Prima moltiplicazione (Gv 6:1-15; Mr 6:30-44; Lc 9:10-17; Mt 14:13-21).
Il popolo ebraico può essere definito il popolo della parola di Dio. Rivolta inizialmente ad Abramo (poi Abraamo) con la promessa di una discendenza numerosa, riconfermata da Mosè sul Sinày, questa parola fu ripetuta varie volte dai profeti. Per indicare un periodo triste della storia di Israele si dice: “La parola del Signore era rara a quei tempi” (1Sam 3:1) oppure che “non c’è più profeta” (Sl 74:9). È per questo che Yeshùa annuncia la parola di Dio ad una folla numerosa che si dimentica perfino del cibo. La folla, infatti, riconosciuto Yeshùa con gli apostoli, indovina la sua destinazione e addirittura li precedono: “Da tutte le città accorsero a piedi e giunsero là prima di loro” (6:33). Quando Yeshùa “fu sbarcato” li trova numerosi ad attenderlo: “Vide una gran folla” (6:34). In un luogo adatto (che Gv chiama “il monte”, 6:3,15) si diede a predicare “molte cose” (Mr 6:34) ossia a lungo. Trascinato dalla compassione verso quelle persone che “erano come pecore che non hanno pastore” (Mr 6:34), parla con così tanto calore che riesce a far dimenticare loro la nozione del tempo. La folla, convinta che “l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore” (Dt 8:3) e certa che ogni benedizione proviene dall’osservanza della parola di Dio (Dt 8:1-20), dimentica perfino il cibo. Matteo riferisce che nell’occasione Yeshùa operò anche delle guarigioni e “guarì gli ammalati”. – Mt 14:14.
Sul tardo pomeriggio gli apostoli fanno presente a Yeshùa che è ora di congedare la folla perché possa andare a comprarsi da mangiare. Filippo fa anche una stima, per difetto, dei costi: “Duecento denari di pani non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto” (Gv 6:7). Il “denaro” – che era una moneta d’argento romana del peso di 3,85 g – era l’equivalente di una giornata di lavoro (quindi, 200 denari = 200 giornate di lavoro). Andrea nota che un ragazzino ha con sé solo “cinque pani d’orzo e due pesci” (Gv 6:9). I sinottici non parlano di Filippo e di Andrea, ma hanno il plurale di categoria: “Risposero: ‘Cinque [pani], e due pesci’” (Mr 6:38); “Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci” (Lc 9:13); ciò che dice uno è attribuito a tutto il gruppo. Così anche altrove: secondo Gv (12:4,5) nella cena a Betania Giuda mormorò per lo sperpero di un profumo costoso, mentre Mr parla di “alcuni” (14:4) e Mt dei “discepoli” (26:8). Sui pali, durante l’esecuzione capitale, secondo Lc solo un ladrone bestemmia, mentre l’altro si converte: “Uno dei malfattori appesi lo insultava […]. Ma l’altro lo rimproverava [rivolto a quello che bestemmiava]” (23:39,40); Mt ha: “Nello stesso modo lo insultavano anche i ladroni crocifissi con lui” (27:44). In Mt 9:8, dopo che i presenti hanno visto che Yeshùa ha guarito un paralitico, si ha: “La folla fu presa da timore e glorificò Dio, che aveva dato tale autorità agli uomini”; intendendo che tutti sono benedetti per il potere che uno in modo particolare possiede. Si tratta, appunto, di un plurale di categoria.
