Il Libro di Atti fu scritto da Luca. Va da sé che in esso si riscontri una continuità di pensiero, anche per ciò che riguarda le donne, dal Vangelo lucano. Luca aveva presentato le donne, al cap. 8 del suo Vangelo, associate al ministero di Yeshùa: “In seguito egli [Yeshùa] se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. Con lui vi erano . . . alcune donne che erano state guarite . . . e molte altre che assistevano Gesù” (Lc 8:1-3). Più oltre ne aveva evidenziato la presenza nelle ultime tragiche ore di Yeshùa: “Le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea stavano a guardare queste cose da lontano” (Lc 23:49). Infine, Luca le citava come prime annunciatrici della resurrezione di Yeshùa: “Tornate dal sepolcro, annunciarono tutte queste cose”. – Lc 24:9.
In At Luca ci mostra le donne in attesa, insieme agli apostoli, del dono celeste dello spirito: “Perseveravano concordi nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù” (At 1:14). Luca parla di “donne”, genericamente: nel greco originale egli scrive σὺν γυναιξὶν (sün günacsìn), “insieme a delle donne”. La recensione occidentale, il codice D, ha invece “con le donne”, usando l’articolo determinativo. Ciò comporterebbe che non solo erano presenti “le” donne, quelle che costituivano il gruppo iniziale che aveva seguito Yeshùa, ma anche altre donne che si erano aggiunte. Vediamo, tra l’altro, anche la presenza di Miryàm, la madre di Yeshùa, la quale non era stata una sostenitrice del ministero del figlio, anzi ne era perplessa e a volte lo aveva addirittura considerato matto. – Mt 12:46,47; Mr 1:31;3:21.
“Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dov’essi erano seduti. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi” (At 2:1-4). Che lo spirito scendesse anche sulle donne presenti, non solo è evidente dal testo, ma lo conferma Luca stesso riportando le parole di Pietro (At 2:14) che spiega come si fosse adempiuta una profezia di Gioele: “Questo è quanto fu annunciato per mezzo del profeta Gioele: ‘Avverrà negli ultimi giorni’, dice Dio, ‘che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno . . . Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno” (At 2:16-18; cfr. Gle 2:28,29). Paolo riconoscerà poi che il carisma profetico è dato a uomini e donne: “Ogni uomo che prega o profetizza . . . ogni donna che prega o profetizza . . .”. – 1Cor 11:4,5.
La partecipazione delle donne alla vita della comunità dei discepoli di Yeshùa comportò anche la loro condivisone della persecuzione che si abbatté tanto sugli uomini quanto sulle donne: “Saulo [persecutore prima della chiamata di Yeshùa] intanto devastava la chiesa, entrando di casa in casa; e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione”. – At 8:3.
La classe delle vedove. Leggendo gli scritti apostolici si scopre una categoria di donne particolare: le vedove. Era una categoria ufficiale nella primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa. Paolo elenca i requisiti per accedervi: “La vedova sia iscritta nel catalogo quando abbia non meno di sessant’anni, quando è stata moglie di un solo marito, quando è conosciuta per le sue opere buone: per aver allevato figli, esercitato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti, concorso a ogni opera buona” (1Tm 5:9,10). In contrapposizione, Paolo elenca anche il tipo di vedove che devono essere escluse dal “catalogo”: “Rifiuta le vedove più giovani, perché, quando vengono afferrate dal desiderio, abbandonato Cristo, vogliono risposarsi, rendendosi colpevoli perché hanno abbandonato l’impegno precedente. Inoltre imparano anche a essere oziose, andando attorno per le case; e non soltanto a essere oziose, ma anche pettegole e curiose, parlando di cose delle quali non si deve parlare” (1Tm 5:11-13). Di quest’ultima categoria di vedove Paolo dice: “Voglio dunque che le vedove giovani si risposino, abbiano figli, governino la casa, non diano agli avversari alcuna occasione di maldicenza” (1Tm 5:14). E conclude: “Se qualche credente ha con sé delle vedove, le soccorra. Non ne sia gravata la chiesa, perché possa soccorrere quelle che sono veramente vedove” (1Tm 5:16). Quest’ultima osservazione paolina ci fa comprendere che delle vedove più giovani ci si doveva prendere cura personalmente. Non ci si faccia sviare dalla frase “se qualche credente ha con sé delle vedove”: il “con sé” è un’aggiunta del traduttore. Paolo dice semplicemente ἔχει χήρας (èchei chèras), “ha delle vedove”; il senso è: se ha delle parenti che hanno perso il marito. Inoltre, la traduzione “se qualche credente” è ingannevole. Si tratta infatti di credenti donne, perché Paolo dice εἴ τις πιστὴ (èi tis pistè), ovvero “se una credente”. A parte queste vedove più giovani, che erano lasciate alla cura dei loro parenti credenti, quelle che avevano i requisiti per entrare nel “catalogo” ufficiale erano sulle spalle della comunità: “Non ne sia gravata la chiesa [dal mantenimento di quelle più giovani], perché possa soccorrere quelle che sono veramente vedove”. – 1Tm 5:16.
