“Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, giunse al luogo detto del Teschio, che in ebraico si chiama Golgota” (Gv 19:17). Questo stesso passo è così tradotto da TNM: “Egli, portando da sé il palo di tortura, uscì verso il cosiddetto Luogo del Teschio, che in ebraico si chiama Gòlgotha”.
Croce o palo? Giustificando la propria traduzione “palo di tortura”, una nota in calce di TNM spiega: “Non c’è nessuna prova che qui la parola greca stauròs significasse una croce come quella che i pagani usavano come simbolo religioso già molti secoli avanti Cristo”.
La parola in questione è dunque σταυρός (stauròs). Nel greco moderno significa “croce” e nel greco classico sia “palo” sia “croce”, ma in quello biblico? Di questa parola greca il Vocabolario del Nuovo testamento dà questa definizione: 1) una croce, uno strumento di punizione crudele ed ignominiosa ben conosciuto, importato dai greci e dai romani dalla Fenicia; fra i romani vi venivano affissi, fino al tempo di Constatino, i criminali più colpevoli, particolarmente gli schiavi più vili, i ladri, i ribelli; 2) un “palo” retto, generalmente puntuto, usato in recinti o palizzate. Il vocabolario pare non sia decisivo: contempla sia il palo sia la croce.
I romani chiamavano questo strumento d’esecuzione con il nome latino di crux. Tuttavia, vi si distinguevano due tipi di crux: la crux simplex (croce semplice, costituita da un palo verticale) e la crux composita (croce composta, costituta da un palo verticale con una trave trasversale). Da ciò, intanto, possiamo almeno stabilire che parlare di “croce” o di Yeshùa crocifisso non è sbagliato, sia che si trattasse di palo sia che si trattasse di croce vera e propria. Tuttavia, la domanda rimane: si trattò di palo o di croce?
La cosa si complica di più se teniamo conto degli usi romani di allora. La crux simplex era ricavata da un albero detto infelix lignum o un arbor infelix, che era dedicato alle divinità dell’aldilà. Questi alberi, non fruttiferi e improduttivi, erano privi di valore e quindi adatti per essere utilizzati nell’esecuzione della pena capitale per i criminali. Ora, At 5:30 parla di “Gesù che voi uccideste appendendolo al legno” (cfr. 10:39;13:29). Qui si usa la parola ξύλον (csǜlon), che significa sia “albero” sia “legno”. Stessa cosa in Gal 3:13 e in 1Pt 2:24. Se poi si trattasse di un albero radicato nel terreno o di un palo ricavato da tale albero e poi fissato al suolo, non possiamo saperlo. Storici ed etimologi discutono ancora: Yeshùa fu posto su un semplice palo verticale o su un palo con una traversa oppure su un albero a forma di Y o a forma di T oppure su una croce a forma di X? In genere si pensa che il palo o albero fosse già al suo posto e che Yeshùa portasse con sé la traversa. “Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù” (Mt 27:32). Si trattava della traversa? Oppure del palo? Una croce intera sarebbe esclusa, dato il peso impossibile da portare.
W. E. Vine scrive: “Stauros (σταυρός) indica soprattutto un’asta o palo diritto, sul quale i malfattori venivano inchiodati per l’esecuzione. Sia il sostantivo sia il verbo stauroō, fissare a un’asta o palo, in origine vanno distinti dalla forma ecclesiastica di una croce a due bracci. La forma di quest’ultima ebbe origine nell’antica Caldea, ed era usata come simbolo del dio Tammuz (essendo a forma del mistico Tau, iniziale del suo nome) in quel paese e nei paesi limitrofi, incluso l’Egitto. Verso la metà del III secolo d.C. le chiese si erano ormai allontanate da certe dottrine della fede cristiana o le avevano travisate. Per accrescere il prestigio dei sistemi ecclesiastici apostati, i pagani erano ricevuti nelle chiese indipendentemente dalla rigenerazione per mezzo della fede ed era largamente permesso loro di ritenere i loro segni e simboli pagani. Perciò il Tau o T, nella sua forma più frequente, con il pezzo in croce abbassato, fu adottato come simbolo della croce di Cristo”. – An Expository Dictionary of New Testament Words, 1966, vol. 1, pag. 256.
