“Ed esso stette fermo sulla sabbia del mare” (Ap 13:1, TNM). Giovanni Diodati tradusse, nel 17° secolo: “Ed io mi fermai in su la rena del mare”, versione mantenuta anche dalla Nuova Diodati: “Poi mi fermai sulla sabbia del mare”. Non sarebbe quindi il dragone a fermarsi sul mare, ma sarebbe il veggente che si sposta lì. Questa traduzione si basa però su manoscritti più recenti e meno autorevoli. Il testo critico di Westcott & Hort (considerato il più accreditato), seguito pure dai testi critici di Tregelles, di Tischendorf, di Nestle-Aland e di Merk, hanno

καὶ ἐστάθη ἐπὶ τὴν ἄμμον τῆς θαλάσσης

kài estàthe epì àmmon tès thalàsses

e si pose su la sabbia del mare

   Anche Girolamo si attenne a questa lezione, traducendo: “Et stetit super harenam maris”, “e si fermò sulla spiaggia del mare” (CEI), riferito al dragone.

   Anticamente, quando gli orientali nominavamo il mare senza spe-cificare quale, intendevano il Mar Mediterraneo. Questo dato è impor-tante, perché è detto che il dragone si fermò sulla sponda mediterranea della Palestina. Ora, al di là del Mar Mediterraneo c’era (e c’è) Roma.

   “Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi”. – Ap 13:1.

   Dal Mar Mediterraneo emerge una bestia; il dragone è sulla sponda palestinese e sulla sponda opposta si trova la città dominatrice del mondo, la città dei sette colli.

“In quel giorno, il Signore punirà con la sua spada dura, grande e forte,

il leviatano, l’agile serpente,

il leviatano, il serpente tortuoso,

e ucciderà il mostro che è nel mare!”. – Is 27:1.

   C’è uno stretto rapporto tra la bestia e il drago, e ciò è spiegato subito dopo: “La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità”. – Ap 13:2.

   Già il nome di “bestia” la identifica come nemica di Dio, e il fatto che il dragone le dà la sua potenza lo conferma. L’immagine è tratta da Dn 7:7: “Io continuavo a guardare le visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventosa, terribile, straordinariamente forte. Aveva grossi denti di ferro; divorava, sbranava e stritolava con le zampe ciò che restava; era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna”.

   I “dieci diademi” che ha sulle sue “dieci corna” (Ap 13:1) indicano il suo pieno (dieci) potere regale. Il fatto che ha “sulle teste nomi blasfemi” (Ibidem) sta probabilmente ad indicare i titoli attribuiti all’imperatore romano nel culto imperiale e che offendono l’onore di Dio; nell’Impero Romano l’imperatore veniva acclamato come eccelso, divino, figlio di dio, signore e dio, salvatore e altro ancora.

   Nella visione di Dn 7:3-7 si vedono salire dal mare quattro bestie in successione: “Quattro grandi bestie salirono dal mare, una diversa dall’altra. La prima era simile a un leone … una seconda bestia, simile a un orso … un’altra bestia simile a un leopardo … una quarta bestia spaventosa, terribile, straordinariamente forte” (passim). “Queste quattro grandi bestie sono quattro re che sorgeranno dalla terra” (Dn 7:17). Ora si noti come la bestia vista da Giovanni abbia concentrare in sé le caratteristiche delle quattro bestie viste da Daniele:

 

La bestia vista da Giovanni

Le quattro bestie viste da Daniele

“La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone”. – Ap 13:2.

1a

“Simile a un leone”

Dn 7:4

2a

“Simile a un orso”

Dn 7:5

3a

“Simile a un leopardo”

Dn 7:6

4a

“Era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna”

Dn 7:7

 

   La bestia vista da Giovanni è l’emblema della potenza universale, l’Impero Romano che ha il suo vertice in Cesare a cui vanno tutti gli onori che spettano di diritto solo a Dio. Come faccia tale bestia ad avere tanto potere in sé è spiegato in Ap 13:2: “Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità”.

   Ha satana questa facoltà di concedere tanto potere? Sì. Egli è “il principe di questo mondo” (Gv 14:30), “il dio di questo mondo” (2Cor 4:4), perché “tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5:19); egli è “il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli”. – Ef 2:2.