Yeshùa fa accomodare tutti “sull’erba verde” (Mr 6:39). Siamo quindi in primavera, vicino alla Pasqua: “La Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina” (Gv 6:4). Secondo Mr si dispongono a gruppi di 50 e 100 persone: “Allora egli [Yeshùa] comandò loro di farli accomodare a gruppi sull’erba verde; e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta” (6:39,40); e sembra di vederli come tante aiuole in fiore, con i loro abiti variopinti. Nella traduzione italiana si perde tutta la bellezza della vivida descrizione che ne fa Marco. Cerchiamo di recuperarla, riferendoci alle parole greche. TNM ha: “Ordinò a tutti di giacere per compagnie sull’erba verde. E si misero a giacere in gruppi di cento e di cinquanta”. Inseriamo prima le parole giuste (quelle del testo originale greco) e poi ritraduciamo:
“Ordinò a tutti di giacere συμπόσια συμπόσια [sümpòsia sümpòsia] sull’erba verde. E si misero a giacere πρασιαὶ πρασιαὶ [prasiài prasiài] di cento e di cinquanta”. – Mr 6:39,40.
“Ordinò a tutti di giacere come gruppi di convitati sull’erba verde. E si misero a giacere come aiuole e aiuole di cento e di cinquanta”.
Questo racconto è un puro tratto storico, corrispondente al periodo pasquale. Non si tratta di un racconto con simboli apocalittici in cui il deserto si trasforma in terra fertile. È pura storia avvenuta.
Yeshùa ringraziò Dio per il pane: “Gesù, quindi, prese i pani e, dopo aver reso grazie [greco εὐχαριστήσας (eucharistèsas)], li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, quanti ne vollero” (Gv 6:11). Lc 9:16 ha: “Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò lo sguardo al cielo e li benedisse [εὐλόγησεν (eulòghesen)]” e Mr 6:41 ha: “Gesù prese i cinque pani e i due pesci, e, alzati gli occhi verso il cielo, benedisse [εὐλόγησεν (eulòghesen)]”. Non si tratta affatto di benedire il pane, ma di benedire Dio per esso. Si tratta della forma usuale, di antichissima memoria, presso gli ebrei prima di mangiare, che si usa ancora oggi: “Benedetto sii tu, Signore, nostro Dio, re dell’universo, che fai crescere il pane dalla terra” (Siddùr, libro di preghiere ebraiche). Si tratta qui di un verbo usuale (εὐλόγησεν, eulòghesen, “benedisse”) e che ricorre anche durante l’ultima cena di Yeshùa, che era appunto un pasto.
Yeshùa “spezzò i pani” (Mr 6:41): il verbo greco è all’aoristo, ovvero indica una azione passata e compiuta una volta sola (azione puntualizzata); “e li dava” (ibidem): qui il verbo greco è all’imperfetto (azione lineare e continuata), li “dava” nel senso di continuare a darli finché furono serviti tutti.
Il significato di questa moltiplicazione dei pani è dato da Yeshùa stesso durante il suo discorso a Cafarnao, che avvenne subito dopo.
Si noti come Yeshùa non vuole che si sciupi nulla, per cui vengono raccolte 12 sporte di frammenti che potevano essere portate a mano. I convitati furono 5000, “oltre alle donne e ai bambini” (Mt 14:21). Questo computo è conforme all’uso ebraico che troviamo nella Bibbia, per la quale si conta solo il capofamiglia: “I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli”. – Dn 14:9; parte apocrifa che non rientra nel canone della Scrittura, ma che documenta gli usi ebraici.
Con questo racconto gli evangelisti non intendono certo esaltare il banchetto messianico: si tratta, infatti, di un pasto da poveri, senza il vino, adatto per una giornata non festiva. Cosa diversa è l’ultima cena (Mr 14:22,23). È proprio la mancanza del vino che non rende possibile l’accostamento di questo miracolo alla Cena del Signore, anche se poi i cattolici vollero trovarvi a forza dei legami.
Seconda moltiplicazione dei pani (Mr 8:1-9; Mt 15:32-39).
Se l’avvicendarsi degli avvenimenti narrati da Mr è cronologico, questo miracolo dovette attuarsi nella Decapoli, dove Yeshùa aveva da poco guarito un sordomuto (7:31-37), avvenimento che fece crescere la fama di Yeshùa come personaggio potente (7:36b). Da questo fatto ne conseguì l’accorrere della folla (giunta anche da lontano) per vedere Yeshùa di persona e ascoltarlo (“essendoci di nuovo molta folla”, “alcuni di loro vengono di lontano”, 8:1,3).
