Raab (רָחָב, Rakhàv, “larga”)

“Giosuè, figlio di Nun, mandò segretamente da Sittim due spie, e disse loro: ‘Andate, esaminate il paese e Gerico’. Quelle andarono ed entrarono in casa di una prostituta di nome Raab, e vi alloggiarono”. – Gs 2:1.

   Il libro di Gs ci introduce ad una delle più sorprendenti figure di donne della Sacra Scrittura. Raab, la prostituta, s’è guadagnata grandi elogi per la sua fede, e perfino un posto nella discendenza che portò a Yeshùa. Certamente la fede di questa donna dimostra il potenziale che tutti abbiamo, ma lei ci ricorda anche di non giudicare gli altri. Molti non si aspetterebbero un grande atto di fede da una prostituta. Molti benpensanti, incrociando una prostituta lungo la loro strada, preferiscono passare sul lato opposto. Eppure, Dio ha benedetto questa donna, inserendola nella discendenza del suo Messia. Straniera ai patti di Dio con Israele, e per di più prostituta, essa rimane una grande figura dell’ebraismo, accolta come una figlia d’Israele.

   Da Gs 2:1 veniamo a sapere tre cose: Raab è una prostituta, vive a Gerico e le spie ebree vanno in casa sua, sul posto di lavoro di questa donna. Capita di vedere illustrazioni della Bibbia in cui Raab è pudicamente vestita, in un casolare poco allegro con un fuoco accogliente che riscalda una camera con addobbi floreali che rallegrano la stanza. Purtroppo, da quello che sappiamo della realtà della prostituzione d’allora e di oggi, quella scena è inverosimile e fuorviante. Invece, dovremmo immaginare un piccolo spazio angusto, non molto pulito, un luogo per emarginati.

   Questa non era una donna vestita a festa. Solo affrontando la realtà della vita Raab, possiamo veramente imparare da lei. Nella sua stessa società non dovette godere di stima. Il suo lavoro la esponeva alla sporcizia, non solo morale ma fisica. Forse diversi uomini che la frequentavano erano anche malati. Di certo la usavano per uno scopo che nulla aveva di umanitario. Tuttavia, la sua storia non finisce lì, e c’è altro da considerare.

   Perché quegli uomini ebrei andarono a casa di una prostituta, quando avrebbero invece dovuto esplorare la terra che Dio stava per dare a Israele? Che cosa potevano spiare lì? La Bibbia non indica che vi fossero altri in quella casa, così da poter ottenere informazioni preziose. Perché, dunque, erano lì?

   La Bibbia non ce lo dice, anche se la risposta più ovvia è di solito respinta. Gli ebrei, nella loro lunga marcia attraverso il deserto, erano ormai prossimi ad entrare nella Terra Promessa. La Legge era già stata data e quei due ben sapevano il pensiero di Dio circa l’immoralità. – Es 20:14; Dt 5:18; Lv 19:29.

   Ad alcuni commentatori piace pensare che la casa di Raab fosse solo una locanda e che i due uomini fossero entrati lì solo per prendervi una stanza in cui alloggiare. Questa ipotesi va decisamente scartata. La parola ebraica זֹונָה (sonàh), applicata a Raab, non lascia dubbi: nella Bibbia indica sempre e solo una prostituta, mai una locandiera o un’ostessa. No, quella non era una locanda: era un postribolo. La domanda sul perché quei due fossero andati lì rimane una domanda interessante. Forse volevano confondere le acque. Dal resto del racconto sappiamo che furono riconosciuti subito come ebrei, e non solo. I cananei, abitanti Gerico, sospettarono subito che quelli fossero lì per spiare, tanto che lo riferirono al loro re, allarmati. In qualche modo le due spie crearono un diversivo andando a casa di una prostituta: era pur plausibile che due uomini cercassero svago in quel modo. Inoltre, quella casa era addossata al muro di cinta della città: facile via di fuga. C’era la guida divina in tutto ciò? Visto come andarono le cose, crediamo di sì. Comunque, la Bibbia ha davvero qualcosa da insegnarci con questa storia.

