“Chi è realmente lo schiavo fedele e discreto che il suo signore ha costituito sopra i propri domestici per dar loro il cibo a suo tempo? Felice quello schiavo se il suo signore, arrivando, lo troverà a fare così! Veramente vi dico: Lo costituirà sopra tutti i suoi averi”. – Mt 24:45-47, TNM.

   Questa domanda, posta retoricamente da Yeshùa, s’innesta nel grande tema, presente nel cap. 24 di Mt, della distruzione di Gerusalemme e della venuta del Figlio dell’uomo.

   Il tutto parte dalla grandiosa visione del Tempio di Gerusalemme: “Mentre Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli osservare gli edifici del tempio” (Mt 24:1). Matteo, subito dopo, annota: “Ma egli rispose loro” (v. 2). Qualcosa qui sembra mancare. Intanto, non si comprende come mai i suoi discepoli gli fecero “osservare gli edifici del tempio”: loro a lui? Yeshùa li conosceva bene da sé e non aveva bisogno della guida dei discepoli; poi, appare strano quel “rispose loro”: dove è mai la domanda dei discepoli? Matteo attinge da Marco, per cui è in Mr che dobbiamo ricercare la scena completa:

“Mentre egli usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: ‘Maestro, guarda che pietre e che edifici!’ Gesù gli disse: ‘Vedi questi grandi edifici? Non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata’”. – Mr 13:1,2.

   Anche qui manca una domanda. Qui Yeshùa però “disse” (non “rispose”, come in Mt). Tuttavia, Marco, continuando il suo racconto, subito dopo narra; “Poi, mentre era seduto sul monte degli Ulivi di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea gli domandarono in disparte: ‘Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno del tempo in cui tutte queste cose staranno per compiersi?’” (vv. 3 e 4). Evidentemente, Matteo fonde tutto in pochi tratti, per cui quel “rispose” va riferito alla successiva domanda dei discepoli fatta a seguito della dichiarazione di Yeshùa sul diroccamento del Tempio, che seguiva a sua volta il commento ammirato di un discepolo sulla magnificenza del Tempio.

   Luca, alla maniera di Matteo, narra la stessa scena così: “Alcuni gli fecero notare come il tempio fosse adorno di belle pietre e di doni votivi, ed egli disse: ‘Verranno giorni in cui di tutte queste cose che voi ammirate non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata’. Essi gli domandarono: ‘Maestro, quando avverranno dunque queste cose? E quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi?’”. – Lc 21:4-7.

   Mr 13, Mt 24 e Lc 21 sono capitoli escatologici: riguardano la fine dei tempi e il ritorno di Yeshùa. Anche la dichiarazione di Yeshùa circa lo “schiavo fedele e discreto” rientra in tutto il suo discorso come risposta alla domanda:

“Quando avverranno queste cose e quale sarà il segno del tempo in cui tutte queste cose staranno per compiersi?”. – Mr 13:4; cfr. Lc 21:7.

   Yeshùa inizia la sua risposta con una raccomandazione: “Guardate che nessuno v’inganni!” (Mr 13:5; cfr. Mt 24:4; Lc 21:8). Poi passa a descrivere il “segno” composito che doveva precedere la distruzione di Gerusalemme e il suo ritorno. Infine, contro i falsi profeti che – pretendendo di richiamarsi a lui (Lc 21:8) – avrebbero annunciato: “Il tempo è vicino” (Lc 21:8), dice chiaramente: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mr 13:32). Contro quegli impostori che avrebbero fissato date proclamando che “il tempo è vicino”, aveva già raccomandato ai suoi veri discepoli: “Non andate dietro a loro”. – Lc 21:8.

   Ora, dopo le sue fervide raccomandazioni di non farsi ingannare, raccomanda di stare all’erta proponendo un’immagine carica di suggestioni:

“State in guardia, vegliate, poiché non sapete quando sarà quel momento. È come un uomo che si è messo in viaggio, dopo aver lasciato la sua casa, dandone la responsabilità ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito, e comandando al portinaio di vegliare. Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padrone di casa; se a sera, o a mezzanotte, o al cantare del gallo, o la mattina; perché, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quel che dico a voi, lo dico a tutti: ‘Vegliate’”. – Mr 13:33-37.

