Dopo circa due anni che si trovavano nella regione del Sinày, gli ebrei iniziarono la loro marcia verso la terra di Canaan (Nm 10:11). Avevano promesso di ubbidire e di star calmi, ma non mantennero la parola. Cominciarono ben presto a commettere nuovi atti d’insubordinazione.

   Dio provvedeva per il loro nutrimento. Nel “secondo mese dopo la loro partenza dal paese d’Egitto” (Es 16:1), prima di arrivare al monte Sinày, “tutta la comunità dei figli d’Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro: ‘Fossimo pur morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse di fame!’” (Es 16:2,3). Dio provvide allora per loro della carne e la manna: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane” (Es 16:11, CEI). “La sera stessa arrivarono delle quaglie che ricoprirono il campo”: la carne era provveduta (Es 16:13). “La mattina c’era uno strato di rugiada intorno al campo; e quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra” (Es 16:13,14): era la manna, il “pane” provveduto la Dio, “era bianco, e aveva il gusto di schiacciata fatta col miele” (Es 16:31). Il nome “manna” fu dato dagli ebrei: “La casa d’Israele chiamò quel pane manna” (Ibidem), perché “quando l’ebbero vista, si dissero l’un l’altro: ‘Che cos’è?’” (Es 16:15). In ebraico, “che cos’è” si dice מָן הוּא  (man hu), da qui il nome “manna” in italiano. “I figli d’Israele mangiarono la manna per quarant’anni, finché arrivarono in terra abitata. Mangiarono la manna finché giunsero ai confini del paese di Canaan”. – Es 16:35.

   Ora, dopo due anni, nauseati dalla manna, volevano ancora la carne. Dio la concesse di nuovo, ma fece scontar loro l’ingordigia che manifestarono. “Un vento si levò, per ordine del Signore, e portò delle quaglie dalla parte del mare e le fece cadere presso l’accampamento sulla distesa di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro intorno all’accampamento, e a un’altezza di circa due cubiti [circa 90 cm] sulla superficie del suolo. Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno seguente raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci omer [circa 2200 litri!]; le distesero tutto intorno all’accampamento. Avevano ancora la carne tra i denti e non l’avevano neppure masticata, quando l’ira del Signore si accese contro il popolo e il Signore colpì il popolo con un gravissimo flagello. A quel luogo fu dato il nome di Chibrot-Attaava, perché vi seppellirono la gente che si era lasciata prendere dalla concupiscenza” (Nm 11:31-34). Il nome dato a quella località – Qivròt Hataavàh (קִבְרֹות הַתַּאֲוָה) – significa “luoghi di sepoltura della brama”.

   Giunsero poi a Cades-Barnea (Dt 1:19). Erano pronti per entrare nella Terra Promessa. Ma… c’era un ma, un altro ma. Mosè riferisce: “Voi tutti vi avvicinaste a me e diceste: ‘Mandiamo degli uomini davanti a noi, che ci esplorino il paese, ci riferiscano qualcosa sulla strada che dovremo percorrere e sulle città alle quali dovremo arrivare’” (Dt 1:22). Così furono scelti dodici esploratori (in effetti, 12 spie), una per tribù (v. 23), e mandati a prendere visione della Terra Promessa. Era evidente che gli ebrei non si fidavano.

   “Dopo quaranta giorni tornarono dall’esplorazione del paese e andarono a trovare Mosè e Aaronne e tutta la comunità dei figli d’Israele nel deserto di Paran, a Cades: riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese. Fecero il loro racconto, e dissero: ‘Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti’” (Nm 13:25-27). Andava tutto così bene? Non proprio. Dieci di quegli esploratori furono negativi ed esagerarono sfavorevolmente e di proposito le cose: “Però, il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime” (v. 28). E rincararono la dose: “’Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi’. E screditarono presso i figli d’Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: ‘Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro’”. – Vv. 31-33.

   L’effetto di tanta negatività era scontato: “Allora tutta la comunità gridò di sgomento e alzò la voce; e il popolo pianse tutta quella notte. Tutti i figli d’Israele mormorarono contro Mosè e contro Aaronne, e tutta la comunità disse loro: ‘Fossimo pur morti nel paese d’Egitto! O fossimo pur morti in questo deserto! Perché il Signore ci conduce in quel paese dove cadremo per la spada? Là le nostre mogli e i nostri bambini diventeranno preda del nemico. Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto?’ E si dissero l’un l’altro: ‘Nominiamoci un capo, torniamo in Egitto!’”. – Nm 14:1-1.

