Abbiamo già notato in Ap che una serie di visioni era stata interrotta da un intermezzo: il cap. 7 costituisce un intervallo dopo l’apertura del settimo sigillo e prima che venga rotto l’ultimo, il settimo. In quell’intermezzo (cap. 7) i protetti da Dio vengono marchiati. Qui abbiamo lo stesso schema: dopo lo squillo della sesta tromba e prima che suoni la settima, si ha un’interruzione. Anche in questo intermezzo vi è un riferimento alla chiesa di Yeshùa.

L’angelo con il libretto aperto. – Ap 10:1-10.

 “Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nube; sopra il suo capo vi era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole e i suoi piedi erano come colonne di fuoco. Egli aveva in mano un libretto aperto e posò il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra; poi gridò a gran voce, come un leone ruggente; e quand’ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. Quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per mettermi a scrivere, ma udii una voce dal cielo che mi disse: «Sigilla le cose che i sette tuoni hanno dette, non le scrivere». Allora l’angelo che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la mano destra verso il cielo e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso, e la terra e le cose che sono in essa, e il mare e le cose che sono in esso, dicendo che non ci sarebbe stato più indugio. Ma nei giorni in cui si sarebbe udita la voce del settimo angelo, quando egli avrebbe suonato, si sarebbe compiuto il mistero di Dio, com’egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti”. – Ap 10:1-7.

   Questo angelo, giurando nel nome di Dio, assicura che non si sarà più indugio (v. 6): non manca molto tempo alla fine. Ci sono però altre prove che attendono il popolo di Dio, come vedremo.

   Si noti che Giovanni vede un “angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nube” (v. 1): il veggente ora non è più in cielo dove si trovava prima (4:1) ma sulla terra.

   Chi è questo “angelo potente”? Ha una maestà celeste (v. 1):

  • “Sopra il suo capo vi era l’arcobaleno”. Rifulge della gloria di Dio, “qualcosa di simile all’aspetto dell’arco che compare nella massa di nuvole nel giorno del rovescio di pioggia. Così era l’aspetto del fulgore all’intorno. Era l’aspetto della somiglianza della gloria di Geova” (Ez 1:28, TNM). L’arcobaleno circonda il trono divino. – Ap 4:3.
  • “La sua faccia era come il sole”. Rifulgendo della gloria di Dio, il suo volto risplende, come già quello di Yeshùa glorificato (Ap 1:16). Dio stesso è paragonato al sole (Sl 84:11). Chi è molto vicino a Dio risplende della sua gloria. – Mt 17:2.
  • “I suoi piedi erano come colonne di fuoco”. La sua postura è solenne, conferendogli ulteriore maestosità.

   Non si tratta quindi di un normale angelo. È detto “potente”, ἰσχυρός (ischyròs, v. 1), che indica qualcuno che è forte e possente. Potrebbe trattarsi di Gabriele, il cui stesso nome significa “possente di Dio”, impiegato da Dio per recare messaggi speciali (Lc 1:19,26), e che apparve in visione a Daniele come “un uomo robusto” – Dn 8:15,16, TNM.

   La voce dell’angelo è possente come lui, tanto che grida “a gran voce, come un leone ruggente” (v. 3). Anche in ciò ha la maestà di Dio, il quale è detto che ruggisce “come un leone”. – Os 11:10; cfr. Am 2:1;3:8.

   Questa potente creatura spirituale ha “in mano un libretto aperto” (v. 2), “un rotolino” (TNM). Questo libriccino è diverso dal rotolo di Ap 5:1, perché è l’angelo che lo tiene in mano, mentre l’altro era tenuto da Dio. In più, questo rotolino non è sigillato. Esso è dato non a Yeshùa ma a Giovanni (v. 9). Oltre che più piccolo, questo libro è quindi meno importante.

   Al grido potente dell’angelo rispondono i sette tuoni con la loro eco (v. 3). “Il Dio di gloria tuona … La voce del Signore è potente, la voce del Signore è piena di maestà. La voce del signore rompe i cedri; il Signore spezza i cedri del Libano … La voce del Signore fa guizzare i fulmini. La voce del Signore fa tremare il deserto” (Sl 29:3-5,7,8). Di nuovo un settenario, qui ad indicare la pienezza sacra della risposta divina.

   Giovanni sta per mettersi a scrivere, ma “una voce dal cielo” glielo impedisce: «Sigilla le cose che i sette tuoni hanno dette, non le scrivere» (v. 4). Paolo disse della sua esperienza soprannaturale che “fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare” (2Cor 12:4). Al posto di quelle parole segrete l’angelo dà un messaggio, garantito con un giuramento solenne: la fine è ormai vicinissima . – Vv. 5 e 6.