   Qui in Mr, Yeshùa si paragona a “un uomo che si è messo in viaggio, dopo aver lasciato la sua casa”. L’allusione alla sua dipartita è ovvia: Yeshùa stava per essere ucciso, poi sarebbe stato resuscitato e sarebbe salito al cielo alla destra del Padre; la “casa” che lasciava era la sua congregazione, la chiesa formata dai suoi discepoli; lui, “il padrone di casa”, sarebbe poi tornato. Andando via, lasciava la responsabilità della “casa” “ai suoi servi”, affidando “a ciascuno il proprio compito”. Non si parla qui di un servo particolare cui era lasciata la responsabilità di tutto; non si parla nemmeno di un gruppo scelto di servi che dovessero assumersi questo compito. Piuttosto, tutti i servi della casa vengono responsabilizzati. Yeshùa dice chiaramente di aver lasciato “a ciascuno il proprio compito”. Tutti i servi, proprio tutti, hanno ciascuno il proprio compito. Nessuno è sotto la direttiva di un altro. Nessuno è innalzato a funzioni direttive. Tanto meno lo è il “portinaio”, che ha il compito particolare di vegliare. Tuttavia, neppure lui ha funzioni direttive (è solo un portinaio), giacché l’invito a vegliare è rivolto a “tutti”.

   Nella versione lucana questa immagine del padrone di casa che parte e lascia la responsabilità della sua casa a tutti i servi, manca. Segno di per sé che indica che non rivestiva chissà quali aspetti profetici particolari. Non si dimentichi che qui siamo di fronte a una parabola, non a una profezia. Era solo un paragone, un esempio, una parabola, una delle tante che Yeshùa era abituato a raccontare per dare più forza ai suoi insegnamenti. Luca si accontenta di riportare l’essenziale: “Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. – Lc 21:36.

   Nella versione mattaica ritroviamo l’immagine usata da Yeshùa e presente in Mr. Anzi, qui troviamo anche altre immagini, tutte riferite alla necessità di stare all’erta. “Imparate dal fico questa similitudine: quando già i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, proprio alle porte” (Mt 24:32,33). Dopo aver richiamato la similitudine del fico, Yeshùa evoca un avvenimento storico: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24:37-39). Tutte queste immagini sono tese sempre alla stessa raccomandazione: “Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà” (Mt 24:42). In Mt Yeshùa propone anche un’immagine che ha per protagonista un “padrone di casa”, ma che qui non è lui come in Mr; qui lui veste i panni di un ladro. Qui vuole che tutti i suoi discepoli si immedesimino in un padrone di casa che è sorpreso dai ladri: “Sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte il ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe scassinare la sua casa. Perciò, anche voi [come il padrone di casa] siate pronti; perché, nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo [come un ladro] verrà” (Mt 24:43,44). In questo paragone, il “padrone di casa” non è una persona particolare o gruppo di persone particolari che assumono la direttiva sugli altri. Tutti i discepoli, tutti, in questo paragone sono ciascuno un “padrone di casa” che deve stare attento a non farsi sorprendere nel sonno: “Anche voi”.

   Dopo tutte queste illustrazioni, Yeshùa passa a proporne un’altra:

“Qual è mai il servo fedele e prudente che il padrone ha costituito sui domestici per dare loro il vitto a suo tempo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato! Io vi dico in verità che lo costituirà su tutti i suoi beni. Ma, se egli è un servo malvagio che dice in cuor suo: ‘Il mio padrone tarda a venire’; e comincia a battere i suoi conservi, a mangiare e bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se l’aspetta, nell’ora che non sa, e lo farà punire a colpi di flagello e gli assegnerà la sorte degli ipocriti. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti”. – Mt 24:45-51.

   Questa parabola segue immediatamente quella del padrone di casa (ovvero ogni singolo discepolo, che deve vegliare per non essere sorpreso a dormire quando Yeshùa verrà come un ladro di notte). Quest’ultima parabola Yeshùa l’aveva detta per rafforzare la sua raccomandazione a non fare come ai giorni di Noè. E aveva precisato: “Due saranno nel campo; l’uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l’una sarà presa e l’altra lasciata” (Mt 24:40,41). Quindi, per responsabilizzare i singoli, li aveva fatti immedesimare in un padrone di casa che rischia di essere sorpreso da un ladro. È in quest’ottica, ovvero nel rendere responsabile il singolo, che Yeshùa si sta muovendo ora. Il collegamento è dato dalla particella interrogativa ἄρα (àra), “che implica ansia o impazienza da parte dell’interrogante”. – Vocabolario del Nuovo Testamento.

