Yeshùa istituì e comandò di celebrare quella che poi Paolo chiamò “cena del Signore”, all’inizio del 14 nissàn ovvero dopo il tramonto del 13 nissàn. È del tutto appropriato quindi ricordare annualmente, nello stesso giorno e alla stessa ora, quell’evento. Il mese di nissàn inizia con il novilunio: il primo spicchio di luna visibile nel cielo indica il 1° nissàn; dopo il tramonto del 13° giorno successivo, con l’oscurità inizia il 14 nissàn, a ridosso della prima luna piena di primavera.
È naturale ed appropriato celebrare questa commemorazione una volta all’anno. Tuttavia, la frequenza della commemorazione non fu indicata da Yeshùa. Egli disse solo: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22:19). Sebbene la TNM traduca: “Continuate a far questo in ricordo di me”, l’istruzione non cambia; è certo che va fatto e si deve continuare a farlo, ma nulla viene detto circa la frequenza con cui farlo. Non ci resta che comprendere, alla luce della Scrittura, quale fu l’intendimento e l’uso della primitiva comunità dei discepoli di Yeshùa.
Secondo gli Atti degli apostoli sin dai primi tempi i discepoli “erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere” (At 2:42). Questo “rompere il pane” può riferirsi alla Cena del Signore? Dato che si pala solo di pane e non di vino, diversi esegeti vi hanno visto solo un semplice pasto comunitario fraterno. Secondo l’uso giudaico il pranzo aveva inizio spezzando un po’ di pane. Nel passo citato da At, però, la frase è particolare. Nella traduzione italiana non si coglie, ma nell’originale greco c’è un particolare molto significativo:
τῇ κλάσει τοῦ ἄρτου
te klàsei tu àrton
nel rompere il pane
Il particolare sta nel fatto che viene usato l’articolo determinativo: “rompere il pane”. L’importanza di questo importante particolare è evidente se si paragona la frase con un’altra poco più avanti, al versetto 46:
κλῶντές τε κατ’ οἶκον ἄρτον
klòntès te kat’òikon àrton
rompenti e secondo casa pane
Che messo in un buon italiano suona: “Rompevano il pane nelle case”. In italiano la frase è esatta secondo il modo di parlare italiano, ma il greco (che è molto reciso) ha letteralmente: “Rompevano pane” o, se vogliamo dirlo in un italiano più leggibile ma presiso: “Rompevano del pane”. Insomma, in questa ultima frase, in greco manca l’articolo determinativo. Questo è conforme alla precisione della lingua greca. Assodato che l’espressione “rompere del pane” è un’espressione ebraica per dire “si pranza”, scrivendo in greco si dice “rompere del pane”, senza articolo. Non ha importanza quale pane: si tratta di pane comune, quello del pranzo. Ma se in greco si dice “rompere il pane”, allora s’intende che non si tratta più di un qualsiasi pane ma di un pane particolare noto a chi scrive e a chi legge.
Inoltre, il contesto conferma questa particolarità. Meglio vedere l’intero brano:
“Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone. Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. Ognuno era preso da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli. Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano [il] pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati”. – At 2:41-47.
C’è un primo contesto in cui i nuovi discepoli perseverano nell’ascoltare l’insegnamento, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane, nelle preghiere. In questo contesto viene descritta la loro spiritualità: insegnamento, comunione, culto e preghiera. Inserire qui semplicemente il pranzare comunitario sarebbe una stonatura. E poi c’è quell’articolo: spezzare il pane. Mantenendo tutto il contesto nella spiritualità c’è armonia: insegnamento, comunione fraterna, Cena del Signore (lo “spezzare il pane”), preghiera.
Nel secondo contesto, invece, si parla di aspetti di vita pratica (ma sempre vissuti con spiritualità): stare insieme, liberarsi delle proprietà private, andare al Tempio, pranzare assieme (“rompere del pane”). Che qui si tratti proprio di pranzi comunitari è evidente non solo dalla mancanza dell’articolo determinativo (“rompere del pane”), ma anche dalla specificazione: “e prendevano il loro cibo insieme”. In più, il testo dice “ogni giorno”: si trattava quindi di normali attività quotidiane.
Quel “rompere il pane” in cui i discepoli erano assidui indica quindi proprio la Cena del Signore.