   È per il potere che ha su questo mondo che poté offrire a Yeshùa il dominio mondiale in cambio della sua sottomissione: “Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi voglio” (Lc 4:5,6). Il maligno ha quindi facoltà di dare “sua potenza, il suo trono e una grande autorità” (Ap 13:2) alla bestia che esce dal mare. In 2Ts 2:9 è spiegato che  “la venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi”.

   Giovanni non si riferisce a una potenza qualsiasi evocando la bestia, perché il suo quadro di riferimento è la situazione storica del suo tempo, in cui c’era una sola potenza mondiale che pretendeva piena obbedienza e perfino il culto: l’Impero Romano.

“E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?» E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. Le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. L’adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato”. – Ap 13:3-8.

   La bestia uscita dal mare ha sette teste, come i mitici mostri a sette teste. Dal fatto però che una sua testa è ferita e poi guarita, comprendiamo che Giovanni intende dare un’interpretazione particolare alle sette teste. Cosa indicano? Lo dice lui stesso in Ap 17:9: “Qui occorre una mente che abbia intelligenza. Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede. Sono anche sette re”. Non è difficile scorgere nei “sette monti” proprio Roma, la città dei sette colli. Giovanni parla però anche di “sette re”, uno dei quali è ferito e poi guarito. Giovanni sta quindi parlando di un sovrano. Ma di chi? Verrebbe da pensare a Giulio Cesare, morto violentemente, però il testo sacro dice che “la sua piaga mortale fu guarita” (Ap 13:3). Ci si può così riferire all’imperatore Nerone.

   Gaio Svetonio Tranquillo, più noto semplicemente come Svetonio, fu uno scrittore romano dell’età imperiale, vissuto dal 70 al 126; egli scrisse le vite dei Cesari. Di nostro interesse è ciò che scrisse in merito a Nerone: dopo la sua morte si era certi che non fosse morto ma fuggito molto lontano e si pensava che sarebbe tornato a capo di un esercito dei parti. In pratica, si diceva che era morto ma che sarebbe tornato dal regno dei morti per riprendersi il potere (cfr. Svetonio, Nero 57). Giovanni utilizzò questa notizia, molto nota al suo tempo, per assegnare le caratteristiche neroniane all’Anticristo apocalittico.

   “Tutta la terra”, e cioè tutto il mondo di allora sotto l’Impero Romano, “meravigliata, andò dietro alla bestia” e tutti “adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia” (Ap 13:3,4). Si noti come viene espressa la lode nella loro adorazione pagana: «Chi è simile [τίς ὅμοιος (tìs òmoios)] alla bestia?» (v. 4). Questo inno è straordinariamente simile a quello rivolto dagli ebrei al Dio d’Israele in Es 15:11: “Chi è pari [τίς ὅμοιός (tìs omoiòs)] a te fra gli dèi, o Signore?” (LXX). Alla bestia, all’Impero Romano, si rende insomma il culto che spetterebbe a Dio. Culto che alla fine fa al maligno, che sempre lo pretese, perfino da Yeshùa. La bestia si rivela però per quello che è, perché aveva “una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie” (v. 5) ed “essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo” (v. 6). Il bestiale Impero ha “potere di agire per quarantadue mesi” (v. 5) ovvero per i tre anni e mezzo di tribolazione.

   Va notata e spiegata l’assegnazione del ruolo concesso alla bestia. È il dragone che “aveva dato il potere alla bestia” (v. 4; cfr. v. 2), però è anche detto che la sua bocca blasfema “le fu data” e che “le fu dato potere” (v. 5). Questi ultimi verbi all’impersonale si riferiscono a Dio. Il “dare” di Dio va compreso nella mentalità semitica che tutto attribuiva a Dio, in bene e in male. Dio lo permette, è per questo che si dice che lo dà. Occorre però andare oltre e vedere il senso profondo di ciò che Giovanni mette in risalto: Dio è infinitamente superiore a satana e alla sua bestia imperiale. È ciò che traspare anche nelle parole di Yeshùa al procuratore romano: “Tu non avresti alcun’autorità su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19:11). Ciò che Dio permette al dragone e alla sua bestia ha però un limite preciso: “quarantadue mesi” (v. 5), il che segna una volta di più la superiorità di Dio.