Τίς ἄρα ἐστὶν ὁ πιστὸς δοῦλος καὶ φρόνιμος . . . ;

Tis àra estìn o pistòs dùlos kài frònimos . . . ?

Chi dunque è il fedele servo e prudente . . . ?

   Dopo aver fatto immedesimare ciascun discepolo in un padrone di casa, ora Yeshùa sembra metterli più alle strette. Li fa quindi immedesimare, ciascuno di loro, individualmente, in un servo (condizione più confacente a loro). E domanda, con ansia e aspettativa (ἄρα, àra): “Chi dunque [ἄρα (àra)] è  . . . ?”. La domanda penetra nell’intimo di ciascuno e obbliga a riflettere.

   Questa parabola è simile a quella del padrone di casa che parte e affida la sua casa ai servi, presente in Mr. Qui, però ci sono sfumature diverse. Qui si distingue tra servo e domestici.

  • Il servo. Nel testo greco è il δοῦλος (dùlos). Si tratta di uno schiavo, di una persona di condizione servile. Metaforicamente, è uno che si arrende alla volontà di un altro; qui indica il discepolo di Yeshùa.
  • I domestici. Nel testo greco è οἰκετεία (oiketèia). Si tratta del gruppo dei domestici e dei servitori di una casa. Il termine non indica una singola persona ma il gruppo intero. Ben traduce PdS: “altri servi”.

   Come nella parabola marciana, anche qui il padrone è assente: “Il padrone, arrivando . . . ” (Mt 24:46). Anche qui ai servi viene lasciata la responsabilità della casa. Anzi, qui c’è la responsabilità reciproca. In Mr è lasciato “a ciascuno il proprio compito”. Anche qui, perché c’è il compito di dare il vitto ai domestici. Alcuni servi sono più responsabili, e sono questi che devono provvedere agli altri. Se immaginiamo la scena, magari calata ai nostri giorni, possiamo pensare a una residenza in cui la servitù è lasciata sola a mandare avanti la casa mentre il proprietario è assente per lungo tempo. Ciascuno farà la sua parte, e alcuni (probabilmente i cuochi e gli addetti alla cucina) provvederanno anche al sostentamento del resto della servitù.

   Rispetto alla parabola presente in Mr, quella di Mt punta l’attenzione sul singolo.

Responsabilità collettiva

Responsabilità individuale

Mr 13:33-36

Mt 24:45,46

State in guardia, vegliate, poiché non sapete quando sarà quel momento. È come un uomo che si è messo in viaggio, dopo aver lasciato la sua casa, dandone la responsabilità ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito, e comandando al portinaio di vegliare. Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padrone di casa; se a sera, o a mezzanotte, o al cantare del gallo, o la mattina; perché, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati”

Qual è mai il servo fedele e prudente che il padrone ha costituito sui domestici per dare loro il vitto a suo tempo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato!”

     Alla domanda retorica di Yeshùa – “Chi è dunque il servo fedele e prudente”? (testo greco) – ciascuno dei suoi ascoltatori doveva sentirsi interpellato. Con la particella interrogativa ἄρα (àra), “dunque”, si voleva trarre una conclusione. Yeshùa aveva appena detto che quando lui sarebbe tornato all’improvviso ci sarebbe stata una situazione in cui “due saranno nel campo; l’uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l’una sarà presa e l’altra lasciata” (Mt 24:40,41); aveva quindi raccomandato: “Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà” (Mt 24:42). Ora, tirando le somme, domanda: “Chi è dunque [ἄρα (àra)] il servo fedele e prudente”? E, riprendendo il suo insegnamento circa il suo ritorno improvviso, commenta: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato!” (v. 46) ovvero impegnato nel badare alla “casa” e agli altri servi. Come ricompensa dell’impegno fedele del servo, Yeshùa dice “che lo costituirà su tutti i suoi beni”. – V. 47.

