Abbiamo visto, negli studi precedenti, i grandi protagonisti impiegati da Dio nella formazione del suo popolo: Abraamo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè. Coprono un periodo di circa 500 anni, da circa il 2000 al 1500 prima della nascita di Yeshùa. È indubbiamente utile per la propria formazione spirituale riflettere sulle qualità di questi uomini di Dio. Non potremo che trarne del bene.

   Mosè. Sono tante le qualità di Mosè.

   Fede. “Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccato . . .  Per fede abbandonò l’Egitto, senza temere la collera del re, perché rimase costante, come se vedesse colui che è invisibile. Per fede celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue affinché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. Per fede attraversarono il mar Rosso su terra asciutta, mentre gli Egiziani che tentarono di fare la stessa cosa, furono inghiottiti” (Eb 11:24-29). Pur non sentendosi all’altezza del compito che Dio gli affidava, non mise mai in dubbio la capacità di Dio di liberare Israele (Es 3:11–4:17). Mosè non aveva personalmente proprio alcun potere per far avverare le piaghe decretate da Dio sull’Egitto: ebbe fede che Dio lo avrebbe fatto. Ci volle davvero una fede grande per affrontare la faraonica corte egizia, per affrontare il superbo faraone, il re di una grandissima potenza con il suo sfarzo senza pari, colui che era ritenuto un dio ed era circondato da consiglieri, comandanti militari, guardie e schiavi, sacerdoti che praticavano la magia e che erano gli uomini più potenti del reame dopo il faraone. Scacciato dal faraone stesso, Mosè fu minacciato di morte (Es 10:11,28). Ci volle fede anche per tenere la Pasqua nella convinzione che i primogeniti israeliti sarebbero stati risparmiati mentre quelli egiziani sarebbero stati sterminati. Ci volle fede anche di fronte al mare che sbarrava la strada quando gli egiziani avevano chiuso in trappola il popolo ebraico che lui guidava (Es 14:21-31). La sua fede, come quella di altri fedeli prima di lui, è ancor più significativa perché “tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso” (Eb 11:39) in quanto era futuro.

   Ubbidienza. Quando Dio comandò a Mosè di dichiarare il suo giudizio al faraone, “Mosè e Aaronne fecero così; fecero come il Signore aveva loro ordinato” (Es 7:6). Mosè non mancò mai di eseguire alla lettera quello che Dio gli comandava. Non tralasciò mai una parola di ciò che Dio lo incaricò di dire al faraone. E trasmise al popolo lo stesso senso di ubbidienza, tanto che “tutti i figli d’Israele fecero così; fecero come il Signore aveva ordinato a Mosè” (Es 12:50). Quando Dio comandò a Mosè di costruire il Santuario, Mosè seguì nei minimi particolari il piano architettonico mostratogli da Dio (Es 40:16). La Legge data da Dio è chiamata nella Bibbia “legge di Mosè” (Gs 8:31); Yeshùa stesso la chiamò così (Lc 24:44). Mosè, però, riconobbe sempre che la Legge veniva da Dio (Es 13:9). Nei casi giudiziari dubbi, quando non c’era un precedente o non riusciva a capire esattamente come applicare la Legge, presentava la cosa a Dio affinché fosse lui a emanare un giudizio (Lv 24:10-16,23; Nm 15:32-36;27:1-11). Molte volte nella Bibbia troviamo ripetuto che ogni cosa veniva fatta esattamente “come il Signore aveva ordinato a Mosè”. – Es 39:1,5,21,29,31,42;40:19,21,23,25,27,29.

