Si è visto negli studi precedenti che Yeshùa è morto senza dubbio il 14 di nissàn. E si è visto anche che la sua ultima cena avvenne all’inizio del 14, dopo il tramonto del tredici. Si è visto anche che quell’ultima cena non fu la celebrazione della Pasqua ebraica. La Pasqua ebraica cadeva il 14 di nissàn nel senso che il 14 veniva sacrificato l’agnello pasquale. Il 14 era il giorno della preparazione in cui l’agnello pasquale veniva sacrificato e che sarebbe stato mangiato dalle famiglie ebree nella notte che segnava l’inizio del giorno 15. In quel giorno 14, detto anche “giorno della preparazione”, veniva pure tolto il lievito dalle case. In quello stesso giorno 14 i giudei poterono dire che non avevano ancora mangiato la Pasqua (Gv 18:28). E gli apostoli di Yeshùa, all’inizio di quel giorno 14, credevano che Yeshùa intendesse acquistare qualcosa per la festa, ovvero per la Pasqua, l’unica festa che seguiva (Gv 13:29). Tutto ciò – ovvero quella cena – avveniva prima della Pasqua: “Prima della festa di Pasqua […] durante la cena”. – Gv 13:1,2.
Cosa fu, allora, quella ultima cena? Fu una cena. L’ultima. I particolari di quella cena indicano chiaramente che fu proprio una cena e non la cena pasquale.
Eppure non fu semplicemente una qualsiasi cena, seppure l’ultima. Quella sera accadde qualcosa di memorabile, di indimenticabile. Qualcosa di nuovo.
Data l’importanza che quella cena assunse per tutti i credenti di tutti i tempi, occorre capire prima in cosa essa consistette.
Prima di esaminarne singolarmente i dettagli, vediamoli in una panoramica:
- Yeshùa e gli apostoli si mettono a tavola
“Egli giaceva a tavola con i dodici discepoli. Mentre mangiavano . . .”. – Mt 26:20,21, TNM.
“Mentre giacevano a tavola e mangiavano”. – Mr 14:18, TNM.
“Egli giacque a tavola, e gli apostoli con lui”. – Lc 22:14, TNM.
“Giacendo di nuovo a tavola”. – Gv 13:12, TNM.
- Yeshùa e gli apostoli intingono in una scodella
“Chi mette la mano con me nella scodella è colui che mi tradirà”. – Mt 26:23, TNM.
“È uno dei dodici, che sta intingendo con me nella scodella comune”. – Mr 14:20, TNM.
“È quello al quale darò il boccone che intingo”. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda”. – Gv 13:26, TNM.
- Yeshùa usa il pane della cena
“Mentre continuavano a mangiare, Gesù prese un pane”. – Mt 26:26, TNM.
“Mentre continuavano a mangiare, egli prese un pane”. – Mr 14:22, TNM.
“Preso un pane”. – Lc 22:19, TNM.
- Yeshùa e gli apostoli escono di notte dopo cena
“Uscirono verso il monte degli Ulivi”. – Mt 26:30, TNM.
“E vennero a un luogo il cui nome era Getsemani”. – Mr 14:32, TNM.
“Uscito”. – Lc 22:39, TNM.
“Gesù uscì con i suoi discepoli”. – Gv 18:1, TNM.
“Mentre veniva preparato il pasto serale” (Gv 13:2, TNM): è questo il primo particolare che attira la nostra attenzione in questa disamina di quell’ultima cena. Intanto, è definito un pasto serale. Si noti che in precedenza i discepoli avevano domandato a Yeshùa: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?” (Mt 26:17). Ora però non si dice che stessero preparando la Pasqua, ma il pasto serale. In più – a parte il giorno sbagliato (era infatti l’inizio del 14 di nissàn) – non si sarebbe potuto preparare la Pasqua in quel momento: essa avrebbe dovuto essere preparata ben prima (scannare l’agnello, scuoiarlo, pulirlo, arrostirlo). Ciò doveva essere fatto nel pomeriggio del 14, il giorno della preparazione; per loro, il pomeriggio seguente. Quella sera l’agnello non c’era, non poteva esserci; infatti, non è neppure nominato.
Impariamo dalla Bibbia non solo da quanto dice, ma anche da quanto non dice. E circa quella sera del 14 nissàn essa non dice nulla dei classici preparativi che gli ebrei facevano per la Pasqua: semplicemente non li fecero. Tutto questo accadeva infatti “prima della festa della Pasqua”. – Gv 13:1.