I Testimoni di Geova hanno ingaggiato una vera e propria battaglia a colpi di autorevoli citazioni per sostenere la loro convinzione che Yeshùa sia stato ucciso su un palo. A volte, hanno perfino giocato sporco. Nel loro testo Ragioniamo facendo uso delle Scritture (Roma, 1985) citano il Dizionario illustrato Greco Italiano di Liddell-Scott (Edizioni Le Monnier, Firenze, 1975), che è indubbiamente tra i dizionari di greco antico più autorevoli e diffusi. Citandolo, la loro pubblicazione afferma: “Che dire dello strumento usato per metter a morte il Figlio di Dio? È interessante che la Bibbia usa anche il termine xylon per identificare lo strumento usato. Il Dizionario illustrato greco-italiano di Liddell e Scott ne dà questa definizione: ‘Legno tagliato e pronto per l’uso, sia legna da ardere, sia legname da costruzione, … pezzo di legno, tronco, trave, palo, …bastone, clava, randello, …trave a cui erano legati i malfattori’. (Le Monnier, 1975)” (Ibidem, pag. 85). Questa citazione – se pur riportata correttamente nelle parole citate – è ingannevole. Si tratta, infatti, di una citazione parziale da cui è stata astutamente tolta parte del testo. Il dizionario citato è stato, in pratica, strumentalizzato a proprio uso e consumo. La casa editrice Le Monnier ha reagito a questa manipolazione. Con una lettera datata 23 settembre 1988, la casa editrice fiorentina si rivolgeva così alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova di Roma (editrice del libro che conteneva la citazione contestata):
Con vivo disappunto rileviamo, a pag. 85 della Vostra pubblicazione “Ragioniamo facendo uso delle Scritture”, una citazione tratta dal nostro dizionario greco Liddell-Scott.
Tale citazione appare artatamente tagliata, sopprimendo il termine “la Croce”, riportato fra le accezioni possibili, al fine di sostenere, con l’autorevolezza del nostro nome e del nostro, assai apprezzato, dizionario, una Vostra tesi teologica.
Ora, mentre riteniamo tutte le tesi in materia religiosa degne di rispetto, giudichiamo assai scorretto, oltre che gravemente lesivo della nostra reputazione scientifica, il Vostro modo di agire. Infatti, di fronte ad una pluralità di accezioni, diffuse e considerate accettabili, il nostro dizionario le riporta, correttamente, tutte, lasciando ai filologi di discutere la pertinenza di ciascuna rispetto ai diversi contesti storici e testuali.
La Vostra citazione amputata ci fa, da un lato, apparire come sostenitori di una tesi teologica che, francamente, ci vede del tutto estranei e disinteressati, dato che lo scopo scientifico e didattico di un dizionario è tutt’altro. E, d’altra parte, la medesima amputazione ci fa falsamente apparire sul piano lessicografico, che a noi interessa e che ci riguarda, come incompleti e carenti.
Siamo certi che vorrete con la massima tempestività ovviare al danno provocato alla nostra immagine e al nostro buon nome, pubblicando sulla Vostra stampa, con la dovuta evidenza tipografica, una non equivoca dichiarazione riparatoria.
Restiamo in attesa di una, cortesemente sollecita, comunicazione al riguardo da parte Vostra.
Per tutta risposta (in data 19 ottobre 1988), fu fatto presente che apparivano nella citazione dei puntini sospensivi indicanti i brani mancanti. Ecco la conclusione della risposta, a firma Valter Farneti (allora presidente; poi rimosso e allontanato dalla sede romana per altre questioni, a loro interne):
Nel caso di una ristampa del nostro libro, che peraltro non è destinato alla pubblica diffusione, ma riservato per lo più ai nostri associati, non abbiamo nessuna difficoltà a eliminare la citazione del Vostro Dizionario e a sostituirla con brani tratti da altre fonti autorevoli perlomeno quanto la Vostra pubblicazione. Se desiderate tale sostituzione, potete comunicarcelo.
È stata per noi una spiacevole sorpresa constatare che la mancanza di obiettività della Vostra comunicazione non corrisponde all’opinione che avevamo della Vostra Casa. Evidentemente non vi è interessato che centinaia di Vostri Dizionari siano stati acquistati dalle oltre 2.500 nostre Comunità, ognuna delle quali dispone di una biblioteca.