   Vista la loro ingratitudine e la loro mancanza di fede, Dio pensò di nuovo di annientare il popolo e di sostituirlo con la progenie di Mosè: “Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? Fino a quando non avranno fede in me dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente di esso’” (Nm 14:11,12). Fu solo per intercessione di Mosè che Dio, ancora una volta, non attuò il suo piano: “’Perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui’. Il Signore disse: ‘Io perdono, come tu hai chiesto’”. – Vv. 19,20.

   Perdono, sì; ma la punizione ci fu. “Tutti gli uomini che hanno visto la mia gloria e i miracoli che ho fatto in Egitto e nel deserto, quelli che mi hanno tentato già dieci volte e non hanno ubbidito alla mia voce, certo non vedranno il paese che promisi con giuramento ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà . . . io vi farò quello che ho sentito dire da voi. I vostri cadaveri cadranno in questo deserto; e voi tutti, quanti siete, di cui si è fatto il censimento, dall’età di vent’anni in su, e che avete mormorato contro di me, non entrerete di certo nel paese nel quale giurai di farvi abitare . . . I vostri figli andranno pascendo le greggi nel deserto per quarant’anni e porteranno la pena delle vostre infedeltà, finché i vostri cadaveri non siano consumati nel deserto. Come avete messo quaranta giorni a esplorare il paese, porterete la pena delle vostre iniquità per quarant’anni, un anno per ogni giorno, e saprete che cosa sia cadere in disgrazia presso di me”. – Nm 14:22,23,28-30,33,34.

   Il popolo di Israele fu costretto a rimanere nomade per quaranta anni, percorrendo qua e là la regione, ritardando l’entrata nella Terra Promessa. Tutto il peregrinare di Israele è riportato in Nm 33.

   Queste sono le tappe degli israeliti durante il loro Esodo:

Queste sono le tappe fatte dai figli d’Israele che uscirono dal paese d’Egitto, divisi in schiere, sotto la guida di Mosè e di Aaronne. Mosè mise per iscritto le loro marce, tappa per tappa, per ordine del Signore; e queste sono le tappe che fecero nel loro cammino.

Partirono da Raamses il primo mese, il quindicesimo giorno di quel mese. Il giorno dopo la Pasqua i figli d’Israele partirono a testa alta, sotto gli occhi di tutti gli Egiziani, mentre gli Egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpiti in mezzo a loro, cioè tutti i primogeniti, quando anche i loro dèi erano stati colpiti dal giudizio del Signore.

I figli d’Israele partirono dunque da Raamses e si accamparono a Succot.

Partirono da Succot e si accamparono a Etam, che è all’estremità del deserto.

Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot, che è di fronte a Baal-Sefon, e si accamparono davanti a Migdol.

Partirono da davanti ad Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara.

Partirono da Mara e andarono a Elim, dove c’erano dodici sorgenti d’acqua e settanta palme. Là si accamparono.

Partirono da Elim e si accamparono presso il mar Rosso.

Partirono dal mar Rosso e si accamparono nel deserto di Sin.

Partirono dal deserto di Sin e si accamparono a Dofca.

Partirono da Dofca e si accamparono ad Alus.

Partirono da Alus e si accamparono a Refidim, dove non c’era acqua da bere per il popolo.

Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai.

Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Chibrot-Attaava.

Partirono da Chibrot-Attaava e si accamparono ad Aserot.

Partirono da Aserot e si accamparono a Ritma.

Partirono da Ritma e si accamparono a Rimmon-Perez.

Partirono da Rimmon-Perez e si accamparono a Libna.

Partirono da Libna e si accamparono a Rissa.

Partirono da Rissa e si accamparono a Cheelata.

Partirono da Cheelata e si accamparono al monte di Sefer.

Partirono dal monte di Sefer e si accamparono a Carada.

Partirono da Carada e si accamparono a Machelot.

Partirono da Machelot e si accamparono a Taat.

Partirono da Taat e si accamparono a Tarac.

Partirono da Tarac e si accamparono a Mitca.