   “Ciò fu riferito al re di Gerico, e gli fu detto: ‘Ecco, alcuni uomini dei figli d’Israele sono venuti qui per esplorare il paese’. Allora il re di Gerico mandò a dire a Raab: ‘Fa’ uscire quegli uomini che sono venuti da te e sono entrati in casa tua; perché sono venuti a esplorare tutto il paese’. Ma la donna prese quei due uomini, li nascose e disse: ‘È vero, quegli uomini sono venuti in casa mia, ma io non sapevo di dove fossero; e quando si stava per chiuder la porta della città all’imbrunire, quegli uomini sono usciti; dove siano andati non so; rincorreteli senza perdere tempo, e li raggiungerete’. Lei invece li aveva fatti salire sulla terrazza e li aveva nascosti sotto gli steli di lino che vi aveva ammucchiato. E la gente li rincorse per la via che porta ai guadi del Giordano; e, dopo che i loro inseguitori furono usciti, la porta della città fu chiusa”. –  Gs 2:2-7.

   Raab tradì il suo popolo. Gli israeliti stavano per prendere Gerico; Raab lo sapeva e aveva la possibilità di fermarli, ma non lo fece. Eppure, questa sezione biblica ci insegna anche dell’altro. In genere si tende ad aspettarsi che le donne siano completamente buone o completamente cattive. Le chiese accettano le debolezze degli uomini, mentre per ciò che riguarda le donne hanno le idee chiare: le debolezze delle donne sono viste come un segno di empietà. La Bibbia però ci mostra che le donne sono umane: non sono né angeli né demòni. Le donne sono capaci di grandi atti di fede. Proprio come gli uomini. Allo stesso modo, le donne sono capaci di grandi errori. Proprio come gli uomini.

 

Quale io mai cercare se il me cambia continuamente?
È la grandezza dell’animo femminile: aver mille sfaccettature.
Quale io mai dovrei cercare? Quale me potrei trovare?
Potrei amare per vedermi riflessa nello sguardo di lui,
ma potrei perdere una parte di me perdendomi nel suo sguardo.
Son più di mille le sfaccettature.
È la complessità dell’animo femminile:
gli uomini ci dividon in categorie,
e non sanno che noi siamo – ciascuna di noi – tutte le categorie:
donna, sposa fedele e infedele amante, mamma e lavoratrice,
devota e prostituta, massaia infaticabile, stanca e stremata,
coraggiosa e con mille paure, concreta e sognatrice, bugiarda e pur sincera,
e ancor donna.

(Di G. Montefameglio, estratto da Non mi interessa, Cielo Segreto, Pensieri)

 

   Questa storia biblica offre anche motivo per una riflessione che sorge dal confronto con altri eventi simili. In Gn Lot offre le sue due figlie per il trastullo sessuale di una folla, al posto dei suoi visitatori angelici (si veda al riguardo Figlie di Lot, nell’elenco). Più avanti, in Gdc, un levita spinge la sua donna fuori dalla porta dandola in mano ad una folla che la violenta ripetutamente (si veda al riguardo Concubina di un levita, in elenco). E si tratta di due uomini ritenuti onorevoli: Lot salvato da Dio stesso, il levita per definizione, in quanto appartenente alla classe sacerdotale.

   Eppure, quando Raab – una donna, per di più cananea, per di più prostituta – affronta quella stessa sfida, lei risponde in modo diverso. Quando la folla giunge alla sua porta, lei usa prontamente la sua intelligenza femminile per risolvere il problema. Quegli uomini di cui abbiamo accennato più sopra, in simili circostanze, non esitarono a sacrificare le donne che avrebbero dovuto difendere. Raab non deve alcunché alle due spie: erano nemici di Gerico e stavano organizzando con gli ebrei un attacco. Eppure, eppure, lei li nascose.