“Mangiavano” (Mt 26:21): il linguaggio è quello quotidiano. Un gruppo di amici si riunisce e prepara la propria cena. Si mettono a tavola. E cenano: semplicemente “mangiavano”.
Le donne sono assenti. Se si pensa a quello che è – “un pasto serale” tra il maestro e i suoi discepoli – non colpisce l’assenza di donne. Ma se si vuol far passare questa cena per una cena pasquale, stride allora l’assenza di donne. Nella tradizione ebraica, la Pasqua era una festa da celebrare in famiglia: “Ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa”; “Se la casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune con il vicino di casa” (Es 12:3,4). In quell’occasione gli ebrei erano festosi. Partecipavano alla cena pasquale le famiglie intere. Anche i bambini erano protagonisti (Es 12:26,27). E dove erano Maria di Magdala, la suocera di Pietro, Marta, Miryàm, e tutte le altre che seguivano solitamente Yeshùa?
‘Il boccone intinto nella scodella’ (Mr 14:20). Questo elemento stupisce grandemente se si vuol pensare ad una cena pasquale. Il termine boccone è nel greco del testo ψωμίον (psomìon); si tratta di un diminutivo che indica un pezzetto di pane. Si tratta di pane comune, non di pane azzimo (in greco c’è un vocabolo specifico per azzimo: ἄζυμος, àzümos). Ora, se si trattasse della Pasqua, questo pezzetto di pane non poteva essere presente: a Pasqua si potevano mangiare solo pani azzimi. Questo pezzetto di pane viene poi intinto in una scodella. Questo particolare imbarazza gli esegeti che sostengono che si trattasse di una cena pasquale. Perché? Perché il pane azzimo non si presta a essere intinto: è molto secco e si sbriciolerebbe la le dita. Per di più che ci faceva lì una scodella con dell’intingolo in cui inzuppare del pane? Alcuni commentatori cercano di superare il problema facendo notare che Dt 16:7 dice: “Farai cuocere la vittima”; essi fanno anche notare che il verbo ebraico qui impiegato per “cuocere” (בשל [bashàl]) significa sia cuocere che bollire; per cui, secondo loro, l’agnello poteva essere lessato e mangiato poi con degli intingoli. Il verbo ebraico – è vero – può significare sia cuocere che bollire, ma il fatto è che può significare sia l’uno che l’altro. Che qui si possa, anzi si debba escludere il significato di bollire (l’agnello pasquale) è provato da Es 12:9: “Non mangiatelo poco cotto o lessato nell’acqua, ma sia arrostito al fuoco”. Sostenere quindi che Yeshùa abbia consumato un agnello lessato o in umido con un intingolo in cui inzuppare un pezzetto di pane, è antiscritturale. La presenza di un intingolo, di una scodella in cui inzuppare del pane e del pane adatto a esservi inzuppato sono del tutto estranei ad una cena pasquale.
“Prese un pane” (Mt 26:26). Il vocabolo greco tradotto pane è qui ἄρτος (àrtos): è la stessa identica parola impiegata nella preghiera modello che Yeshùa insegnò: “Dacci oggi il nostro pane [greco ἄρτον (àrton)] quotidiano” (Mt 6:11). Per il pane azzimo di Pasqua la Bibbia usa il termine greco ἄζυμος (àzümos): “Celebriamo dunque la festa [qui Paolo parla della Pasqua che i discepoli devono osservare], non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi [greco ἀζύμοις (azΰmois)]”. – 1Cor 5:8.
“Uscirono” (Mt 26:30): se fosse stata davvero la Pasqua, Yeshùa – giudeo osservante – avrebbe commesso una violazione della Legge. Infatti, era notte (Mt 26:31,34). Dt 16:7 prescriveva: “La mattina te ne potrai tornare”. La notte di Pasqua doveva essere trascorsa all’interno della casa. Il fatto che uscirono di notte indica che quella non era la notte di Pasqua.
“Li trovò addormentati” (Mt 26:43). La notte di Pasqua doveva essere una notte di veglia: “Questa è la notte di veglia in onore del Signore per tutti i figli d’Israele, di generazione in generazione” (Es 12:42). Il fatto che i discepoli dormissero indica che per loro era una notte come le altre, se pur così particolare. Yeshùa era perfettamente consapevole del suo prossimo sacrifico e passò quella notte in preghiera. I discepoli, confusi, semplicemente dormivano vinti dalla stanchezza.
