Storia della salvezza: Dio ci conduce a Yeshùa

 

   La teologia biblica s’identifica con la storia della salvezza. La Scrittura intende narrarci la storia delle azioni di Dio per condurre le persone a Yeshùa e salvarle: “Tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza” (Rm 15:4), “La legge è stata come un precettore per condurci a Cristo”. – Gal 3:24.

   Questa dottrina, purtroppo, non è accolta da molti. Il motivo addotto è che, secondo il metodo storico-critico, “lo storico non può accogliere un intervento soprannaturale di Dio nel nesso causale come base” (R. W. Funk, The Hermeneutical Problem and Historical Criticism). Secondo questo pensiero ogni evento storico dovrebbe necessariamente spiegarsi con cause storiche, per cui non ci sarebbe posto per l’azione divina. Così, quando si parla di azione divina non si farebbe della storia. Con questo presupposto filosofico si suppone che la Bibbia non possa fare della storia quando parla di interventi divini.

   Chissà, se una piccolissima pulce potesse pensare, forse negherebbe l’esistenza dell’elefante: non lo può vedere. Ma intanto ci sta aggrappata sopra. Probabilmente, però, questa non è una considerazione filosofica. Per cui, a tanta seriosità che chiama in causa un presupposto filosofico occorre contrapporre una seria considerazione filosofica. Formuliamola.

   La nascita della fede in Yeshùa, la fede dei suoi discepoli e la fede della prima congregazione (fede che cambiò radicalmente la loro vita) esige una figura di riferimento atta a spiegare gli effetti stravolgenti nella vita dei credenti. Il “Gesù”, riscoperto con il metodo storico-critico, di cui ormai non si mette più in dubbio l’esistenza storica, non basta a spiegare quei cambiamenti radicali nelle persone. Per fortuna abbiamo dei testimoni: i Vangeli e le lettere apostoliche che ci spiegano chi era Yeshùa. Solo lo Yeshùa presentato da questi scritti (le Scritture Greche) è atto a spiegare quanto da lui è stato causato. Occorre quindi accostarsi a Yeshùa con un metodo non puramente storico, ma storico-teologico.

   L’esperienza di fede conferma quest’accostamento: la Bibbia non si può esaurire dal punto di vista della neutralità più completa e dell’oggettività. La Bibbiapretende dal suo lettore molto di più. Qualcosa che un semplice storico non può dare. Si tratta di un giudizio che per ogni singola persona è la più importante decisione da prendere. I biblisti, gli studiosi, gli esegeti, i lettori, gli studenti, i simpatizzanti, tutti coloro che si interessano di Sacra Scrittura, hanno dimenticato del tutto la loro personale responsabilità se pensano di poter chiudere gli occhi di fronte a questa enorme pretesa che la Bibbia ha su ciascuno di noi: Crediamo?

   Nello Yeshùa della storia, che si può capire solo nel Cristo della fede, noi incontriamo Dio. Non perché egli sia Dio, ma perché Dio si è rivelato in lui.

   È ora di capire, se lo si vuole capire, che si deve smettere di parlare di “conoscenza” in senso occidentale. La Scrittura non va studiata in modo concettuale. Non servono a nulla gli studi biblici che portano “conoscenza” affinché la persona accetti mentalmente un corpo dottrinale. Quello è credo religioso, non fede.

   La conoscenza in senso biblico non riguarda l’intelligenza. La conoscenza biblica è conoscenza esperienziale. Si tratta della fede in Dio che svela se stesso negli eventi storici di Yeshùa, nelle sue parole e nei suoi miracoli che continuano a interpellarci tramite la Bibbia. È un’esperienza che si vive interiormente e che cambia la vita.

   Il presupposto che tutto sia concatenato tra causa ed effetto in modo da escludere qualsiasi intervento divino è solo un dogma. Opposto ad un altro dogma: Dio può operare. Ancora una volta è richiesta la fede.

   Se la Bibbia è opera di testimoni, noi avremmo la prova dell’esperienza vissuta da altri che vi è un Dio capace di intervenire nella storia. Tuttavia, questo ragionamento afferma solo qualcosa, ma non può provare che noi crediamo. Certo, abbiamo tutte le ragioni per credere che quei testimoni siano degni di fiducia. Tuttavia, i loro scritti non sono documenti che riferiscono con la massima precisione i fatti (vi sono troppe differenze tra loro). Non sono neppure biografie complete (tralasciano troppe cose). Ciononostante, si tratta di testimonianze degne di fede e capaci di alimentare la nostra fede. Va poi notata la brevità del tempo trascorso tra gli episodi riferiti e la stesura dei Vangeli: passò troppo poco tempo per poter sostenere che quegli scritti siano stati una creazione della comunità posteriore riunita nel culto.

   La fede rimane pur sempre fede. La storia non prova Dio e neppure riduce la fede ad un ragionamento. Anche se crediamo alla tomba vuota e ammettiamo che la fede degli evangelisti è un fatto storico, dobbiamo pur sempre riconoscere che la resurrezione come atto divino (che fa passare Yeshùa da questo mondo empirico alla dimensione spirituale) sfugge al nostro controllo. Ma, ancora una volta, è l’unica possibilità che spiega tutto il resto. Ritorna la fede, quindi. Lo storico dovrebbe trovare un’ipotesi diversa, migliore della resurrezione, per spiegare il nascere della prima congregazione e della fede dei discepoli. Ma non la trova. Il fatto è che la fede è una via per capire meglio la storia.

   Questa teologia della salvezza non rimanda tutto al passato né riduce la salvezza di Dio ad eventi ormai trascorsi da secoli e millenni. La rivelazione del piano divino si è conclusa con Yeshùa, ma la storia della salvezza continua. “Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. Il giorno del Signore verrà come un ladro” (2Pt 3:9,10). La storia della salvezza continua.

Dio non ha rigettato il suo popolo [gli ebrei], vi pare? Non sia mai! Poiché anch’io sono israelita, del seme d’Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha rigettato il suo popolo, che prima riconobbe […]. Hanno inciampato in modo da cadere completamente? Non sia mai! Ma dal loro passo falso viene la salvezza per persone delle nazioni, per incitarli a gelosia. Ora se il loro passo falso significa ricchezza per il mondo, e la loro diminuzione significa ricchezza per persone delle nazioni, quanto più lo significherà il loro numero completo! […] Se tu [i pagani] fosti tagliato dall’olivo che per natura è selvatico e fosti innestato contro natura nell’olivo coltivato [gli ebrei], tanto più questi che sono naturali saranno innestati nel loro proprio olivo! […] Non voglio, fratelli, che ignoriate questo sacro segreto, affinché non siate discreti ai vostri occhi: che un intorpidimento della sensibilità è avvenuto in parte a Israele finché non sia entrato il numero completo delle persone delle nazioni, e in questa maniera tutto Israele sarà salvato. […] In riferimento all’elezione [di Dio] sono diletti a causa dei loro antenati. Poiché i doni e la chiamata di Dio non sono cose di cui egli si rammarichi. – Rm 11:1,11,12,24,25,26,28,29, TNM.

   Ne devono accadere di cose. E accadranno. La storia della salvezza continua. Dio sta radunando il suo popolo.

   Crediamo? È richiesta la fede, ma questa non la si ottiene con una decisione mentale. “Il frutto dello spirito è […] fede” (Gal 5:22). È Dio che dona la fede, non noi che decidiamo di averla.

   “Senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano”. – Eb 11:6.

   La fede è dono di Dio. Non ci resta che pregarlo di concedercela.