Partirono da Mitca e si accamparono a Casmona.

Partirono da Casmona e si accamparono a Moserot.

Partirono da Moserot e si accamparono a Bene-Iaacan.

Partirono da Bene-Iaacan e si accamparono a Or-Ghidgad.

Partirono da Or-Ghidgad e si accamparono a Iotbata.

Partirono da Iotbata e si accamparono ad Abrona.

Partirono da Abrona e si accamparono a Esion-Gheber.

Partirono da Esion-Gheber e si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Cades.

Poi partirono da Cades e si accamparono al monte Or, all’estremità del paese di Edom. E il sacerdote Aaronne salì sul monte Or per ordine del Signore e lì morì, quarant’anni dopo l’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, il quinto mese, il primo giorno del mese. Aaronne era in età di centoventitré anni quando morì sul monte Or. Il re di Arad, cananeo, che abitava il mezzogiorno del paese di Canaan, udì che i figli d’Israele arrivavano.

Quelli partirono dal monte Or e si accamparono a Salmona.

Partirono da Salmona e si accamparono a Punon.

Partirono da Punon e si accamparono a Obot.

Partirono da Obot e si accamparono a Iie-Abarim, sui confini di Moab.

Partirono da Iim e si accamparono a Dibon-Gad.

Partirono da Dibon-Gad e si accamparono ad Almon-Diblataim.

Partirono da Almon-Diblataim e si accamparono sui monti d’Abarim di fronte a Nebo.

Partirono dai monti d’Abarim e si accamparono nelle pianure di Moab, presso il Giordano di fronte a Gerico.

Si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim, nelle pianure di Moab” (Nm 33:1-49).

   Verso la fine dei 40 anni di peregrinazioni, ritrovandosi di nuovo “a Cades” (Nm 20:1), venne la volta che la mancanza di acqua causò una nuova sedizione. “Non c’era acqua per la comunità; perciò ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aaronne” (Nm 20:2). Mosè ed Aaronne erano stanchi. “Il popolo si mise a contestare Mosè” (v. 3). Il ritornello era sempre lo stesso: “Fossimo pur morti quando morirono i nostri fratelli . . .  Perché avete condotto l’assemblea del Signore in questo deserto per morire qui noi e il nostro bestiame? Perché ci avete fatti salire dall’Egitto per condurci in questo luogo detestabile?”. – 20:3-5.

   Mosè era davvero spazientito. Comunque, “il Signore disse a Mosè: ‘Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aaronne convocate la comunità e parlate a quella roccia, in loro presenza, ed essa darà la sua acqua; tu farai sgorgare per loro acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al suo bestiame’”. – 20:7,8.

   Ora, si noti l’atteggiamento di Mosè nell’eseguire il comando divino: “’Ora ascoltate, o ribelli; faremo uscire per voi acqua da questa roccia?’ E Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il suo bastone due volte, e ne uscì acqua in abbondanza; e la comunità e il suo bestiame bevvero” (20:10,11). Dio aveva detto di parlare alla roccia, ma Mosè la colpì per ben due volte. Stava facendo di testa sua. Perché? Perché era spazientito e nervoso. Si noti anche l’appellativo che dà agli ebrei: “ribelli”; il che conferma il suo stato d’animo. In una precedente e simile occasione, nei pressi del monte Sinày o (Horeb), a Meriba, Dio aveva detto a Mosè di colpire la roccia (Es 17:2-7;33:6). Ma qui, a Cades, gli fu detto di parlare alla roccia. Mosè forse volle ripetere quanto aveva fatto in precedenza su comando di Dio, sebbene Dio ora dicesse che sarebbe stato sufficiente parlare alla roccia. Fu una colpa grande? Si tenga presente che, dato che “Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini” (Nm 12:3, TNM), il suo gesto di stizza doveva essere stato originato da una grande ribellione interiore. Questa grave amarezza, condivisa anche da suo fratello Aaronne, gli impedì di tenere lo sguardo rivolto a Dio, tanto che non espresse la sua lode per l’intervento divino. “Il Signore disse a Mosè e ad Aaronne: ‘Siccome non avete avuto fiducia in me per dare gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non condurrete questa assemblea nel paese che io le do’”. – Nm 20:12.