   “Prima che le spie si addormentassero, Raab salì da loro sulla terrazza, e disse a quegli uomini: ‘Io so che il Signore vi ha dato il paese, che il terrore del vostro nome ci ha invasi e che tutti gli abitanti del paese hanno perso coraggio davanti a voi. Poiché noi abbiamo udito come il Signore asciugò le acque del mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto, e quel che faceste ai due re degli Amorei, di là dal Giordano, Sicon e Og, che votaste allo sterminio. Appena l’abbiamo udito, il nostro cuore è venuto meno e non è più rimasto coraggio in alcuno, per causa vostra; poiché il Signore, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra”. – Gs 2:8-11.

   Raab aveva sentito dire quello che il Dio d’Israele aveva fatto per gli ebrei. Raab credette. Non aveva visto neppure una delle meraviglie compiute da Dio, eppure credette. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20:29). Raab non solo credette, ma operò di conseguenza, anche se il suo agire metteva la propria vita pericolo. “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? . . . [la fede] se non ha opere, è per se stessa morta . . . Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? . . . Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada?”. – Gc 2:14-25, passim.

   Si parla spesso, specialmente nelle chiese e nelle comunità religiose, di fede. Così tante volte che alla fine la stessa parola perde di significato. C’è un abisso tra la fede di Raab e la fede parolaia di tanti cosiddetti cristiani. Con la sua decisione e la sua azione, la vita di Raab valeva a Gerico ancor meno di quanto valesse prima: una traditrice, in particolare una prostituta traditrice. Ma ebbe fede e la dimostrò.

   “Vi prego dunque, giuratemi per il Signore, poiché vi ho trattati con bontà, che anche voi tratterete con bontà la casa di mio padre; e datemi un segno sicuro che salverete la vita a mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle e a tutto quel che appartiene a loro, e che ci preserverete dalla morte”. – Gs 2:12,13.

   Raab non solo ha fede in ciò che Dio ha fatto e può fare, ma ha fiducia in ciò che farà.

   Questa storia di Raab presenta anche un mistero: perché Raab fa la prostituta, se lei non solo ha un padre, ma anche fratelli che potrebbero e dovrebbero provvedere per lei? La Bibbia non lo spiega.

   Eppure, se si pensa alla vita di Raab, la sua fede brilla ancora più luminosa. Lei è una reietta, una prostituta. Ai margini dalla società, lei confida che Dio non la respingerà. Abbandonata dalla sua famiglia – si suppone – a una vita di prostituzione, si preoccupa dei suoi familiari e ha fiducia che il Dio degli ebrei non abbandonerà lei e loro.

   “Quegli uomini risposero: ‘Siamo pronti a dare la nostra vita per voi, se non divulgate questo nostro affare; e quando il Signore ci avrà dato il paese, noi ti tratteremo con bontà e lealtà’. Allora lei li calò giù dalla finestra con una fune; infatti la sua casa era addossata alle mura della città, e lei stava di casa sulle mura. E disse loro: ‘Andate verso il monte, affinché non v’incontrino i vostri inseguitori, e rimanetevi nascosti per tre giorni fino al ritorno di coloro che v’inseguono; poi andrete per la vostra strada’. E quegli uomini le dissero: ‘Noi saremo sciolti dal giuramento che ci hai fatto fare, se tu non osservi quello che stiamo per dirti: quando entreremo nel paese, attaccherai alla finestra per la quale ci fai scendere, questa cordicella di filo rosso; radunerai presso di te, in casa, tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre. Se qualcuno di questi uscirà in strada dalla porta di casa tua, il suo sangue ricadrà sul suo capo, e noi non ne avremo colpa; ma il sangue di chiunque sarà con te in casa ricadrà sul nostro capo, se uno gli metterà le mani addosso. Se tu divulghi questo nostro affare, saremo sciolti dal giuramento che ci hai fatto fare’. E lei disse: ‘Sia come dite!’ Poi li congedò, e quelli se ne andarono. E lei attaccò la cordicella rossa alla finestra”. – Gs 2:14-21.