   Il v. 7 di Ap 10 merita particolare attenzione, perché le traduzioni lo aggiustano e l’adattano all’italiano. Eccone il testo originale:

ἐν ταῖς ἡμέραις τῆς φωνῆς τοῦ ἑβδόμου ἀγγέλου ὅταν μέλλῃ σαλπίζειν, καὶ ἐτελέσθη τὸ μυστήριον τοῦ θεοῦ

en tàis emèrais tès fonès tù ebdòmu anghèlu òtan mèlle salpìzein, kài etelèsthe tò mystèrion tù theù

in i giorni della voce del settimo angelo quando stia strombettare e fu compiuto il mistero del Dio

   Come si nota, parlando del futuro, di quando si sarebbe poi udito il settimo squillo di tomba, Giovanni usa un verbo che al lettore di oggi suona del tutto sfasato: “Fu compiuto il mistero di Dio”. Come dire: quando suonerà, fu compiuto; il che è sintatticamente del tutto sbagliato. È vero che Giovanni era un ignorante, essendo illetterato (At 4:13), è del pur vero che il greco che usa in Ap è pessimo, infrangendo senza riguardi grammatica e sintassi greche, ma qui non si tratta di ciò. Giovanni parla invece come gli antichi profeti ebrei: parlano al passato delle cose che Dio ha rivelato loro, dandole come già avverate.


Τὸ μυστήριον τοῦ θεοῦ

Tò mystèrion tù theù

Il mistero di Dio

Nella Bibbia il mistero non è qualcosa che rimane sempre tale. Nella Bibbia, invece, il mistero implica una conoscenza nascosta (un fatto che è non conoscibile dall’uomo) ma che, dopo che il mistero è stato rivelato, diviene nota senza rimanere più misteriosa. “Nel [Nuovo Testamento] denota non ciò che è misterioso . . . ma ciò che, essendo fuori della portata della normale comprensione, può essere reso noto solo mediante rivelazione divina, ed è reso noto nel modo e nel tempo stabilito da Dio, e solo a coloro che sono illuminati dal Suo Spirito. Nell’accezione comune un mistero implica conoscenza nascosta; il significato scritturale è verità rivelata. Quindi i termini collegati in modo particolare al soggetto sono ‘reso noto’, ‘manifestato’, ‘rivelato’, ‘predicato’, ‘comprendere’ e ‘dispensazione’” (Vine’s Expository Dictionary of Old and New Testament Words, 1981, vol. 3, pag. 97). Nella Bibbia il mistero non è qualcosa che deve essere tenuta nascosta e segreta per sempre, ma piuttosto è una cosa che deve essere rivelata. Questo concetto biblico è presente ogni volta che nella Scrittura si parla di un mistero. Si veda, ad esempio, Mr 4:11,12; Mt 13:11-13; Lc 8:10; 1Cor 2:6-16.

   In Ap 10:7 Giovanni parla del “mistero di Dio” come “compiuto”. Il verbo usato per “compiuto” è τελέω, che indica il portare ad una fine, eseguire, adempiere. In più, Giovanni lo usa al modo indicativo nel tempo aoristo. Il veggente parla quindi di un mistero finito, rivelato. Questo fa parte dell’apokàlypsis che ha ricevuto.

   Di tale “mistero di Dio” parlò anche Paolo in Rm 11:25,26: “Fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; e tutto Israele sarà salvato”. Qui si parla del piano di Dio di annettere ad Israele “la totalità degli stranieri”. È con questa annessione che tutta Israele sarà salvata. Gli appartenenti alle tribù perdute della Casa d’Israele sono cercati e chiamati da Dio. È profetizzato in Os 1:10,11: “Il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Avverrà che invece di dir loro, come si diceva: ‘Voi non siete mio popolo’, sarà loro detto: ‘Siete figli del Dio vivente’. I figli di Giuda e i figli d’Israele si raduneranno”.

   “Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo … il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio” (Ef 3:5,6,9). Il grande mistero divino svelato, Giovanni lo contempla realizzato, quanto vede la “folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue” (Ap 7:9), che l’angelo è in grado di contare (Ap 7:4) e il cui numero svela che si tratta di tutta Israele al completo, con tutte le sue tribù.