   Ciò gli costò caro. Quando in seguito il popolo errante stava finalmente per entrare nella Terra Promessa, a Mosè non fu concesso. Dio gli disse: “Sali su questo monte di Abarim e contempla il paese che io do ai figli d’Israele. Quando l’avrai visto, anche tu sarai riunito ai tuoi padri, come fu riunito Aaronne tuo fratello, perché vi ribellaste all’ordine che vi diedi nel deserto di Sin quando la comunità si mise a contestare, e voi non le deste testimonianza della mia santità, a proposito di quelle acque. Sono le acque della contestazione di Cades, nel deserto di Sin”. – Nm 27:12-14.

   La grave colpa di Mosè è da rintracciare nella frase che disse al popolo: “Faremo uscire per voi acqua da questa roccia?”. Questo passo di Nm riporta cosa disse. Ma la questione è: come lo disse? C’è modo di saperlo? Sì, dalla Bibbia stessa: “Lo provocarono presso le acque di Meribà, e ne venne del male a Mosè per causa loro; perché inasprirono il suo spirito ed egli parlò senza riflettere” (Sl 106:32,33). L’espressione ebraica usata è יְבַטֵּא (ivatè): “parlò avventatamente”. Mosè era particolarmente adirato e tutta la sua amarezza lo fece ripiegare su se stesso. Il quel momento così buio per lui dimenticava Dio e si preoccupava solo del suo sconvolgimento interiore. Erano anni e anni che sopportava le lagnanze di quegli ebrei sempre polemici. Ora – se ci è concesso tradurlo in linguaggio popolare corrente – era come se dicesse: Ma che diamine volete ancora da me, gentaglia? Posso io farvi scaturire acqua?! Richiamando l’attenzione su di sé e su Aaronne, anziché su Colui che davvero poteva provvedere miracolosamente l’acqua, ‘non diede testimonianza della santità di Dio’ (Nm 27:14). Dio stesso glielo fece rilevare già allora: “Siccome non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non condurrete questa assemblea nel paese che io le do”. – Nm 20:12.

   In seguito – e non era una novità – “durante il viaggio il popolo si perse d’animo” (Nm 21:4). Il ritornello era sempre e ancora quello: “Perché ci avete fatti salire fuori d’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua, e siamo nauseati di questo cibo tanto leggero” (v. 4). Il disprezzato “cibo tanto leggero” era nientemeno che la manna, “il pane del cielo” (Sl 105:40). La punizione venne sotto forma di serpenti velenosi che morsero mortalmente molti ebrei (Nm 21:6). E, come da copione, dopo il consueto ritornello lamentoso e dopo la meritata punizione, giunse il pentimento: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti” (v. 7). E Mosè mediò di nuovo. “Il Signore disse a Mosè: ‘Fòrgiati un serpente velenoso e mettilo sopra un’asta: chiunque sarà morso, se lo guarderà, resterà in vita’” (v. 8). C’è qui un grandissimo significato. Yeshùa, il messia, lo applicò a se stesso: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. – Gv 3:14,15; cfr. 8:28;12:32 e Gal 3:13.

   Dopo tante peripezie proseguirono in pace: d’ora in poi il cammino di Israele verso la Terra promessa diventa un trionfo. Due potenti re amorrei sono vinti (Nm 21; Dt 3:8-13). Infine gli ebrei si radunarono nelle steppe di Moab davanti a Gerico per passare il fiume Giordano e impossessarsi della terra di Canaan (Nm 22:1). Davanti a tanto progresso, il re madianita Balac si rivolse al celebre indovino Balaam: “Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto; esso ricopre la faccia della terra e si è stabilito di fronte a me; vieni dunque, te ne prego, e maledicimi questo popolo, poiché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò cacciarlo via dal paese; poiché so che chi tu benedici è benedetto, e chi tu maledici è maledetto” (Nm 22:5,6). L’esito fu spettacolare. Dio intervenne e Balaam non poté far altro che benedire Israele con una serie di quattro oracoli. – 22:9-24:25.