   Questa ricompensa per la fedeltà e la capacità mostrata, assomiglia a quella indicata da Yeshùa stesso in un’altra parabola, sempre innestata nel suo ritorno improvviso, e detta poco dopo:

“State svegli, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. Così infatti sarà il regno di Dio. Un uomo doveva fare un lungo viaggio: chiamò dunque i suoi servi e affidò loro i suoi soldi. A uno consegnò cinquecento monete d’oro, a un altro duecento e a un altro cento: a ciascuno secondo le sue capacità. Poi partì. Il servo che aveva ricevuto cinquecento monete andò subito a investire i soldi in un affare, e alla fine guadagnò altre cinquecento monete. Quello che ne aveva ricevute duecento fece lo stesso, e alla fine ne guadagnò altre duecento. Quello invece che ne aveva ricevute soltanto cento scavò una buca in terra e vi nascose i soldi del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone ritornò e cominciò a fare i conti con i suoi servi. Venne il primo, quello che aveva ricevuto cinquecento monete d’oro, portò anche le altre cinquecento e disse:

   – Signore, tu mi avevi consegnato cinquecento monete. Guarda: ne ho guadagnate altre cinquecento.

   E il padrone gli disse:

   – Bene, sei un servo bravo e fedele! Sei stato fedele in cose da poco, ti affiderò cose più importanti. Vieni a partecipare alla gioia del tuo signore.

   Poi venne quello che aveva ricevuto duecento monete e disse:

   – Signore, tu mi avevi consegnato duecento monete d’oro. Guarda: ne ho guadagnate altre duecento.

   E il padrone gli disse:

   – Bene, sei un servo bravo e fedele! Sei stato fedele in cose da poco, ti affiderò cose più importanti. Vieni a partecipare alla gioia del tuo signore!

   Infine venne quel servo che aveva ricevuto solamente cento monete d’oro e disse:

   – Signore, io sapevo che sei un uomo duro, che raccogli anche dove non hai seminato e che fai vendemmia anche dove non hai coltivato. Ho avuto paura, e allora sono andato a nascondere i tuoi soldi sotto terra. Ecco, te li restituisco.

   Ma il padrone gli rispose:

   – Servo cattivo e fannullone! Dunque sapevi che io raccolgo dove non ho seminato e faccio vendemmia dove non ho coltivato. Perciò dovevi almeno mettere in banca i miei soldi e io, al ritorno, li avrei ritirati con l’interesse. Via, toglietegli le cento monete e datele a quello che ne ha mille. Perché chi ha molto riceverà ancora di più e sarà nell’abbondanza; chi ha poco, gli porteranno via anche quel poco che ha. E questo servo inutile gettatelo fuori, nelle tenebre: là piangerà come un disperato”. – Mt 25:13-30, PdS.

   In questa parabola l’uomo che “doveva fare un lungo viaggio” (Yeshùa), prima di partire chiama a sé “i suoi servi” (i discepoli). Non chiama un servo o un gruppo di servi in particolare, ma tutti. E a tutti affida i suoi soldi (ovvero i suoi interessi), a ciascuno secondo le sue capacità. Al suo ritorno, i servi (plurale) bravi e fedeli ricevono maggiore responsabilità, quello imprudente e infedele perde perfino quel poco che gli era stato affidato. Nella parabola, simile, di Lc 19:11-27 i servi sono dieci (numero che indica la totalità):

“Molti pensavano che il regno di Dio si manifestasse da un momento all’altro. Allora Gesù raccontò quest’altra parabola: ‘C’era una volta un uomo di famiglia nobile. Egli doveva andare in un paese lontano per ricevere il titolo di re, poi sarebbe tornato. Prima di partire chiamò dieci dei suoi servi; consegnò a ciascuno una medesima somma di denaro e disse: Cercate di far fruttare questo denaro fino a quando non sarò tornato. Ma i suoi cittadini odiavano quell’uomo e gli mandarono dietro alcuni rappresentanti per far sapere che non lo volevano come re. E invece quell’uomo diventò re e ritornò al suo paese. Fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il suo denaro per sapere quanto guadagno ne avevano ricavato. Si fece avanti il primo servo e disse:

   – Signore, con quello che tu mi hai dato io ho guadagnato dieci volte tanto.