   “Poi la voce che avevo udita dal cielo mi parlò di nuovo e disse: «Va’, prendi il libro che è aperto in mano all’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra»” (Ap 10:8). Questa scena ricalca Ez 3:1-3: “Egli mi disse: «Figlio d’uomo, mangia ciò che trovi; mangia questo rotolo, e va’ e parla alla casa d’Israele». Io aprii la bocca, ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Mi disse: «Figlio d’uomo, nùtriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do». Io lo mangiai, e in bocca mi fu dolce come del miele”. Giovanni fa la stessa esperienza: “Io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi rispose: «Prendilo e divoralo: esso sarà amaro alle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come miele». Presi il libretto dalla mano dell’angelo e lo divorai; e mi fu dolce in bocca, come miele; ma quando l’ebbi mangiato, le mie viscere sentirono amarezza” (Ap 10:9,10). Nel caso di Giovanni, il rotolo ha un effetto amaro. La protezione di Dio è dolce, ma la via verso la gloria passa per l’amarezza. “Poi mi fu detto: «È necessario che tu profetizzi ancora su molti popoli, nazioni, lingue e re»”. – Ap 10:11.

La misurazione del tempio e i due testimoni. – Ap 11:1-14.

   Ecco ora una nuova scena: “Poi mi fu data una canna simile a una verga; e mi fu detto: «Àlzati e misura il tempio di Dio e l’altare e conta quelli che vi adorano; ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi»” (Ap 11:1,2). Giovanni deve compiere un’azione simbolica. Lo scopo non è quello di definire il piano di costruzione del tempio, iniziando a prendere le misure, come nella scena di Ez 40:3 in cui il profeta vide “un uomo” che “aveva in mano una corda di lino e una canna per misurare”. A Giovanni è chiesto invece di prendere le misure per tenere separato “il cortile esterno del tempio”. Questo è infatti destinato a essere calpestato dai pagani. Il tempio, con il suo altare e i veri adoratori, sarà al contrario risparmiato.

   A che tempio si riferisce Giovanni? Si noti l’ordine impartitogli: “Misura il tempio di Dio”. Il tempio non può che essere quello di Gerusalemme. Va nondimeno detto che quando Giovanni scriveva, alla fine del primo secolo, il Tempio gerosolimitano era già stato distrutto dai romani, nell’anno 70, e quindi ormai da alcuni decenni. Giovanni lo sapeva, e lo sapevano bene anche i suoi lettori. Giovanni sa anche che il tempio non ci sarà più, e lo scrive in Ap 21:22: “Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”. Ci deve perciò essere un altro senso.

   Nella Bibbia troviamo infatti un altro senso attribuito alla parola “tempio”: “Come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2:5). Paolo scrive agli eletti: “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito”. – Ef 2:20-22.

   Il veggente di Patmos prende l’immagine del Tempio e, associandola agli eventi storici del passato, ne trae l’insegnamento che la chiesa di Yeshùa, tempio spirituale, sarà preservata da Dio.


Gli eventi storici relativi al Tempio utilizzati da Giovanni

–  Nel 168 a. E. V. il re di Siria Antioco IV Epifane (1Maccabei 1:10), forzando la completa ellenizzazione dei giudei (1Maccabei 1:13), commise un gravissimo errore: volle dedicare il Tempio di Gerusalemme al dio greco Zeus, il Giove per i romani (2Maccabei 6:2). Egli profanò l’altare sacrificandovi quanto di più spregevole poteva esserci per gli ebrei: carne di maiale. “Il tempio infatti fu pieno di dissolutezze e gozzoviglie da parte dei pagani, che gavazzavano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne e vi introducevano le cose più sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato, né celebrare le feste tradizionali, né fare aperta professione di giudaismo”. – 2Maccabei 6:4-6.

   Ciò provocò l’inevitabile insurrezione armata dei giudei, con a capo l’ebreo Giuda Maccabeo (1Maccabei 2:4;3:1). Dopo tre anni di lotta Giuda Maccabeo s’impadronì di Gerusalemme e del Tempio, che purificò e in cui ristabilì il culto. Il 25 kislèv 165 a. E. V. – nell’anniversario della sua profanazione – dedicò di nuovo l’altare del Tempio (1Maccabei 4:52-54; 2Maccabei 10:5). Questo avvenimento fu ricordato nei secoli seguenti, e lo è ancora oggigiorno, da tutti i giudei. La festa si chiamata “Festa della dedicazione” (in ebraico חנכה חג, khagh khanukàh) o semplicemente khanukàh (חנכה).