 

Le benedizioni di Balaam (gli oracoli sono quattro)

1 “Come farò a maledirlo se Dio non l’ha maledetto? . . . [Israele] è un popolo che dimora solo e non è contato nel numero delle nazioni . . . Possa la mia fine essere simile alla loro!” – Nm 23:7-10, passim.
2 “Ho ricevuto l’ordine di benedire; egli ha benedetto; io non posso contraddire . . . [Dio] non scorge iniquità in Giacobbe, non vede perversità in Israele. Il Signore, il suo Dio, è con lui e Israele lo acclama come suo re. . . . Dio lo ha fatto uscire dall’Egitto, e gli dà il vigore del bufalo”. – Nm 23:18-24, passim.
3 “Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele! . . . Il suo regno sarà esaltato . . . [Israele] divorerà i popoli che gli sono avversari . . . Benedetto chiunque ti benedice, maledetto chiunque ti maledice!” – Nm 24:3-9, passim.
4 “Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro si eleva da Israele . . . Da Giacobbe verrà un dominatore che sterminerà i superstiti delle città . . . Ahimè! Chi resisterà quando Dio lo avrà stabilito?” – Nm 24:15-24, passim.

 

   La quarta profezia accenna chiaramente al Messia. Comunque, nonostante i suoi begli oracoli, Balaam voleva essere fedele a Balac, il suo re madianita. L’affermazione di Nm 24:25 che “Balaam si alzò, partì e se ne tornò a casa sua” non significa ciò che si potrebbe supporre ad una prima lettura, e cioè che egli ritornasse proprio a casa sua a Petor. Nulla indica che Balaam si fosse allontanato dalle immediate vicinanze del monte Peor. Il Commentary di F. C. Cook spiega: “Tornò al suo proprio luogo . . . Non al suo paese, infatti rimase fra i madianiti per complottare in altri modi contro il popolo di Dio, e per perire nel suo peccato. . . . La frase, che ricorre spesso (cfr. e.g. Gen. xviii. 33, xxxi. 55; I S. xxvi. 25; 2 S. xix. 39), è idiomatica, e significa semplicemente che Balaam se ne andò dove voleva”. Balaam sperava ancora nella ricompensa per cui era stato ingaggiato dal re Balac. Se non poteva maledire Israele, forse Dio stesso avrebbe maledetto gli ebrei se questi avessero adorato Baal di Peor. Tentò quindi di indurre gli ebrei al culto idolatrico. Così, Balaam “insegnava a Balac il modo di far cadere i figli d’Israele, inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare”. – Ap 2:14.

   Il tentativo di Balaam non fu del tutto vano: “Per suggerimento di Balaam, [le donne maoabite e madianite] trascinarono i figli d’Israele all’infedeltà verso il Signore, nel fatto di Peor, per cui il flagello scoppiò nella comunità del Signore” (Nm 31:16). Come risultato 24.000 uomini d’Israele morirono per il loro peccato (Nm 25:1-9). Balaam stesso non sfuggì alla punizione: “Uccisero pure con la spada Balaam”. – Nm 31:8.

   Il popolo ebraico si trovava ora sulla riva del Giordano in vista della Terra Promessa: la Palestina. Mosè, sentendosi prossimo a morire, chiese a Dio di poter entrare nella Terra tanto sospirata: “Ti prego, lascia che io passi e veda il bel paese che è oltre il Giordano, la bella regione montuosa” (Dt 3:25). La sua richiesta fu respinta da Dio. Mosè stesso ce lo racconta: “Non mi esaudì. Il Signore mi disse: ‘Basta così; non parlarmi più di questo. Sali in vetta al Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente, e contempla il paese con i tuoi occhi; poiché tu non passerai questo Giordano” (Dt 3:26,27). La motivazione l’abbiamo già vista. – Nm 20:12.

“Sali su questo monte di Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e guarda il paese di Canaan, che io do in possesso ai figli d’Israele. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito al tuo popolo, come tuo fratello Aaronne è morto sul monte Or ed è stato riunito al suo popolo, perché mi siete stati infedeli in mezzo ai figli d’Israele, presso le acque di Meriba, a Cades, nel deserto di Sin, in quanto non mi avete santificato in mezzo ai figli d’Israele. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io do ai figli d’Israele, non entrerai”. – Dt 32:49-52.

   Sconsolato ma non scoraggiato, Mosè prese le opportune misure perché il suo popolo potesse entrare nella Terra Promessa. Inculcò nel popolo l’amore per la Legge di Dio e raccolse i suoi discorsi nel libro del Deuteronomio (parola greca che significa “seconda legge” o “legge ripetuta”).