   Il padrone gli rispose:

   – Bene, sei un servo bravo. Sei stato fedele in cose da poco: ora io ti faccio governatore di dieci città.
   Poi venne il secondo servo e disse:

   – Signore, con quello che tu mi hai dato ho guadagnato cinque volte tanto.

   Il padrone rispose:

   – Anche tu avrai l’amministrazione di cinque città.

   Infine si fece avanti un altro servo e disse:

   – Signore, ecco il tuo denaro! L’ho nascosto in un fazzoletto. Avevo paura di te, perché sapevo che sei un padrone esigente: tu pretendi anche quel che non hai depositato e raccogli anche quel che non hai seminato.

   Allora il padrone gli rispose:

   – Tu sei stato un servo cattivo e io ti giudico secondo quel che hai detto. Tu sapevi che sono un padrone esigente, che pretendo anche quel che non ho depositato e raccolgo anche quel che non ho seminato. Perché allora non hai depositato il mio denaro alla banca? Al mio ritorno l’avrei ritirato con gli interessi!

   Poi il padrone disse ai presenti:

   – Via, toglietegli il denaro che ha e datelo a quello che lo ha fatto fruttare di più.

   Gli fecero osservare:

   – Signore, ma lui ne ha già fin troppo.

   Il padrone allora rispose:

   – Chi ha molto riceverà ancora di più; ma a chi ha poco sarà portato via anche quel poco che ha. Ed ora i miei nemici, quelli che non mi volevano come loro re. Portateli qui e uccideteli alla mia presenza’”. – PdS.

   Come si nota, le parabole sono simili, ciascuna da una diversa visuale. In ciascuna parabola Yeshùa si rivolge a tutti i suoi discepoli, paragonati a servi. In tutte parla del suo ritorno. In tutte raccomanda di vegliare. In tutte affida i suoi intersessi ai servi, secondo le loro capacità. In nessuna un servo particolare o un gruppo di servi particolari è incaricato di assumere una qualsivoglia direttiva sugli altri. In ciascuna i servi ubbidienti sono lodati come fedeli e ricevono più responsabilità dopo il ritorno del loro padrone. “Quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga. A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni”. – Ap 2:25,26.

   Similmente, nella parabola di Mt 24:45-51, il servo fedele riceve la sua ricompensa al ritorno di Yeshùa: “Lo costituirà su tutti i suoi beni” (v. 47). Infatti, la sequenza cronologica è:

  1. “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato!”. – V. 46.
  2. “Lo costituirà su tutti i suoi beni”. – V. 47.

   “Quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato” è costituito “su tutti i suoi beni” dopo il ritorno di Yeshùa.

   “Ma se mai quello schiavo malvagio dicesse in cuor suo: ‘Il mio signore tarda’, e cominciasse a battere i suoi compagni di schiavitù e mangiasse e bevesse con gli ubriaconi inveterati, il signore di quello schiavo verrà in un giorno che non si aspetta e in un’ora che non sa, e lo punirà con la massima severità” (Mt 24:48-51, TNM). Il servo, invece che “fedele e prudente” può rivelarsi “malvagio”. Al ritorno di Yeshùa sarebbe punito.

   Il “servo fedele e prudente” non è qualcuno in particolare: è un servo, ogni servo, che persevera e si mostra leale. Può essere chiunque, se rimane fedele. Si notino, infatti, le parole di Yeshùa dopo aver detto che al suo ritorno avrebbe affidato tutti i suoi beni al servo che si fosse mostrato fedele:

μακάριος ὁ δοῦλος ἐκεῖνος ὃν ἐλθὼν ὁ κύριος αὐτοῦ εὑρήσει οὕτως ποιοῦντα

makàrios o dùlos ekèinos on enthòn o kǘrios autù eurèsei ùtos poiùnta

beato il servo, quello che vendendo il padrone di lui, troverà così facente

   “Beato il servo, quello che”. Questa espressione dimostra che ogni discepolo (tutti) è considerato servo, e ciascuno può mostrarsi “fedele e prudente” oppure “malvagio”. Ecco perché Yeshùa dice: “Beato il servo, quello che, vedendo il suo padrone, troverà a fare così”. – Testo greco.

