralizzazione del matrimonio. L’Aquinate argomentava che il matrimonio non fu creato dopo il “peccato originale”, poiché “ciò che è naturale all’uomo non gli si sottrae né gli si dona a motivo del peccato”. Insistendo su Ef 5,32, concludeva: “Siccome i sacramenti conferiscono ciò che significano, si deve credere che con questo sacramento gli sposi ricevono la grazia per cui appartengono all’unione di Cristo e della Chiesa”. –  Summa Teologica Supplem. q. 42,1.

   Si andò così enucleando l’idea che il sacramento del matrimonio consistesse non nello stato matrimoniale, ma nella cerimonia costitutiva delle nozze. Non possiamo certo asserire che questa evoluzione teologica sia stata un naturale sviluppo di germi latenti nella Bibbia. Più che di un progresso si deve parlare di un continuo allontanamento, di una perenne deviazione.

   Il Decreto degli Armeni e il Concilio di Trento (16° secolo) si sono accontentati di dichiarare la sacralizzazione del matrimonio e di scomunicare gli avversari.

“Se qualcuno dirà che il matrimonio non è veramente e propriamente uno dei sette sacramenti della Legge evangelica istituito da Gesù Cristo nostro Signore, ma una invenzione degli uomini nella Chiesa, e che non conferisce la grazia, sia scomunicato”. – Concilio di Trento, Sessione 24, canone 1, Denz 791.

   Va detto che nell’insegnamento cattolico ogni sacramento risulta di due parti: materia e forma. Con il Concilio di Trento non si definì chiaramente la rispettiva funzione del sacerdote e degli sposi, la natura della materia e della forma, né se le nozze avessero un carattere permanente o transitorio. Ad esempio, il Bellarmino – non riuscendo a dimenticare del tutto il concetto biblico – patristico del matrimonio come stato – attribuiva al matrimonio un carattere in certo qual modo permanente (non ristretto alle sole nozze) e scriveva: “Il sacramento del matrimonio è simile all’Eucaristia, che è sacramento non solo mentre si fa ma anche mentre perdura; perché, fin quando vivono i coniugi, la loro unione è sempre il Sacramento di Cristo e della Chiesa”. – De Matrimonio II,6.

   Le reazioni al concetto scolastico (16° secolo). Le innovazioni ovviamene non passarono inosservate, e molti esegeti vi si opposero con grande calore. Si può distinguere la reazione protestante da quella cattolica.

  • Reazione protestante. Contro il concetto sacramentale del matrimonio, il protestantesimo cercò di risalire all’originario pensiero biblico (che solo oggi, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, il cattolicesimo cerca di valorizzare meglio). Dato che il protestantesimo non trovò alcun argomento biblico a favore della sacralizzazione del matrimonio, ridusse le nozze ad una “cosa esteriore e civile” (Lutero, Von Ehesachen, 1530). Secondo la Confessione Augustana il matrimonio è uno stato “come quello dell’autorità civile e della magistratura, ma non un sacramento” (Art. 14, Mueller 204). Per Calvino il matrimonio è comandato da Dio “come la coltivazione dei campi o qualsiasi altro mestiere”. – Wernle, Calvin, pag. 125.
  •  Reazione cattolica moderna. I moderni teologi cattolici rilevano “la diminuita coscienza del valore simbolico del matrimonio e dell’amore coniugale, che invece costituiva il fulcro della riflessione patristica sulla soprannaturalità del matrimonio cristiano. Ed è proprio la ripresa di questo tema, attinto direttamente dalla Scrittura al di là della tradizione teologica post-tridentina, che costituisce la caratteristica della riflessione teologica attuale” (C. Colombo, Il matrimonio sacramento della nuova legge, pag. 459). Fu lo Scheeben a iniziare questo moderno ripensamento matrimoniale; per lui si tratta di sacramento di consacrazione che, pur non imprimendo il carattere come gli altri sacramenti (battesimo, cresima, ordine), crea un simbolo soprannaturale che riproduce l’unione di Cristo con la sua chiesa. – M. J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, Brescia, pagg. 445,446; cfr. S. Cancheri, Il pensiero teologico di M. J. Scheeben e San Tommaso, Padova.