   Raab aveva già espresso la sua fede: lei aveva riconosciuto il Dio d’Israele e aveva riconosciuto che Dio poteva agire nel mondo e nella sua vita. Che altro c’era da fare? Eppure, la fede da sola non è abbastanza, anche se ai protestanti piace pensare così. Costoro si riempiono la bocca di questa parola e dicono che una volta avuta fede, ciò basterebbe per sempre. Alcune chiese protestanti insegnano la giustificazione mediante la sola fede. Ciò non tiene minimamente conto degli specifici ragionamenti fatti da Giacomo. L’atteggiamento compiaciuto dal punto di vista spirituale assunto da queste chiese si riassume nella nota frase “una volta salvati, salvati per sempre”. Secondo la Scrittura la fede deve produrre azione. “Se non ha opere, è per se stessa morta”, dice Giacomo (Gc 2:17). Giacomo ci fa presente che la fede non può essere solo a parole, anche se l’emozione è sincera. Le due spie spiegano a Raab che lei deve agire: non deve tradirli e deve mettere una corda rossa alla finestra. In mancanza di ciò, la sua pretesa fede si tradurrà nella sua distruzione. Con vera fede Raab lega la corda e aspetta i risultati.

   Prima della conquista di Gerico, Giosuè, il conduttore del popolo ebraico, delibera: “La città con quanto vi è in essa sarà votata allo sterminio per il Signore; soltanto Raab, la prostituta, vivrà e chiunque è con lei nella casa, perché ha nascosto i messaggeri che noi avevamo inviati”. – Gs 6:17, CEI.

   Avere fede in certe situazioni non può mai essere facile; se lo fosse, non sarebbe fede. “La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Eb 11:1). “Siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza” (Rm 8:24,25). Camminando per fede si apre la porta allo spirito santo che può operare nella nostra vita. “Siamo dunque sempre pieni di fiducia . . . poiché camminiamo per fede e non per visione”. – 2Cor 5:6,7.

   “Giosuè disse ai due uomini che avevano esplorato il paese: ‘Andate in casa di quella prostituta, fatela uscire con tutto ciò che le appartiene, come glielo avete giurato’. E quei giovani che avevano esplorato il paese entrarono nella casa, e ne fecero uscire Raab, suo padre, sua madre, i suoi fratelli e tutto quello che le apparteneva; ne fecero uscire anche tutte le famiglie dei suoi e li sistemarono fuori dell’accampamento d’Israele. Poi i figli d’Israele diedero fuoco alla città e a tutto quello che conteneva; presero soltanto l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro, che misero nel tesoro della casa del Signore. Ma a Raab, la prostituta, alla famiglia di suo padre e a tutti i suoi Giosuè lasciò la vita; e lei ha abitato in mezzo a Israele fino ad oggi, perché aveva nascosto gli esploratori che Giosuè aveva mandato a Gerico”. – Gs 6:22-25.

   Mt 1:5 dimostra quanto riccamente Dio abbia benedetto Raab: “. . . Salmon generò Boos da Raab . . .”. Questa lista inizia con la frase: “Genealogia di Gesù Cristo” (Mt 1:1). Il cronista non aveva bisogno di includere le donne in una genealogia; in Israele non si usava. Ma l’autore ispirato include ben quattro donne, e neppure ebree. Egli v’include Tamar, Raab, Rut e Betsabea. Tutte e quattro queste donne sono unite da un fattore comune: le loro storie implicavano scandali sessuali. Tamar si finse prostituta per ottenere un figlio; Raab, naturalmente, era una prostituta; Rut dovette avvalersi della seduzione per far rispettare i suoi diritti; Betsabea fu un’adultera e per un certo tempo fu amante segreta del re Davide (si vedano le rispettive altre voci in elenco: Bat-Sceba, Rut, Tamar nuora di Giuda). Questa genealogia non è esattamente quella che ci si aspetterebbe. Non vi si fa menzione di donne del calibro di Sara, di Rebecca e di Rachele.