   Il tempo concesso da Dio al maligno e alla bestia viene impiegato da loro efficacemente “per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome” e anche “ il suo tabernacolo” (v. 6). Il tabernacolo non è il tempio ma il cielo, come in Dn 8:11, in cui viene sconvolto “il luogo del suo santuario” dopo aver raggiunto il cielo. Infatti, oltre a bestemmiare il “suo tabernacolo”, bestemmiano “quelli che abitano nel cielo” (v. 6). La loro malvagia azione comporta anche “di far guerra ai santi e di vincerli” (v. 7), oltre che esercitare potere su tutta l’umanità, “sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione” (v. 7). Questo modo malvagio di agire, ispirato da satana, ha il chiaro obiettivo di contrastare Yeshùa che è destinato da Dio a regnare sull’universo intero.

   “L’adoreranno tutti gli abitanti della terra”, ma i loro nomi non sono scritti “nel libro della vita” (v. 8). Tutti, eccetto gli eletti.

   Ciò che sta per accadere è drammatico, è imminente e colpirà la comunità dei credenti. Giovanni si fa molto accorato ed esorta tutti fedeli affinché lo ascoltino e affinché si tengano pronti ad accettare le sofferenze che avranno:

“Se uno ha orecchi, ascolti. Se uno deve andare in prigionia, andrà in prigionia; se uno dev’essere ucciso con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi”. – Ap 13:9,10.

   Quest’ultimo passo presenta delle varianti:

 

Testo critico

Ap 13:9,10 (traduzione letterale)

Manoscritti

Merk

“Se qualcuno ha orecchi, ascolti. Se qualcuno in spada ucciderà, è necessario lui in spada essere ucciso. Qui è la perseveranza e la fede dei santi”.

Codici unciali

 C e P

Nestle-Aland

“Se qualcuno ha orecchi, ascolti. Se qualcuno in prigionia, in prigionia va; se qualcuno in spada essere ucciso, lui in spada essere ucciso. Qui è la perseveranza e la fede dei santi”

Codice unciale

A

Tischendorf

Westcott & Hort

“Se qualcuno ha orecchi, ascolti. Se qualcuno in prigionia, in prigionia va; se qualcuno in spada ucciderà, è necessario lui in spada essere ucciso. Qui è la perseveranza e la fede dei santi”

Codice unciale

B

Tregelles

“Se qualcuno ha orecchi, ascolti. Se qualcuno in prigionia, va; se qualcuno in spada ucciderà, è necessario lui in spada essere ucciso. Qui è la perseveranza e la fede dei santi”

Codice unciale

B

 

   L’impressione è che a Giovanni appartenga unicamente la frase: “Se uno ha orecchi, ascolti”, che in modo secco e sintetico dice tutto. Forse ai copisti successivi ciò sembrò troppo conciso e ci misero mano per completare l’esortazione, ricorrendo alle parole di Mt 26:52: “Tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada”. La traduzione “se uno dev’essere ucciso con la spada” (Ap 13:10) è aggiustata, perché il testo greco dice εἴ τις ἐν μαχαίρῃ ἀποκτενεῖ, “se qualcuno in spada ucciderà”, il che è conforme a Mt 26:52. Questa aggiunta per completare la frase ritenuta dagli scribi troppo succinta, cambia però il senso dell’esortazione giovannea, snaturandola. Infatti, Giovanni non voleva certo intendere che i fedeli si sarebbero difesi con la spada. Piuttosto, egli esorta ad accettare la sorte e a rimanere fedeli: Se uno ha orecchi, ascolti”.

   L’atteggiamento di fedeltà raccomandato da Giovanni è del tutto conforme al pensiero biblico, così come espresso in Ger 15:2:

“Se anche ti dicono: ‘Dove ce ne andremo?’

tu risponderai loro: ‘Così dice il Signore:

Alla morte, i destinati alla morte;

alla spada, i destinati alla spada;

alla fame, i destinati alla fame;

alla schiavitù, i destinati alla schiavitù’”.