Una di queste vedove che avevano i requisiti per essere incluse nel “catalogo” delle vedove di cui la comunità doveva prendersi cura, fu resuscitata da Pietro. “A Ioppe c’era una discepola, di nome Tabita [טביתא (Tavità), nome aramaico], che, tradotto, vuol dire Gazzella [Δορκάς (Dorkàs), nome greco]: ella faceva molte opere buone ed elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. E, dopo averla lavata, la deposero in una stanza di sopra. Poiché Lidda era vicina a Ioppe, i discepoli, udito che Pietro era là, mandarono due uomini per pregarlo che senza indugio andasse da loro. Pietro allora si alzò e partì con loro. Appena arrivato, lo condussero nella stanza di sopra; e tutte le vedove si presentarono a lui piangendo, mostrandogli tutte le tuniche e i vestiti che Gazzella faceva, mentre era con loro. Ma Pietro, fatti uscire tutti, si mise in ginocchio, e pregò; e, voltatosi verso il corpo, disse: ‘Tabita, àlzati’. Ella aprì gli occhi; e, visto Pietro, si mise seduta. Egli le diede la mano e la fece alzare”. – At 9:36-41.
Questa Tabita doveva essere una di quelle vedove. Di lei è detto che “faceva molte opere buone ed elemosine”; “le vedove” mostrano a Pietro “tutte le tuniche e i vestiti che Gazzella faceva, mentre era con loro”; la sua morte addolora moltissimo le vedove cui aveva fatto del bene; non si parla del dispiacere provato dal marito, segno che marito non aveva. Infine, Pietro, “chiamati i santi e le vedove, la presentò loro in vita”. – At 9:41.
Una donna d’affari asiatica. Paolo e Timoteo (At 16:1,3) predicavano di città in città (v. 4), ma “lo Spirito Santo vietò loro di annunciare la parola in Asia” (v. 6). Luca, che era con loro, narra: “Ci recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia” (At 16:12). “Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite” (v. 13). Compare ora sulla scena “una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio” (v. 14). Questa Lidia era asiatica. Tiàtira, da cui proveniva, si trovava in Asia Minore (attuale Turchia, dove la vecchia città di Tiàtira si chiama ora Akhisar). Tiàtira era centro industriale alquanto ricco; le sua attività includevano tessitura, tintura, lavorazione dell’ottone, conciatura e ceramica. Le tintorie tiatiresi sono menzionate spesso nelle iscrizioni. Tali tintorie impiegavano le radici rossastre della robbia (Rubia tinctorum, una pianta appartenente alla famiglia delle rubiacee), per produrre il famoso color porpora. Questo spiega la professione di Lidia che era “commerciante di porpora”. Gli affari le andavano certamente bene, perché era proprietaria di una casa tanto grande che poi poté ospitarvi Paolo e gli altri suoi collaboratori durante la loro permanenza a Filippi, dove ora risiedeva, in Europa. – At 16:12-15.
Suscita una certa ammirazione questa donna d’affari che con la sua persuasione delicata e molto femminile “pregò” Paolo e quelli che erano con lui di ‘entrare in casa sua e alloggiarvi’ (At 16:15). Luca, scrittore e testimone oculare del fatto, dice che lei παρεκάλεσεν λέγουσα (parekàlesen lègusa), “esortò dicendo”. Luca avrebbe semplicemente potuto dire che lei εἶπεν (èipen), “disse”, invece specifica che mentre dice (“dicendo”, lègusa, λέγουσα), lei παρεκάλεσεν (parekàlesen), “esortò”. Il verbo da lui usato – παρακαλέω (parakalèo) – significa chiamare accanto, rivolgersi, parlare con esortazione, incoraggiare, esortare. C’è tutto il calore femminile con lui Lidia rivolse il suo invito che non consentiva dinieghi. In più, il tempo usato è l’aoristo, che denota un’azione subitanea: si mise a esortare, iniziò a insistere. Usa anche, delicatamente, un affettuoso ricatto: “Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi”. Conosciamo il caratterino di Paolo, e ci fa sorridere come egli dovette arrendersi all’invito pressante e sentito di quella donna. Luca ammette: “Ci costrinse ad accettare”. – At 16:15.
Ci commuove quanto la Bibbia dice riferito a lei che ascolta l’annuncio della salvezza: “Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette”. – At 16:14.