–  Nel primo secolo Gerusalemme venne assediata dai romani. Nel 66 della nostra èra, a seguito della rivolta giudaica capeggiata dagli zeloti, l’esercito romano comandato da Cestio Gallo circondò la città santa e attaccò le mura del Tempio. Gli zeloti fecero del Tempio il centro della loro resistenza, convinti che Dio non avrebbe permesso ai nemici di entrarvi. Senza ragione apparente, il generale romano Cestio Gallo si ritirò, ma i militari romani tornarono nel 70, questa volta comandati da Tito, e distrussero la città e il Tempio.

“Calpesteranno la città santa per quarantadue mesi”. – Ap 11:2.

Giovanni utilizza metà settenario per riferirsi ai due precedenti storici che videro l’attacco al Tempio e la strenua resistenza giudaica. I 42 mesi equivalgono a tre anni e mezzo: (12 mesi x 3 anni = 36 mesi) + 6 mesi (mezzo anno) = 42 mesi. La resistenza giudaica nel 1° secolo durò proprio 3 anni e mezzo (dal 66 al 70). I 42 mesi (metà settenario) corrispondono a 1260 giorni: 30 giorni/mese x 42 mesi (3,5 anni) = 1260 giorni.

  • “Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo”. – Dn 7:25.
  • “Questo durerà un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo; e quando la forza del popolo santo sarà interamente spezzata, allora tutte queste cose si compiranno”. – Dn 12:7.
  • “Dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione, passeranno milleduecentonovanta giorni”. – Dn 12:11.
  • “Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni”. – Ap 11:3.
  • “La donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentosessanta giorni”. – Ap 12:6.

Giovanni interpreta il Tempio quale simbolo della chiesa di Yeshùa, conformemente al pensiero biblico.

“Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. – 1Cor 3:16.

“Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente”. – 2Cor 6:16.

   La scena che Giovanni vede conferma che il popolo di Dio sarà sotto la protezione del Dio d’Israele finanche quando sarà terrorizzato (cfr. Ap 7:1-8). È necessario però che i testimoni passino per la sofferenza: “Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni”. – Ap 11:3.

   Chi sono questi “due testimoni”? Intanto sono predicatori di penitenza, come indicato dai loro abiti. Infatti, i vestirsi di sacco indica nella Scrittura un atteggiamento di penitenza: “Proclamarono un digiuno, e si vestirono di sacchi” (Gna 3:5), “Si sarebbero pentite con sacco e cenere” (Mt 11:21, TNM). Dal fatto che “i loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città” (Ap 11:8), sappiamo che svolgono il loro ministero in Gerusalemme (cfr. 11:2). La loro testimonianza deve durare 3 anni e mezzo o “per milleduecentosessanta giorni” (11:3) o “per quarantadue mesi” (11:2). Il loro ministero è quindi rivolto ai giudei.

   Chi sono i “due testimoni” lo dice in maniera enigmatica il verso successivo: “Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra” (Ap 11:4). L’immagine è presa da Zc 4:3 che parla di “due ulivi”, che “sono i due unti che stanno presso il Signore di tutta la terra” (Zc 4:14). In Israele c’erano due “unti”, consacrati con olio: il sommo sacerdote e il re, che insieme guidavano il popolo di Dio per suo incarico. Impiegando queste immagini tratte dalla storia d’Israele e dalla Scrittura stessa, Giovanni parla di due eletti da Dio nel tempo della fine. Ma chi sono?

   “Se qualcuno vorrà far loro del male, un fuoco uscirà dalla loro bocca e divorerà i loro nemici; e se qualcuno vorrà offenderli bisogna che sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo affinché non cada pioggia, durante i giorni della loro profezia. Hanno pure il potere di mutare l’acqua in sangue e di percuotere la terra con qualsiasi flagello, quante volte vorranno” (Ap 11:5,6). Da questi particolari possiamo dedurre a chi Giovanni intende riferirsi.

 

“Se qualcuno vorrà far loro del male, un fuoco uscirà dalla loro bocca e divorerà i loro nemici; e se qualcuno vorrà offenderli bisogna che sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo affinché non cada pioggia, durante i giorni della loro profezia. Hanno pure il potere di mutare l’acqua in sangue e di percuotere la terra con qualsiasi flagello, quante volte vorranno”. – Ap 11:5,6.

Elia

Mosè

“Elia rispose e disse al capitano dei cinquanta: «Se io sono un uomo di Dio, scenda del fuoco dal cielo, e consumi te e i tuoi cinquanta uomini!» E dal cielo scese il fuoco di Dio che consumò lui e i suoi cinquanta uomini”. – 2Re 1:10.

“Elia … disse ad Acab: «Com’è vero che vive il Signore, Dio d’Israele, che io servo, non ci sarà né rugiada né pioggia in questi anni, se non alla mia parola»”. – 1Re 17:1.