   Come si vede, molto cammino è stato percorso al di là del pensiero biblico. Tutta l’evoluzione teologica che ha portato alla sacralizzazione del matrimonio non è stato un progresso ideologico di germi biblici, ma un continuo allontanamento dalla Bibbia. Per la Scrittura il matrimonio non ha lo scopo di santificare i coniugi e di renderli adatti a rappresentare l’amore di Yeshùa per la chiesa e la sottomissione della chiesa a Yeshùa, ma di far riprodurre nei rapporti tra i coniugi il comportamento di Yeshùa e della chiesa (che costituisce, per Paolo, il “mistero” dell’amore divino).

Deduzioni pratiche sul rito matrimoniale

   Dall’indagine precedente risulta del tutto infondata la pretesa cattolica che le nozze e il matrimonio costituiscano un atto sacro e vadano per questo sottratti alla legislazione civile. Tutti gli sforzi della Chiesa Cattolica per dettare, tramite concordati, le sue condizioni al governo civile in campo matrimoniale poggiano su ipotesi esegetiche non fondate sulla Bibbia ma fondate sulla deviazione teologica nel corso dei secoli.

   Si deve però dire che anche i protestanti – nonostante l’opposizione contro la sacralizzazione del matrimonio – hanno a poco a poco abbinato al rito civile il rito ecclesiastico. A imitazione del cattolicesimo gli stessi protestanti italiani hanno voluto il molto infelice miscuglio civile-religioso del matrimonio, creando così la convinzione che la chiesa o congregazione abbia qualcosa da dire e da fare in questa materia.

   Anche le religioni che pretendono di svincolarsi dalla corrente protestante, come i Testimoni di Geova, hanno seguito questa imitazione del cattolicesimo attuata dai protestanti. La Watch Tower Society (la Società legale dei Testimoni di Geova; in Italia, Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova), ad esempio, ha preteso e ottenuto dal governo italiano di avere propri “ministri di culto” autorizzati a celebrare matrimoni. È un errore che imita i protestanti che imitano i cattolici.

   Dato che il ministro di culto celebra un matrimonio puramente civile per delega governativa, ne consegue che la cerimonia dovrebbe mettere in risalto il carattere non religioso, mentre di solito ciò si dimentica per attribuire l’apparenza di una sacralizzazione che non ha alcuna giustificazione biblica, ma è solo e unicamente imitazione di una pratica cattolica. L’elemento giuridicamente valido di tale rito è, infatti, proprio solo l’atto civile in esso incluso.

   Cosa si dovrebbe fare, allora? Si dovrebbe lasciare a Cesare quel che è di Cesare. La congregazione non dovrebbe farsi delegare da Cesare per essere una delegata di Cesare. Il matrimonio è regolato dalla legge civile, e questa appartiene a Cesare. Se poi si ritiene – dopo che Cesare ha legittimato l’unione di un credente e di una credente che si amano e hanno deciso di vivere insieme – di aggiungere una cerimonia nel locale di culto, ciò appare bello e appropriato. Ma si tratterebbe di una cerimonia che dovrebbe consistere solo nel presentare la nuova coppia ai fratelli perché loro pure prendano parte alla gioia comune. Con la preghiera possono augurare ai coniugi una vita matrimoniale benedetta da Dio. Non si dovrebbe affatto scimmiottare le cerimonie civili e quelle religiose cattoliche.

   Matrimonio in armonia con la fede in Yeshùa non è per nulla matrimonio religioso. Non è il rito e neppure il discorso dell’anziano o sorvegliante di turno (fattosi rendere “ministro di culto” da Cesare) che può rendere “cristiano” un matrimonio. Se i coniugi sono credenti, il loro impegno diviene impegno vincolante perché liberamente hanno deciso di vivere insieme, amandosi e rispettandosi. La legge di Cesare rende legale l’unione quando due fanno una dichiarazione pubblica di fronte ad un rappresentante civile di Cesare. Solo così si sarà davvero allineati all’insegnamento biblico e si eviterà ogni sacramentalismo e ogni scimmiottatura di sacramentalismo. Che nulla ha a che vedere con il messaggio biblico.