   Gs 6:25 getta uno sguardo sul destino di Raab con il popolo di Dio: “Lei ha abitato in mezzo a Israele fino ad oggi”. “Per fede Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, avendo accolto con benevolenza le spie”. – Eb 11:31.

Rachele (רָחֵל, Rakhèl, “pecora”)

“Ecco Rachele, sua figlia [di Labano], che viene con le pecore”. – Gn 29:6.

   “Labano aveva due figlie: la maggiore si chiamava Lea e la minore Rachele” (Gn 29:16). Oltre ad essere la figlia minore di Labano, Rachele era anche pronipote di Abraamo; suo padre Labano era fratello di Rebecca, madre di Giacobbe, quindi Rachele era anche cugina di Giacobbe (Gn 22:20-23;24:24,29;29:16). Fu la moglie prediletta di Giacobbe. – Gn 29:30.

   Giacobbe stava fuggendo per evitare che suo fratello Esaù lo uccidesse, così “Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli Orientali” presso dei parenti, “a Paddan-Aram da Labano, figlio di Betuel, l’Arameo, fratello di Rebecca, madre di Giacobbe e di Esaù” (Gn 29:1;28:5). Qui avviene l’incontro con sua cugina Rachele: “Giunse Rachele con le pecore di suo padre; perché era lei che le portava al pascolo. Quando Giacobbe vide Rachele figlia di Labano, fratello di sua madre, e le pecore di Labano, fratello di sua madre, si avvicinò, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e abbeverò il gregge di Labano, fratello di sua madre. Poi Giacobbe baciò Rachele, alzò la voce e pianse. Giacobbe fece sapere a Rachele che egli era parente del padre di lei, e che era figlio di Rebecca. Ed ella corse a dirlo a suo padre. Appena Labano ebbe udito le notizie di Giacobbe figlio di sua sorella, gli corse incontro, l’abbracciò, lo baciò, e lo condusse a casa sua. Giacobbe raccontò a Labano tutte queste cose; e Labano gli disse: ‘Tu sei proprio mie ossa e mia carne!’ Così abitò presso di lui per un mese”. – Gn 29:9-14.

   “Rachele era avvenente e di bell’aspetto” (Gn 29:17). Questo passo ci dà un’idea di come gli ebrei descrivevano una bella donna: יְפַת־תֹּאַר וִיפַת מַרְאֶה (yefàt-toàr viyfàt marèh), letteralmente: “bella di forme e bella di visione”. “Giacobbe amava [“era innamorato di”, TNM] Rachele e disse a Labano: ‘Io ti servirò sette anni, per Rachele tua figlia minore’”. – Gn 29:18.

   “Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli parvero pochi giorni, a causa del suo amore per lei” (Gn 29:20). Il giorno tanto atteso, quello delle nozze, era giunto. Labano si mostrò però un egoista approfittatore; più volte rinnegò gli accordi originali modificandoli a suo vantaggio. Così, per la prima notte di nozze, invece di Rachele mandò da Giacobbe la sua figlia maggiore Lea. Costei, va da sé, dovette essere complice. Giacobbe dovette subire la cosa e lavorare altri sette anni per Labano per potersi sposare con Rachele, la donna che amava. – Gn 29:21-28.

   Rachele divenne rivale di Lea, sua sorella maggiore. “Il Signore, vedendo che Lea era odiata, la rese feconda; ma Rachele era sterile . . . Lea concepì, partorì . . . disse: ‘Il Signore ha visto la mia afflizione’ . . . Poi concepì di nuovo e partorì un figlio, e disse: ‘Il Signore ha udito che io ero odiata, e mi ha dato anche questo figlio”. – Gn 29:31-33.