Distorsioni moderne della parabola di Yeshùa

   Alcuni gruppi religiosi, prendendo isolatamente le parole della parabola di Mt 24:45-51, hanno voluto cercarvi le basi per la legittimazione di una persona o di un gruppo quale autorità che decida l’andamento della loro chiesa o congregazione. Anticipando, contrariamente a ciò che dice il testo biblico, la costituzione “su tutti i suoi beni” già ora, prima del ritorno di Yeshùa, la persona o il gruppo che si autonomina “schiavo fedele e discreto” pretende di prendere la direttiva della famiglia della fede. Nella parabola di Yeshùa, invece, lo schiavo è ritenuto “fedele e discreto” solo dopo che Yeshùa, tornando, lo trova “a fare così”. E solo allora lo costituisce “su tutti i suoi beni”. E, tra tutti i servi-discepoli, solo “quello che” viene dichiarato beato. Ma, tornando, Yeshùa potrebbe anche giudicarlo, lo stesso servo, “malvagio”, se non lo trovasse “a fare così”.

  • Charles T. Russell. La distorsione di vedere nello “schiavo fedele e discreto” una persona particolate appare storicamente per la prima volta nel 19° ed è collegata a C. T. Russell, suo malgrado. Nel 1881 il fondatore degli Studenti Biblici scriveva: “Crediamo che ogni membro di questo corpo di Cristo sia impegnato, direttamente o indirettamente, nell’opera benedetta di dare cibo a suo tempo alla famiglia della fede . . . benedetto quel servitore (l’intero corpo di Cristo) che il suo Signore quando sarà venuto (gr. elthon) troverà a fare così” (Zion’s Watch Tower and Herald of Christ’s presence di ottobre-novembre 1881, grassetto aggiunto per enfatizzare). C. T. Russell, quindi si vide bene dal proclamarsi il “servitore fedele e saggio” (King James Version, la versione usata da Russell). Come si arrivò allora ad attribuire a lui tale presunta funzione? Il merito (in verità, il demerito) fu di sua moglie che, poco prima di separarsi da lui, lo definì tale pubblicamente. Occorre però dire che lo stesso Russell non la sconfessò mai, anzi ritenne che ciò fosse ragionevole (Zion’s Watch Tower and Herald of Christ’s presence, 1° marzo 1896, pag. 47; 15 giugno 1896, pagg. 139 e 140; 15 luglio 1906, pag. 215). Così, per un trentennio gli Studenti Biblici continuarono a riferirsi a lui come al “servitore fedele e saggio”. Comunque, dopo la sua morte avvenuta nel 1916, la veduta ufficiale degli Studenti Biblici era quella che lo “schiavo” fosse composto da tutti i membri del corpo di Cristo. Ciò fu confermato nel numero del 15 febbraio 1927 della Zion’s Watch Tower and Herald of Christ’s presence.
  • F. L. Alexandre Freytag. Costui era responsabile della filiale svizzera, con sede a Ginevra, della Watch Tower Society, l’organizzazione creata da Russell. Tra il 1914 e il 1920 il Freytag iniziò a dissentire da alcune interpretazione del Russell; nel 1919-1920 ci fu la scissione. Era già stato emarginato nel 1919 da Rutherford, successore di Russell e deviatore dagli insegnamenti degli Studenti Biblici. Nel 1920 il Freytag fondò un suo proprio gruppo, noto in Italia come Chiesa del Regno di Dio. Nella sua opera Il messaggio all’umanità, la pag. 4 è occupata da una sua fotografia che reca, al posto del suo nome, questa didascalia: “Il Servitore fedele e prudente”. – Edizione italiana, Stabilimento Grafico Impronta, Torino, 1967.
  • Corpo direttivo dei Testimoni di Geova. La svolta nell’attribuzione della presunta funzione direttiva dello “schiavo” si ebbe con il corpo dirigente americano dei Testimoni di Geova. Dall’idea di una singola persona quale presunto “schiavo fedele e discreto” si tornò all’idea originale del Russell ovvero all’insieme dei cedenti, ma con una differenza limitativa. Non si trattava più dell’intero corpo del Cristo, come per Russell, ma di un gruppo più ristretto. Sebbene venga insegnato che “l’intera congregazione cristiana unta doveva prestare servizio come un’amministrazione” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 901; il corsivo è aggiunto), nei fatti ciò non avviene. Secondo la religione dei Testimoni di Geova gli “unti” (ovvero quelli che secondo loro sono destinati al cielo) sono attualmente solo poche migliaia di persone tra i milioni di Testimoni. Tuttavia, la responsabilità di “amministratore” è assunta solo da pochissime persone che costituiscono il loro “corpo direttivo” (tale denominazione è loro). Il resto degli “unti” non ha alcuna voce in merito. La loro rivista ufficiale La Torre di Guardia afferma: “Un piccolo gruppo di sorveglianti unti qualificati serve come Corpo Direttivo, in rappresentanza del composito schiavo fedele e discreto” (Edizione del 15 marzo 2002, pag. 14, § 7; il grassetto e il corsivo sono aggiunti per enfasi). Tale “corpo direttivo”, composto da pochissime persone, usa spesso l’espressione “classe dello schiavo”: “Questa classe dello ‘schiavo fedele e discreto’ d’oggi ha un visibile corpo direttivo” (La Torre di Guardia del 15 maggio 1972, pag. 302, § 11). La Bibbia però non parla di una “classe” dello schiavo, ma del singolo schiavo che può mostrarsi fedele o malvagio; nella parabola di Mt 24:45-51 si parla sì di una classe, ma questa è quella dei domestici: questa classe nel testo greco è chiamata οἰκετεία (oiketèia) e si tratta del gruppo dei domestici o servitori della casa e che non hanno alcuna funzione direttiva sugli altri.