   Umiltà. Quando suo suocero gli diede un consiglio su come sbrigare l’enorme lavoro che aveva, Mosè ascoltò il consiglio e lo applicò (Es 18:13-24). Era umile, pur avendo una grande autorità. “Mosè era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra” (Nm 12:3). Queste parole sono prese di mira da certi critici, perché – essi sostengono – se Mosè ha scritto Numeri, sono parole sue su se stesso. Può anche darsi però che siano state aggiunte da altri, comunque è interessante ciò che F. C. Cook scrive al riguardo: “Se le consideriamo pronunciate da Mosè non ‘motu proprio [di propria iniziativa]’, ma sotto la guida dello Spirito Santo che era su di lui (cfr. xi. 17), manifestano una certa ‘oggettività’, che ne attesta immediatamente l’autenticità e anche l’ispirazione. In queste parole, e anche nel passo in cui Mosè non meno inequivocabilmente riporta le proprie mancanze (cfr. xx. 12 ss; Eso. iv. 24 ss; Deut. i. 37), c’è la semplicità di chi rende testimonianza su di sé, ma non per sé (cfr. S. Matt. xi. 28, 29). Le parole sono inserite per spiegare come mai Mosè non fece nulla a propria rivendicazione, e quindi perché il Signore intervenne così prontamente” (Commentary). Mosè era il condottiero di Israele, ma egli stesso indicò sempre Dio quale vero Condottiero (Es 16:3,6-8). Quando sua sorella Miryàm e suo fratello Aaronne iniziarono a essere gelosi di Mosè e gli mancarono di rispetto parlando contro di lui,  Mosè non si impose e sopportò le offese. Fu Dio a indignarsi: in realtà questo era un affronto fatto a Lui. Così punì con severità Miryàm. E Mosè si mostrò ancora una volta umile, intervenendo presso Dio per amore della sorella: “Ti prego, Dio: guariscila!” (Nm 12:13, PdS). Quando, dopo aver ricevuto la Legge sul Sinày, Mosè ridiscese, gli israeliti non potevano fissarlo, tanto grande era la gloria che emanava il suo volto (2Cor 3:7), ma lui non si montò mai la testa. Prima di entrare nella Terra promessa, Mosè – sapendo che non vi sarebbe entrato – pregò Dio per avere un successore (Nm 27:15-17). Mosè era ancora forte (Dt 34:7), eppure Dio diede l’incarico a Giosuè davanti a tutto il popolo (Dt 3:28). Mosè ubbidì e impose “le mani sul suo capo” (Dt 34:9). Davvero era umile quest’uomo con cui Dio parlava “a tu per tu, con chiarezza” e che vedeva “la sembianza del Signore”. – Nm 12:8.

   Altruismo. Quando Mosè intervenne a favore dei suoi fratelli ebrei, uccidendo un egiziano che aveva colpito un israelita, questi non lo apprezzarono (Es 2:11-13) – e neppure era il tempo stabilito da Dio per la loro liberazione (At 7:23-29) – ma l’episodio mostra l’indole altruistica di Mosè. In due occasioni – altro esempio di altruismo – Mosè implorò Dio per indurlo a mostrare misericordia al popolo (Es 32:11-14; Nm 14:13-19). Mosè aveva a cuore gli interessi di Dio e gli interessi del popolo più dei propri (Es 32:30-33; Nm 11:26-29;12:9-13). Quando lo spirito di Dio scese su certi uomini nell’accampamento israelita e questi iniziarono a comportarsi da profeti, Giosuè – preoccupato che sminuissero Mosè – voleva fermarli (Nm 11:24-29). Stupenda l’altruistica risposta di Mosè: “Sei geloso per me? Oh, fossero pure tutti profeti nel popolo del Signore, e volesse il Signore mettere su di loro il suo Spirito!” (v. 29). Questo episodio mostra anche la sua mancanza di gelosia.

   Coraggio. Il fatto stesso che Mosè si schierò con lo schiavizzato e oppresso popolo ebraico, denota il suo coraggio. Egli, “istruito in tutta la sapienza degli Egiziani” e “potente in parole e opere” (At 7:22), e che era “chiamato figlio della figlia del faraone” (Eb 11:24), ebbe il coraggio di lasciare tutto e passare dalla parte degli schiavi. Lo fece “senza temere la collera del re” (Eb 11:27): con coraggio, appunto. Eppure il re egizio gli aveva detto: “Guàrdati bene dal comparire ancora alla mia presenza, perché il giorno che comparirai alla mia presenza morirai!” (Es 20:28). Il suo schierarsi con il popolo oppresso denota anche il suo senso di giustizia.