Ed ecco la risposta di Le Monnier:
Una felice situazione economica (che Dio la conservi!) ci rende, inoltre poco sensibili alle questioni di interesse se contrastanti con le ragioni della nostra libertà intellettuale. In altre parole, non siamo in vendita contro un acquisto di copie. Ne consegue che la Vostra cortese preferenza, sinora dimostrata, per l’acquisto del Liddell-Scott non è atta a mutare un modo di pensare che tutti gli studiosi, degni di questo nome, considerano corretto. Secondo tale impostazione, è lecito citare il pensiero altrui con tutte quelle omissioni che non ne alterano la sostanza, che non portano a significati diversi o, peggio, contrari. La frase «Caio non è un criminale» non si può citare nella forma: «Caio (…) è un criminale». Ora, grosso modo, questo è stato fatto dalla Vostra pubblicazione, che svolgeva il seguente ragionamento: Cristo fu appeso ad una trave e non a una croce, infatti «xylon» significa trave e non croce, come conferma anche il Liddell-Scott. (Segue la citazione incompleta, da cui è stata tolta proprio l’accezione «la Croce, NT»).
Ora, né questa Casa Editrice nè Liddell, Scott e collaboratori avevano la minima intenzione di prendere posizione su una questione che, oltretutto non è lessicografica ma teologica; tanto è vero che hanno riportato parecchie accezioni (trave e croce, ma anche legno, bastone, gogna, tavolo o banco ecc.) ognuna con la propria fonte. Sopprimere una di tali accezioni per poi dire che non esiste, ci pare un modo piuttosto malizioso di sostenere la Vostra tesi, per altri versi rispettabilissima.
La invitiamo pertanto a ripristinare l’integrità della citazione, anche perché, contrariamente a ciò che Lei afferma, il riportare per intero e non amputato un passo non ci pare proprio nocivo per l’obiettività né segno di soggezioni a pressioni esterne. Con distinti saluti.
Il Dizionario di Mistica e dell’Occulto definisce la croce come un antico simbolo cristiano interpretato da alcuni occultisti come l’unione del fallo maschile (barra verticale) con la vagina femminile (barra orizzontale) e dice che viene anche considerato un simbolo delle quattro direzioni e di una potente arma contro il male.
L’Encyclopaedia Heraldica menziona ben 385 diversi tipi di croci (ERE, Art. Cross, Vol. 4, pagg. 324 e sgg.). Ci sono 9 tipi di croci che hanno simbolismo religioso, e sono: 1. La croce greca; 2. la croce latina (crux immissa o capitata), con l’arto inferiore più lungo degli altri tre; 3. la croce a forma di Tau; 4. la crux ansata; 5. la croce di S. Andrea (crux decussata); 6. la croce gammata; 7. la croce di Malta; 8. la croce traversa doppia o tripla; 9. la croce montata sui passi (perronnée).
Un argomento portato a testimonianza della croce dai loro fautori è il passo di Mt 27:37: “Al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: “Questo è Gesù, il re dei Giudei”. Qui costoro fanno notare che la scritta doveva essere alquanto grande e occupare un certo posto, dato che Gv 19:20 spiega che “molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; e l’iscrizione era in ebraico, in latino e in greco”. Questa, comunque, non è una prova decisiva: pur avendo le mani inchiodate sopra il capo, ci sarebbe stato posto per la scritta sopra di esse.
Un altro argomento si basa su Gv 20:25, in cui l’incredulo Tommaso dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi”. La specificazione τῶν ἥλων (ton èlon), “dei chiodi”, al plurale, non lascia dubbi che ambedue le mani fossero state inchiodate ciascuna con un chiodo. Ma anche questo non è decisivo: potevano essere state inchiodate una sopra l’altra e tutte e due sopra il capo.
Sebbene la croce sia stata associata al cosiddetto Cristianesimo, essa non fu un simbolo dei primi discepoli di Yeshùa. Perché mai avrebbero dovuto usare come simbolo proprio lo strumento di morte di Yeshùa? Chi mai si appenderebbe al collo o esporrebbe la riproduzione di una sedia elettrica, se un suo caro fosse stato giustiziato così pur essendo innocente? Sarebbe inappropriato e di pessimo gusto. Inoltre, i primi discepoli aborrivano l’uso del simbolo della croce perché simbolo pagano. I primi discepoli di Yeshùa, nonostante la grande importanza che annettevano alla croce, evitarono di riprodurla nelle loro iconografie.