   L’asserzione che il singolo schiavo possa rivestire un ruolo collettivo non può basarsi su Is 40:10 in cui Dio è detto: “I miei testimoni siete voi, dice il Signore, voi, e il mio servo che io ho scelto”. (Tra parentesi, i Testimoni di Geova si appropriano dell’attributo di testimoni che Dio rivolse agli ebrei e in quella occasione). Nell’insieme, il popolo ebraico era “servo” di Dio, ma anche “figlio” e “primogenito” (cfr. Es 4:22). La Peshitta Siriaca (Sy) al posto di “servitore” ha il plurale “servitori”. Come esaminato più sopra, il singolo schiavo poteva mostrarsi fedele oppure malvagio. Non esiste quindi una classe dello schiavo fedele e una di quello malvagio. Che tutti discepoli siano implicati individualmente è mostrato da Mt 25:14-30.  

   Neppure si può argomentare che non sia possibile che tutti gli schiavi-discepoli siano preposti a “tutti i suoi averi”, quelli di Yeshùa signore degli schiavi, nello stesso tempo, quando lui ritorna. In Ap 2:26 Yeshùa promette: “A colui che vince e osserva le mie opere sino alla fine darò autorità sulle nazioni” (TNM). Qui Yeshùa si rivolge al singolo, sebbene la promessa riguardi tutti i discepoli fedeli: “Dico al resto di voi che siete a Tiatira, a tutti quelli . . . Non metto su di voi altro peso. Nondimeno, tenete saldo ciò che avete finché io venga” (vv. 24,25, TNM). Come potrebbe ogni singolo “che vince” avere autorità su tutte le nazioni? È ovvio che l’avrebbe nel suo singolo ruolo; la stessa cosa vale per ciascuno schiavo  che si mostra fedele e discreto. “Io faccio un patto con voi, come il Padre mio ha fatto un patto con me, per un regno”. – Lc 22:29, TNM; cfr. Mt 19:28.

La parabola parallela di Lc 12:42-48

 

   In Lc 12:42-48 troviamo la versione parallela della parabola di Yeshùa in Mt 24:45-47.

“Chi è dunque l’amministratore fedele e prudente che il padrone costituirà sui suoi domestici per dar loro a suo tempo la loro porzione di viveri? Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a far così. In verità vi dico che lo costituirà su tutti i suoi beni. Ma se quel servo dice in cuor suo: ‘Il mio padrone tarda a venire’; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se lo aspetta e nell’ora che non sa, e lo punirà severamente, e gli assegnerà la sorte degli infedeli. Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà”.