   I testi classici cassidici spiegano la rivalità delle due sorelle come gelosia coniugale. Ciascuna delle due donne desiderava crescere spiritualmente nella sua avodàt Hashem (servizio di Dio), e quindi cercarono la vicinanza di Giacobbe che aveva la benedizione di Dio. Sposando Giacobbe e avendo figli da lui avrebbero sviluppato un rapporto ancora più vicino a Dio. Per cui, Lea e Rachele volevano avere da Giacobbe ciascuna più figli possibile, tanto che arrivarono ad offrire le loro serve per raggiungere lo scopo (Gn 30:3-13). In Gn 30:14-24 è narrata la gara tra le due per avere figli da Giacobbe. Ciascuna delle due donne mette continuamente in discussione se stessa nel suo impegno personale verso una maggiore spiritualità, usando l’altra come parametro per stimolare se stessa. Rachele invidiò le preghiere in lacrime di Lea. Il Talmùd dice che Rachele rivelò a Lea il segnale segreto che lei e Giacobbe avevano ideato per identificare la sposa velata, perché entrambi sospettavano l’inganno di Labano. – Talmùd, Meghilà 13b.

   Rachele era indubbiamente gelosa della sorella, ma era anche una donna disperata. In Israele la sterilità era considerata una grande vergogna per una donna. Tramite la sua serva, Rachele ebbe due figli da Giacobbe, considerati legalmente suoi; tale pratica era legale in Israele, e così aveva fatto anche Sara con Abraamo tramite la propria schiava Agar (Gn 16:1-16). Prima che Rachele partorisse un figlio davvero suo, Lea e la sua serva avevano già dato a Giacobbe quattro figli. – Gn 30:1-24.

   Divenuta ormai insostenibile la situazione con Labano, a causa dei suoi continui raggiri, Giacobbe decise di andarsene alla chetichella, appoggiato da tutte e due le sue mogli. – Gn 31:3-18.

   “Rachele rubò gli idoli di suo padre. Giacobbe ingannò Labano l’Arameo, perché non gli disse che stava per fuggire. Così se ne fuggì, con tutto quello che aveva; si levò, passò il fiume e si diresse verso il monte di Galaad” (Gn 31:19-21). Questi “idoli” sono detti תְּרָפִים (terafìm) nel testo ebraico; venivano anche consultati per trarne dei presagi (Ez 21:21; Zac 10:2). Labano si mise all’inseguimento e, raggiunto Giacobbe, mostrò quale fosse la sua vera preoccupazione: “Perché hai rubato i miei dèi [אֱלֹהָי (elohè)]?” (Gn 31:30). Perché questi terafìm erano così importanti? La risposta ci viene da una tavoletta cuneiforme tra le 5.000 (contenenti testi legali e commerciali) trovate a Nuzu, in Mesopotamia; questa tavoletta dice che il possesso di questi dèi familiari (terafìm) dava il diritto ad un uomo di pretendere l’eredità dal suocero (cfr. J. B. Pritchard, Ancient Near Eastern Texts, James Bennet Pritchard Editor, 1974, pagg. 219, 220, e nota n. 51). Giacobbe non sapeva che Rachele aveva preso i terafìm, tanto che promise di mettere a morte il colpevole se si fosse trovato presso di lui (Gn 31:32). “Labano dunque entrò nella tenda di Giacobbe, nella tenda di Lea e nella tenda delle due serve, ma non trovò nulla. Uscito dalla tenda di Lea, entrò nella tenda di Rachele. Ora Rachele aveva preso gli idoli, li aveva messi nella sella del cammello e si era seduta sopra quelli. Labano frugò tutta la tenda e non trovò nulla. Lei disse a suo padre: ‘Il mio signore non si adiri se io non posso alzarmi davanti a te, perché ho le solite ricorrenze delle donne’. Egli cercò, ma non trovò gli idoli” (Gn 31:33-35). Qui si nota tutta la scaltrezza femminile di Rachele.

   Lo scornato Labano, cercò comunque – come sempre – di trarre vantaggio dall’ostilità manifestata da Giacobbe per la situazione (Gn 31:36-42) e ottenne un accordo di pace. – Gn 31:43-45.

