“Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello” (Ap 7:9). Questa nuova visione non fa che ampliare la precedente. Alcuni, facendo notare che questa “folla immensa” non si può contare, a differenza della precedente che è numerata, pensano a due gruppi diversi. È un errore. Questo errore ne genera subito un altro: il numero 144.000 viene preso per letterale, proprio perché in contrasto con la fa folla innumerabile. Già questa idea andrebbe scartata in sé, perché altrimenti avremmo qui un caso stranissimo in tutta l’Apocalisse: ci troveremmo di fronte  a un dato letterale in mezzo alla marea dei dati tutti simbolici del libro.

  Solamente gli angeli possono individuare e fare sapere a quanto ammonta la folla immensa; Giovanni infatti dice “Udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila” (Ap 7:4). Alla proclamazione del numero dei “segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele” (Ibidem), costoro ancora non appaiono. Giovanni aveva visto in visione solo “quattro angeli” che “trattenevano i quattro venti della terra”, poi l’“angelo che saliva dal sol levante” che ordina ai quattro di aspettare che siano marchiati gli eletti, quindi aveva udito una voce angelica proclamarne il numero (Ap 7:1-7), ma il veggente non aveva visto i 144.000. Dopo di ciò li vede: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa” (Ap 7:9). Giovanni, lui che è uomo, non può contarli; solo gli angeli possono.

   Nella nuova immagine è descritta tutta la chiesa di Yeshùa. Simbolicamente è comporta da 144.000 presi da “tutte le tribù dei figli d’Israele” (Ap 7:4), nella realtà proviene “da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue” (Ap 7:9), e abbiamo già visto come ciò include anche le 10 tribù disperse della Casa d’Israele e perché.

   Giovanni vede in cielo tutta la chiesa trionfante, al completo. Con ogni evidenza è stato completato il numero di coloro “che dovevano essere uccisi” (Ap 6:11). Questa folla immensa sta “in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti” (Ap 7:9). A quelli già uccisi e il cui sangue era sotto l’altare, era già stata “data una veste bianca”, chiedendo loro di attendere che il numero fosse completato (Ap 6:9-11). Ora sono tutti in piedi e tutti vestiti di vesti bianche. La chiesa è al completo.

   Gli eletti hanno anche “delle palme in mano” (Ap 7:9), che sono segno di vittoria, come deduciamo dalla lettaratura giudaica non biblica (cfr. 1Maccabei 13:51). Le palme simboleggiano anche la loro condizione giusta davanti a Dio (cfr. Sl 92:12,13). Ma solo anche simbolo di lode (cfr. 1Re 6:29,32,35; 2Cron 3:5; Ez 40:16-37;41:15-26) e di sottomissione alla posizione regale di Dio e di Yeshùa (cfr. Gv 12:12,13). Infatti, “gridavano a gran voce, dicendo: «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello»”. – Ap 7:10.

   La vittoria della chiesa è talmente sicura che a Giovanni è dato di ammirarla prima del tempo. Il canto «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello» sarà cantato dopo la caduta del dragone (Ap 12:10) e dopo la caduta della gran puttana, Babilonia (Ap 19:1), ma già da ora risuona l’inno vittorioso. All’inno, che è annuncio di vittoria futura e certa, rispondono i cori celesti: “Tutti gli angeli erano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; essi si prostrarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: «Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen»” – Ap 7:11,12.

   Solo a Dio spetta l’adorazione e tutto l’elogio (cfr. 1Cron 29:11), che è descritto con un settenario:

 

Ap 7:12 – “Al nostro Dio”:

1

La lode

2

La gloria

3

La sapienza

4

Il ringraziamento

5

L’onore

6

La potenza

7

La forza

 

   La corale apre e chiude il canto con “amen”, dando così la propria convinta adesione.

   “Poi uno degli anziani mi rivolse la parola, dicendomi: «Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove sono venute?» Io gli risposi: «Signor mio, tu lo sai». Ed egli mi disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»”. – Ap 7:13-17.

   Qui troviamo un’ampia spiegazione che viene data al veggente. Solo in un altro punto del libro troviamo una spiegazione così vasta, ed è in Ap 17:7-18, a proposito della gran prostituta Babilonia. Così troviamo da una parte il popolo di Dio e dall’altra i puttanieri.

   La domanda posta a Giovanni da uno degli anziani su chi siano le persone vestite di bianco e da dove vengano serve per introdurre la spiegazione successiva. In tal modo è detto in anticipo che i vincitori dovranno soffrire per superrare la “grande tribolazione”. Quest’ultima espressione è tipica nella letteratura apocalittica e sta ad indicare l’oppressione che deve essere subita nel tempo della fine. Ve ne accenna Dn 12:1 e Yeshùa ne parla in Mr 13:19: “Quelli saranno giorni di tale tribolazione, che non ce n’è stata una uguale dal principio del mondo”.

   I vincitori non hanno vinto per meriti loro ma perché “hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono davanti al trono di Dio”.

   Si ha qui uno dei grandi paradossi della Bibbia: il sangue che imbianca. Non si faccia però l’errore di intendere che gli eletti partecipano all’azione espiatrice e salvifica propria di Yeshùa; essi ne sono i beneficiati.

   La meravigliosa condizione riservata agli eletti è descritta con immagini stupende che evocano antiche situazioni narrate nelle Scritture Ebraiche. Dio spiega su di loro la sua tenda, “abiterà con loro” (Ap 21:3), così come fece con il suo popolo nel deserto. “La mia dimora sarà presso di loro; io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo”. – Ez 37:27.

   L’assenza di patimenti è descritta con le parole trarre da Is 49:10:

“Non avranno fame né sete,

né miraggio né sole li colpirà più;

poiché colui che ha pietà di loro li guiderà,

li condurrà alle sorgenti d’acqua”.

   “Annienterà per sempre la morte; il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso”. – Is 25:8.