   Qui il δοῦλος (dùlos), lo “schiavo” in Mt, è detto οἰκονόμος (oikonòmos). Si tratta dell’amministratore di una famiglia o degli affari di una famiglia; poteva essere un uomo libero, un liberto o uno schiavo (dato il parallelismo con Mt, meglio quest’ultimo caso). Il “proprietario della casa gli affidava la gestione dei suoi affari, la cura del reddito e delle spese, e il dovere di dare la giusta porzione a ogni servitore e addirittura ai figli ancora minorenni”. – Vocabolario del Nuovo Testamento.

   Yeshùa, prima di proporre questa parabola, aveva detto: “Beati quei servi [plurale] che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12:37). Poi aveva concluso: “Anche voi siate pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate” (v. 40). È a questo punto che “Pietro disse: ‘Signore, questa parabola la dici per noi, o anche per tutti?’”. – Lc 12:41.

   La parabola di Lc 12:42-48 è dunque come risposta (“Il Signore rispose”, v. 42) alla domanda di Pietro: “Per noi, o anche per tutti?”. Pietro voleva sapere se era per loro, i discepoli, o se valeva per tutti. Yeshùa gli risponde ponendo a sua volta una domanda. “Chi è . . . ?”. Tale domanda retorica di Yeshùa doveva far riflettere sia Pietro sia gli altri discepoli cui era stata rivolta la parabola precedente. Li spingeva a immedesimarsi per capire se potessero essere come quell’economo, “l’amministratore fedele e prudente”. Anche qui, come in Mt, non si parla di una persona o gruppo di persone particolari che rivestano una funzione speciale. Questo è chiaro anche dalle parole seguenti (v. 43) di Yeshùa:

μακάριος ὁ δοῦλος ἐκεῖνος ὃν ἐλθὼν ὁ κύριος αὐτοῦ εὑρήσει ποιοῦντα οὕτως

makàrios o dùlos ekèinos on elthòn o kǘrios autù eurèsei poiùnta ùtos

beato lo schiavo quello che venendo il padrone di lui troverà facente così

   Ovvero: “Beato lo schiavo, quello che . . .”. Poteva essere uno qualsiasi degli schiavi. L’unico requisito per essere dichiarato beato era di rimanere fedele. Tant’è vero che poteva essere anche infedele: “Ma se quel servo dice in cuor suo: ‘Il mio padrone tarda a venire’; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se lo aspetta e nell’ora che non sa, e lo punirà severamente” (vv. 45 e 46). Non esiste quindi uno schiavo particolare o una classe particolare che è fedele e uno schiavo o classe particolare che è infedele. Ciascuno, ogni discepolo-schiavo, ha possibilità delle due condizioni. “Chi è dunque . . . ?”.

   Infine, Yeshùa risponde alla domanda di Pietro e dice: “Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà”. – Lc 12:47,48.

   È davvero curioso che tutta la teoria di una persona o di un gruppo che rivestirebbe speciali funzioni direttive sul resto della famiglia della fede sia partita da un’idea di una donna di nome Maria Frances Ackley (1850-1938), sposata Russell, che applicò Mt 24:45-47 al marito, quando questi era ancora nelle sue grazie. La sua causa di separazione dal marito fu discussa nel 1906 e dopo due anni fu emessa la sentenza, che condannava il Russell per crudeltà verso la moglie, addebitandogli vitto e alloggio per l’ex signora Russell. – Corte Superiore della Pennsylvania, Western District, No. 202, aprile 1908.

   Questa strana applicazione di un semplice termine di una semplice parabola sorse così. E rimase confinata solo nell’ambito degli accoliti del Russell. Il fuoriuscito Freytag se ne appropriò personalmente. Il direttivo dei Testimoni di Geova ne fece un baluardo per legittimare se stesso e imporre la propria direttiva. Il tutto sorto da un’idea stravagante, bizzarra, strampalata o forse che voleva essere solo carina, della signora Maria Russell.

   Ogni discepolo di Yeshùa, ciascuno individualmente, deve sentire rivolta a sé la domanda: “Chi è realmente lo schiavo fedele e discreto”, “Chi è dunque l’amministratore fedele e prudente”?

   “Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a far così”.