Una schiava posseduta. Quale contrasto tra Lidia e la donna di cui si parla subito dopo! “Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da uno spirito di divinazione. Facendo l’indovina, essa procurava molto guadagno ai suoi padroni. Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: ‘Questi uomini sono servi del Dio altissimo, e vi annunciano la via della salvezza’. Così fece per molti giorni; ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo spirito: ‘Io ti ordino, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei’. Ed egli uscì in quell’istante. I suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita, presero Paolo e Sila e li trascinarono sulla piazza davanti alle autorità”. – At 16:16-19.
Questa ragazza schiava operava come medium a beneficio dei suoi padroni approfittatori. Paolo non accetta le lodi dell’indovina (mestiere proibito dalla Legge di Dio – Dt 18:9-12; Lv 19:26,31) e scaccia lo spirito diabolico che la possedeva.
Lidia era una donna libera, affermata, attiva, padrona di se stessa, propensa alle relazioni umane e spirituale. Questa povera ragazza era invece una schiava, tarata psichicamente e sfruttata proprio per la sua infermità mentale.
Egemonia femminile. Paolo e i suoi furono poi costretti a partire da Filippi: “[I pretori, v. 36] accompagnandoli fuori, chiesero loro di andarsene dalla città” (At 16:39). Giunto a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia), “alcuni di loro [i giudei della locale sinagoga, vv. 1,2] furono convinti, e si unirono a Paolo e Sila; e così una gran folla di Greci pii, e non poche donne delle famiglie più importanti” (At 17:4). Luca dice non solo che queste donne erano “non poche” ma specifica che erano, loro (le donne), τῶν πρώτων (ton pròton): “delle più ragguardevoli” (“non poche delle donne principali”, TNM). Nuovamente perseguitato, Paolo deve fuggire ad Atene. Qui i sapienti del posto si mostrano scettici. “Alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: ‘Su questo ti ascolteremo un’altra volta’. Così Paolo uscì di mezzo a loro. Ma alcuni si unirono a lui e credettero; tra i quali . . . una donna chiamata Damaris” (At 17:32-34). Questa Damàride, essendo la sola donna menzionata, probabilmente aveva una certa notorietà.
Donne profetesse. Nell’ultimo dei suoi viaggi verso Gerusalemme, Paolo si ferma a Cesarea, ospite di uno dei sette diaconi, Filippo (At 21:8). “Egli aveva quattro figlie non sposate, le quali profetizzavano” (At 21:9). Queste quattro ragazze erano vergini, e probabilmente per scelta personale. Essendo credenti e figlie di un diacono (διάκονος, diàkonos, un “servitore”, uno che aveva l’incarico assegnatogli dalla congregazione d’aver cura dei poveri e di distribuire le offerte raccolte per loro), potevano aver fatto tesoro dei consigli di Paolo raccolti in 1Cor 7:25-40: “Quanto alle vergini non ho comandamento dal Signore; ma do il mio parere . . . Io penso dunque che a motivo della pesante situazione sia bene per loro di restare come sono . . . se una vergine si sposa, non pecca ma tali persone avranno tribolazione nella carne e io vorrei risparmiarvela . . .Vorrei che foste senza preoccupazioni. Chi non è sposato si dà pensiero delle cose del Signore, di come potrebbe piacere al Signore; ma colui che è sposato si dà pensiero delle cose del mondo . . . La donna senza marito o vergine si dà pensiero delle cose del Signore, per essere consacrata a lui nel corpo e nello spirito; mentre la sposata si dà pensiero delle cose del mondo, come potrebbe piacere al marito. Dico questo nel vostro interesse; non per tendervi un tranello, ma in vista di ciò che è decoroso e affinché possiate consacrarvi al Signore senza distrazioni. Ma se uno crede far cosa indecorosa verso la propria figliola nubile se ella passi il fior dell’età, e se così bisogna fare, faccia quello che vuole; egli non pecca; la dia a marito. La moglie è vincolata per tutto il tempo che vive suo marito; ma, se il marito muore, ella è libera di sposarsi con chi vuole, purché lo faccia nel Signore. Tuttavia ella è più felice, a parer mio, se rimane com’è; e credo di avere anch’io lo Spirito di Dio”. – Passim.
Queste quattro ragazze nubili possedevano il dono della profezia. Questo carisma si esplicava soprattutto parlando nelle riunioni della congregazione. Paolo stesso parla del caso della “donna che prega o profetizza” (1Cor 11:5). Ciò non solo era loro permesso, ma Paolo lo incoraggia, dicendo a tutti (uomini e donne): “Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie” (1Ts 5:19). “Continuate a cercare zelantemente i doni spirituali, e preferibilmente di poter profetizzare”. – 1Cor 14:1, TNM.