Ma che dire della non menzione del vino? In fatto che il vino non sia menzionato, non solo è spiegabile, ma fa luce su come veniva fatta la cena del Signore. Non va dimenticato che “spezzare del pane” è un modo ebraico di dire “pranzare”. Nel nostro modo di parlare occidentale quando si dice “pranzare” o “mangiare” è sottinteso che non si vuol significare solo “mangiare”: il bere è dato per scontato. Così, quando si annuncia: “Si mangia!”, non si vuole ovviamente intendere un pranzo senza bevande. Gli ebrei dicevano “spezzare del pane” per dire che si pranzava: era ovviamente inteso un pranzo completo; non si sarebbe mangiato solo pane, ma ci sarebbero state pietanze e bevande. Ecco perché non è menzionato il vino. Ma il punto interessante è un altro: la Cena del Signore era un normale pranzo in cui il pane e il vino assumevano i forti significati del sacrificio redentore di Yeshùa. D’altra parte, Yeshùa stesso non lo aveva forse istituito durante una normale cena?
Paolo dice: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore” (1Cor 11:26). Sostenere che quell’“ogni volta” si riferisca alla celebrazione annuale è insensato. Paolo avrebbe detto ‘quando’ e non “ogni volta”. Il contesto in cui Paolo scrisse quelle parole indica che la Cena del Signore era celebrata spesso. Leggiamo:
“Quando poi vi riunite insieme, quello che fate, non è mangiare la cena del Signore; poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e umiliate quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Devo lodarvi? In questo non vi lodo. Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me’. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: ‘Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga’. Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini sé stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro sé stesso, se non discerne il corpo del Signore. […] Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio”. – 1Cor 11:20-34.
Ci sono qui molti aspetti istruttivi da notare. Innanzitutto il problema che Paolo tratta: la Cena del Signore nella comunità di Corinto avveniva in maniera molto disordinata e indegna. Ora, se si fosse trattato di un evento annuale, quei problemi non ci sarebbero stati. Chiunque frequenti una commemorazione annuale della morte di Yeshùa in qualsiasi confessione religiosa sa che tutto avviene con ordine; il clima è quello di una cerimonia. Sarebbe impensabile pensare a una di queste cerimonie come a una occasione per gozzovigliare o ubriacarsi. Il fatto è che si tratta di eventi religiosi annuali, vere e proprie cerimonie. Nella comunità di Corinto però ogni cosa degenerava: segno che la commemorazione era così frequente che per abitudine era degenerata in consuetudine.
“Quando vi riunite”, dice Paolo, “al pasto comune, ciascuno […]”. Si trattava dunque di un pasto comune. La colpa dei corinti era quella che poi ciascuno faceva a modo suo: mangiava e beveva senza attendere gli altri. Nei suoi consigli finali Paolo dice: “Quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri”.
I corinti avevano ormai perso il senso di quel “pasto comune”: “Chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro sé stesso, se non discerne il corpo del Signore”.
Paolo attribuisce a Yeshùa le parole “ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice”. E le riporta, giustamente, nel contesto che sta trattando: nella frequente celebrazione della Cena del Signore.
Che Yeshùa intendesse una commemorazione frequente è indicato dal suo stesso esempio. Dopo essere resuscitato appare a dei discepoli e poi cena a casa loro. “Quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24:30). La cosa notevole qui è Yeshùa compì quello che nell’uso giudaico spettava al padrone di casa: rompere il pane per iniziare il pranzo. Egli attuò questo gesto nel suo proprio modo, tanto che da questo gesto “era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane”. – V. 35.
Un’altra allusione fatta dalla Scrittura a una Cena del Signore celebrata non nella ricorrenza annuale, si trova in At 20. Paolo si trova a Troade in attesa di imbarcarsi per poi recarsi a Gerusalemme. Si trova tra i discepoli locali e cena con loro. Luca narra: “Mentre eravamo riuniti per spezzare il pane [greco ἄρτον (àrton), senza articolo: quindi una comune cena], Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte” (v 7). Poi Paolo, dal terzo piano della casa in cui si trovava scende al piano terra per soccorrere un giovane. “Poi risalì, spezzò il pane [greco τὸν ἄρτον (ton àrton), con l’articolo: quindi la cena del Signore] e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all’alba, partì”. – V. 11.