“Ai giorni di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e vi fu grande carestia in tutto il paese”. – Lc 4:25.

“Elia … e pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi”. – Gc 5:17.“Io percoterò col bastone che ho in mano le acque che sono nel Fiume, ed esse saranno cambiate in sangue”. – Es 7:17.

“Il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aaronne: ‘Prendi il tuo bastone e stendi la tua mano sulle acque dell’Egitto, sui loro fiumi, sui loro canali, sui loro stagni e sopra ogni raccolta d’acqua’; essi diventeranno sangue. Vi sarà sangue in tutto il paese d’Egitto, perfino nei recipienti di legno e nei recipienti di pietra»”. – Es 7:19.

 

   Nella letteratura apocalittica giudaica compaiono come precursori del Messia escatologico Elia e Mosè. Ne abbiamo traccia anche nella Bibbia: “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile” (Mal 4:5), “Io farò sorgere per loro un profeta come te [Mosè] in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò” (Dt 18:18). Quando Yeshùa fu trasfigurato davanti ai suoi discepoli, “apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui”. – Mt 17:3.

   Ci troviamo quindi di fronte a un’immagine che evoca il tempo finale. Con i suoi simboli apocalittici dal gusto biblico, Giovanni sta dicendo che la chiesa deve patire la sofferenza per poi uscirne vincitrice. Occorre soffrire e morire, per poi essere glorificati.

   “E quando avranno terminato la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà” (Ap 11:7). L’immagine è presa da Dn 7:21, in cui si vede il corno di una bestia “fare guerra ai santi e avere il sopravvento”, alludendo al re siro Antioco Epifane (2° secolo a. E. V.). Nella letteratura apocalittica giudaica la bestia è simbolo tipico che indica gli avversari del tempo della fine. Giovanni menziona “la bestia”senza alcuna introduzione esplicativa: i suoi lettori capivano l’antifona.

   Questo nemico bestiale che sale dal regno del male, “dall’abisso”, sconfigge i due testimoni e li uccide. Profana perfino i loro cadaveri: “I loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso” (Ap 11:8). Gerusalemme riceve due nomi simbolici:

  • “Sodoma”. In Is 1:8-10 Gerusalemme è paragonata a Sodoma e suoi governanti sono detti “capi di Sodoma” (v. 10). “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un piccolo residuo, saremmo come Sodoma”. – Is 1:9.
  • “Egitto”. Come in Egitto gli ebrei erano stati resi schiavi, Gerusalemme oppresse i giudei con le sue guide farisaiche e li rese religiosamente schiavi. In Egitto, “dove anche il loro Signore è stato crocifisso”, fu scannato per la prima volta l’agnello pasquale, il cui antìtipo era Yeshùa. – Gv 1:29,36; 1Cor 5:7; 1Pt 1:19.

   Giovanni sta dicendo che Gerusalemme è divenuta la sede del peccato impenitente. “Gli uomini dei vari popoli e tribù e lingue e nazioni vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non lasceranno che siano posti in sepolcri. Gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra” (Ap 11:9,10). C’è una gioia maligna nelle persone che festeggiano per essersi finalmente liberati dei predicatori di penitenza. Ma la loro perfida esultanza finisce all’improvviso: “Ma dopo tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro; essi si alzarono in piedi e grande spavento cadde su quelli che li videro”. – Ap 11:11.

   Giovanni usa ancora la metà di un settenario, “tre giorni e mezzo”: dopo aver patito per tre anni e mezzo (11:3), i due predicatori di penitenza rimangono morti per tre giorni e mezzo.

   “Ed essi udirono una voce potente che dal cielo diceva loro: «Salite quassù». Essi salirono al cielo in una nube e i loro nemici li videro. In quell’ora ci fu un gran terremoto e la decima parte della città crollò e settemila persone furono uccise nel terremoto; e i superstiti furono spaventati e diedero gloria al Dio del cielo”. – Ap 11:12,13.

 

“Essi salirono al cielo”. – Ap 11:12.

Elia

Mosè

“Elia salì al cielo in un turbine”. – 2Re 2:11.

“Nessuno fino a oggi ha mai saputo dove è la sua tomba”. – Dt 34:6; cfr. Gda 9, Assunzione di Mosè.

 

   Coloro che sopravvivono al terremoto sono così spaventati che si convertono dando gloria a Dio. “Il secondo «guai» è passato; ma ecco, il terzo «guai» verrà presto”. – Ap 11:14.