Il simbolo della croce è molto più antico della prima congregazione dei discepoli di Yeshùa e presenta una serie di significati mistici. Dall’Egitto, in cui era un segno magico e propiziatorio, si diffuse ai fenici e da lì in tutto il mondo semitico. La sua presenza è stata rilevata su bassorilievi, tombe, ceramiche, gioielli, monete, dalla Sardegna a Susiana, lungo la costa d’Africa, in Frigia, Palestina e Mesopotamia. Su monumenti di origine fenicia o ittita è posta nelle mani del re o dei sacerdoti, come nel caso degli egizi, ed è associata all’albero della vita e al fiore di loto. La sua estrema importanza simbolica spinse i popoli a prenderla a prestito dagli egizi. Così i fenici ne fecero un emblema misto, in cui la croce s’innesta sul cono che rappresenta la dea Astarte e Tanit, “colei che dà la vita”. I greci la impiegarono in modo da riprodurre le caratteristiche della loro dea della vita (Afrodite, Harmonia, Artemide di Efeso). Non vi è dubbio che l’uso della croce è associato con i simboli della resurrezione e della nuova vita di cui il paganesimo era impregnato. La diffusione del simbolo della croce nel cosiddetto Cristianesimo si sviluppò quanto la dottrina pagana della Trinità. Tertulliano attesta che a ogni passo i cristiani si segnavano la fronte con un piccolo segno della croce (De Corona 3). Lo studioso D’Alviella afferma che è chiaro che la grande massa dei “cristiani” attribuì un valore magico a questo segno.
La croce era utilizzata come una forma di esorcismo, un mezzo per allontanare gli spiriti immondi. Una delle croci più antiche, trovata in una tomba cristiana a Roma, reca l’iscrizione Crux est vita mihi, mors, inimice, tibi (“La croce è vita per me; morte, oh nemico [il diavolo], per te”). Una leggenda fu creata attorno ad essa come se fosse un essere vivente (Histoire de Dieu, 1843, pag. 351). La croce è di derivazione pagana, come il culto di domenica e delle feste di Pasqua e Natale, provenienti dai culti del dio Sole. – Cfr. Bacchiocchi, Da Sabato a Domenica, Roma, 1977.
In ogni caso, l’uso della croce nel culto è una forma molto grave d’idolatria. Il suo uso è anche filosoficamente discutibile, e non solo per gli aspetti idolatrici e per la sua derivazione pagana. Ma anche perché ciò che è logicamente fondato su Dio ed è la prerogativa diretta di Dio è in questo simbolismo attribuito a Yeshùa nello stesso modo in cui era attribuito agli dèi dei Misteri. La resurrezione avviene come un atto di autorità divina. Dio solo è immortale (1Tm 6:16). Cristo esercita l’autorità in obbedienza a Dio (Gv 10:18). Yeshùa, colui che santifica, e coloro che sono santificati provengono tutti da uno (Eb 2:11). Dio solo è quello che deve essere adorato e l’unico oggetto della preghiera (Lc 4:8; Gv 4:23, Ap 19:10; 22:9). La croce è diventata un simbolo di Yeshùa nello stesso modo in cui l’immagine istituita da Mosè (Nm 21:8,9) divenne un’immagine di sé e rischiò di divenire oggetto d’idolatra. La croce, come le immagini e le statue religiose, non è uno strumento innocuo o una decorazione. La croce come oggetto di preghiera è una violazione del secondo Comandamento.
Pare del tutto inappropriato utilizzare l’immagine della croce. “Noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1:23-25). Una cosa è Yeshùa, altra la croce. La croce rimane lo strumento vergognoso su cui Yeshùa morì. Yeshùa indicò lo stauròs per rappresentare la sofferenza e la vergogna che avrebbero sofferto i suoi seguaci. – Mt 16:24.
Al di là della certezza che la croce non vada utilizzata in alcun modo nella nostra adorazione, si trattava di croce o di palo? Non possiamo saperlo con certezza. Mancano completamente le prove che Yeshùa sia stato ucciso su una croce oppure su un palo. Di certo c’è un concetto pagano della croce da cui vogliamo prendere le distanze.