 

Deuteronomio – suddivisione del libro nei quattro discorsi di Mosè

1

Capp. 1-4

Avvenimenti dopo la promulgazione della Legge al Sinày

2

Capp. 5-26

Riassunta la Legge

3

Capp. 27,28

Benedizioni e maledizioni

4

Capp. 29,30

Patto con Israele

 

   Mosè salì sul monte Nebo, “in vetta al Pisga” (Dt 34:1). Possiamo immaginarlo con gli occhi pieni di visioni e con il cuore che gli batteva forte: la Terra che Dio donava era lì, davanti a lui.

   Sceso dal monte, benedisse le dodici tribù di Israele prima di morire (Dt 33:1). Poi “Mosè, servo del Signore, morì là nel paese di Moab, come il Signore aveva comandato” (34:5). “Mosè aveva centovent’anni quando morì; la vista non gli si era indebolita e il vigore non gli era venuto meno” (34:7). Nessuno seppe mai il luogo della sua sepoltura: “Il Signore lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; e nessuno fino a oggi ha mai saputo dove è la sua tomba”. – 34:6.

   Giuda 9 riferisce che “l’arcangelo Michele” contese “con il diavolo disputando per il corpo di Mosè”. Per quale motivo satana era interessato al corpo di Mosè? L’unico motivo poteva essere quello di usare il corpo per farne oggetto di adorazione da parte degli ebrei. Questo spiegherebbe la previdente decisione di Dio di farne sparire il corpo provvedendo lui stesso alla sepoltura. E spiegherebbe anche il successivo intervento divino tramite l’arcangelo per impedirne la presa da parte del maligno.

   Così, dalla scena mondiale scompariva un uomo grande e potente, un santo legislatore, la guida di Israele. A lui hanno guardato e guardano gli ubbidienti adoratori di Dio. A lui guardano gli storici e perfino gli artisti, come Michelangelo che ne scolpì l’immagine nel marmo.

   Mosè fu un messia, un consacrato, un “unto” di Dio: “Stimò il biasimo del Cristo come ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto” (Eb 11:26, TNM). L’uso insolito dell’espressione “cristo” (χριστός, christòs, “unto” o consacrato) si addice a Mosè perché ricevette una speciale consacrazione. Mosè non fu forse un tipo di Yeshùa che ne è l’antìtipo? Certamente sì, ma nella Scrittura nulla indica che Mosè fosse consapevole di particolari relativi a Yeshùa. Mosè non poteva stimare coscientemente le sue esperienze in Egitto come se fossero state a favore del Messia o lo avessero tipificato. Mosè non sapeva cosa avrebbe sofferto il futuro Messia. Senza fare arrampicate teologiche non giustificate dalla Bibbia, c’è un modo semplice di spiegare in che senso Mosè “stimò il biasimo del Cristo come ricchezza”. La parola greca usata (χριστός, christòs) – che equivale all’ebraico mashìakh (משיח), da cui il nostro “messia” – significa “unto” ovvero “consacrato”, e non è affatto esclusiva di Yeshùa. Di certo Yeshùa è il messia, il cristo, il consacrato per eccellenza, ma non è l’unico consacrato. Mosè fu lui pure un “unto”.

   Nei tempi biblici si conferiva un incarico speciale versando dell’olio sulla testa del prescelto (cfr. 1Sam 10:1;16:13; Es 30:25,30; Lv 8:12; 2Sam 22:51; Sl 133:2); da qui la parola “unto”. Tuttavia, nella Bibbia alcuni sono chiamati “unti” anche se non c’è nessuna indicazione che su di loro fosse stato versato dell’olio d’unzione (1Re 19:15,16; Sl 105:14,15; Is 45:1). Mosè fu un “unto” di Dio in quanto incaricato da lui: ricevette l’incarico di rappresentare Dio stesso e di guidare e condurre Israele fuori d’Egitto (Es 3:2-12,15-17). Pur essendo stato allevato fra le ricchezze e la gloria faraoniche, Mosè attribuì un valore maggiore al suo incarico, che accettò e assolse. Di conseguenza “stimò il biasimo del Cristo [il biasimo della sua consacrazione] come ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto”.