In questo miracolo – a differenza della prima moltiplicazione – l’iniziativa è presa da Yeshùa che si commuove perché la gente ha fame: “Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare” (Mr 8:2). Brutto quel “provo pietà per la folla” di TNM. Il greco ha σπλαγχνίζομαι (splanchnìzomai), letteralmente: “Sono smosso nelle viscere”, perché si pensava che l’amore e la commozione venissero dall’intestino. Yeshùa fa la sua considerazione ad alta voce, e aggiunge: “Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano” (8:3). Gli apostoli non chiedono, come nella prima moltiplicazione, di congedare la folla. Il loro commento ha del sarcastico: “E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un deserto?” (v. 4). Forse il motivo è dovuto al fatto che la maggioranza di quella gente era pagana e gli apostoli (dalla mente gretta, come molti altri giudei del tempo) non li ritenevano degni di aiuto. Del resto, non aveva forse Yeshùa stesso impedito loro di andare dai non giudei? “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani” (Mt 10:5). Forse era stato proprio per prevenire il loro suggerimento di mandarli a casa loro perché si arrangiassero che Yeshùa aveva detto: “Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via” (8:3). Matteo attutisce l’espressione: “Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada” (15:32). Anche TNM nota la differenza: “Se li mandassi alle loro case digiuni, verrebbero meno per la strada“, “Non voglio mandarli via digiuni. Potrebbero venir meno per la strada” (Mt). In Mr c’è la certezza: “Verrebbero meno per la strada“, in Mt la possibilità: “Potrebbero venir meno per la strada”. I discepoli, nel loro commento, mostrano l’ordine di grandezza della difficoltà: “Da dove si potrà saziarli”? (Mr 8:4, TNM). Mt 15:33 suona tra l’ironico e il sarcastico: “Dove andiamo in questo luogo solitario”? (TNM). Sia in Mr 8:4 che in Mt 15:33 il commento dei discepoli inizia con πόθεν (pòthen). L’avverbio pòthen, numero Strong 4159, ha il significato di: 1) di luogo: da dove, da quale condizione; 2) di origine o fonte: da quale autore o datore; 3) di causa: come è possibile?, come può essere? Qui è evidente il significato n. 2, dato che è posto all’inizio della frase. S’intende sottolineare che solo dal cielo potrebbe venire un aiuto simile.
Comunque sia, Yeshùa taglia corto: “Quanti pani avete?” (Mr 8:5). Al sentire che hanno sette pani, fa sedere tutti per terra. Anche qui si ha lo stesso uso dei verbi: “Rese grazie, li spezzò [i pani], e li dava ai suoi discepoli perché li servissero” (Mr 8:6, TNM); “rese grazie” e “spezzò”: aoristo, atto compiuto una sola volta; “li dava”: imperfetto, azione continuata. I pesciolini sono aggiunti da Mr come un’appendice: “Avevano anche alcuni pesciolini” (v. 7, TNM), mentre Mt li presenta subito all’inizio insieme ai pani: “’Quanti pani avete?’ Dissero: ‘Sette, e alcuni pesciolini’” (15:34, TNM). Gli avanzi furono raccolti in “ceste” (σφυρίδας, sfürìdas, Mr 8:8), non “sporte” (κοφίνων, kofìnon, Mr 6:43). Queste “ceste” erano canestri che servivano per i lunghi viaggi e che generalmente si caricavano ai basti delle cavalcature, asini o cammelli che fossero. Potevano essere tanto grandi da occultare una persona. Infatti, Paolo venne calato dalle mura di Damasco per sfuggire alla persecuzione proprio in un “cesto”; lui stesso narra: “Da una finestra fui calato lungo il muro in un cesto di vimini e sfuggii”. – 2Cor 11:33, TNM.
Il fatto che il miracolo fu compiuto tra i pagani mostra che Dio considera suoi figli tutti gli uomini, contro la gretta mentalità dei giudei del tempo.