Possibilità di fare acquisti. “Gesù gli disse: ‘Quel che fai, fallo presto’. Ma nessuno dei commensali comprese perché gli avesse detto così. Difatti alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli avesse detto: ‘Compra quel che ci occorre per la festa’” (Gv 13:27-29). I discepoli fraintendono l’allusione di Yeshùa. E ne emerge un dato importante per noi: fare acquisti, in quel 14 di nissàn, era possibile. Era un giorno feriale. Se fosse stato il giorno festivo della cena pasquale, sarebbe stato vietato fare acquisti.
Quel giorno era lavorativo. “Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù” (Mt 27:32). Ciò accade durante quel 14 di nissàn. Se il giorno fosse stato festivo, Simone non avrebbe potuto portare quel peso (Es 20:8-11; Lv 23:1-3). Mr 15:21 specifica che questo Simone “passava di là, tornando dai campi”. Aveva terminato il suo lavoro: altro indizio che non si era in giorno festivo (in cui era vietato lavorare).
Non era un giorno festivo. “I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono . . . e deliberarono di prendere Gesù con inganno e di farlo morire. Ma dicevano: ‘Non durante la festa, perché non accada qualche tumulto nel popolo’”. – Mt 26:3-5.
Non era il giorno di Pasqua. “Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua” (Gv 18:28). Quella mattina del 14 di nissàn gli ebrei non avevano ancora mangiato la Pasqua. L’agnello sarebbe stato scannato e preparato nel pomeriggio per essere consumato dopo il tramonto.
Era in giorno della preparazione della Pasqua. “Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato” (Lc 23:54). “I Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la Preparazione e quel sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe, e fossero portati via” (Gv 19:31). I giudei si preoccupano di non lasciare i cadaveri esposti sui pali prima che inizi (dopo il tramonto) il giorno festivo, il 15 di nissàn, la Pasqua, detta anche “grande sabato” (come tutti i giorni delle sante Festività di Dio). Lo spezzamento delle gambe avrebbe affrettato la morte perché i condannati non avrebbero più potuto far leva sulle gambe per respirare. La Legge vietava di lasciare un cadavere sul palo durante la notte. – Lv 21:23.
In conclusione, quella non fu davvero la notte di Pasqua. È indubbio che il giorno prima, il 13 nissàn, i discepoli intendessero preparare tutto per la Pasqua: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?” (Mt 26:17). Seguendo le stesse istruzioni di Yeshùa, trovarono una casa temporanea – come prevedeva la Legge – in cui avrebbero celebrato la Pasqua. Il giorno dopo, il 14, durante il giorno di preparazione, avrebbero provveduto a sacrificare un agnello e a cuocerlo, per poi consumarlo sopraggiunto con la notte il giorno festivo del 15. Avrebbero poi trascorso quella notte pasquale del 15 all’interno di quella abitazione temporanea, vegliando. Questo intendevano fare. Sopraggiunta la sera, alla fine del 13 e all’inizio del 14, semplicemente prepararono una cena e la consumarono insieme. Il giorno seguente avrebbero avuto molto da fare per preparare la Pasqua. Questi preparativi, secondo un loro fraintendimento, avrebbero incluso forse anche degli acquisti che Yeshùa intendeva fare per la festa. Le cose però non andarono così. Yeshùa lo aveva tanto desiderato, ma quello rimase solo un desiderio. “Egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui. Egli disse loro: ‘Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire’” (Lc 22:14,15). Il testo greco dice: Ἐπιθυμίᾳ ἐπεθύμησα τοῦτο τὸ πάσχα φαγεῖν μετ’ ὑμῶν (epithümìa epethǜmesa tùto to pàscha faghèin met’ümòn), “con brama ho bramato questa Pasqua di mangiare con voi”. La poca comprensione che quella Pasqua lui non la mangiò fa perfino aggiustare le traduzioni: “Vi dico: Non la mangerò di nuovo finché non sia adempiuta nel regno di Dio” (v. 16, TNM). Quel “di nuovo” fa intendere che la mangiasse, ma si tratta di un’aggiunta del tutto assente nel testo biblico. La Bibbia dice:
λέγω γὰρ ὑμῖν ὅτι οὐ μὴ φάγω αυτὸ
lègo gar ümìn òti u me fàgo autò
dico infatti a voi che non affatto mangerò essa
La negazione οὐ μὴ (u me), “non affatto”, è molto forte: Yeshùa sta dicendo che non la mangerà, non la mangerà per nulla. Sebbene lo desiderasse molto, non poté: quell’anno la Pasqua era lui stesso: era lui “l’agnello di Dio” che doveva essere immolato.