   Tornando verso casa, Giacobbe doveva ora affrontare l’odio di suo fratello Esaù. “Giacobbe alzò gli occhi, guardò, ed ecco Esaù che veniva avendo con sé quattrocento uomini. Allora divise i figli tra Lea, Rachele e le due serve. Mise davanti le serve e i loro figli, poi Lea e i suoi due figli, e infine Rachele” (Gn 33:1,2). “E dietro a loro Rachele” (TNM): non si tratta di poca considerazione per Rachele, anzi. Mettendola dietro tutti gli altri intendeva difenderla da un eventuale attacco di Esaù. Giacobbe l’amava davvero e la preferiva. Tutto però andò bene. – Gn 33:4.

   “C’era ancora qualche distanza per arrivare a Efrata, quando Rachele partorì. Ella ebbe un parto difficile. Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: ‘Non temere, perché questo è un altro figlio per te’. Mentre l’anima sua se ne andava, perché stava morendo, chiamò il bimbo Ben-Oni; ma il padre lo chiamò Beniamino. Rachele dunque morì e fu sepolta sulla via di Efrata, cioè di Betlemme. Giacobbe eresse una pietra commemorativa sulla tomba di lei. Questa pietra commemorativa della tomba di Rachele esiste tuttora”. – Gn 35:16-20.

   La Bibbia ci lascia un quadro di questa donna. Donna credente (Gn 30:22-24), soffrì la disperazione di non poter aver figli per molto tempo; conobbe l’esperienza amara della gelosia e della rivalità femminile, fu però amata da suo marito fino alla sua vecchiaia; poco prima di morire, Giacobbe ancora pensava a lei con tenerezza, dicendo al loro figlio Giuseppe: “Ricordati di tua madre Rachele” (Gn 48:7, PdS); sono piene di nostalgia le sue parole: “Mentre tornavo da Paddan, Rachele mi morì nel paese di Canaan, durante il viaggio” (Gn 48:7). Donna sveglia e intelligente, agì per il bene di suo marito, come anche dimostra il suo furto dei terafìm. Prima di considerarla una cattiva azione, si deve però considerare il contesto familiare: suo padre era davvero un approfittatore. In un momento di solidarietà femminile, quando stanno per fuggire dalla casa paterna con Giacobbe, lei e sua sorella dicono del loro padre: “Non ci ha forse trattate da straniere, quando ci ha vendute e ha per di più divorato il nostro denaro? Tutte le ricchezze che Dio ha tolte a nostro padre, sono nostre e dei nostri figli” (Gn 31:15,16). Rachele può aver pensato che suo marito avesse diritto a parte dell’eredità, considerato quanto aveva sgobbato per suo padre, ben quattordici anni solo per poterla sposare; d’altra parte, il possesso dei terafìm poteva essere una testimonianza legale che Giacobbe aveva accumulato dei beni, impedendo così al padre di reclamarne una parte, cosa non da escludere considerando la sua meschinità.

   “Giacobbe eresse una pietra commemorativa sulla tomba di lei. Questa pietra commemorativa della tomba di Rachele esiste tuttora” (Gn 35:20). La tomba di questa donna non solo esisteva ancora ai tempi dello scrittore di Genesi, ma esisteva ancora più di mezzo millennio dopo, ai tempi di Samuele: “La tomba di Rachele, ai confini di Beniamino, a Selsa” (1Sam 10:2). In verità, esiste tuttora. Poco fuori da Betlemme, in zona di guerra, è uno dei luoghi più venerati dagli ortodossi ebrei in Cisgiordania: al tempo stesso, è sacra anche ai musulmani.

   Il nome di Rachele riecheggia in una sezione poetica, in Ger 31:15-17:

 

“Così parla il Signore:

‘Si è udita una voce a Rama,

un lamento, un pianto amaro;

Rachele piange i suoi figli;

lei rifiuta di essere consolata dei suoi figli,

perché non sono più’.

Così parla il Signore:

‘Trattieni la tua voce dal piangere,

i tuoi occhi dal versare lacrime;

poiché l’opera tua sarà ricompensata’, dice il Signore;

‘essi ritorneranno dal paese del nemico;

c’è speranza per il tuo avvenire’, dice il Signore;

‘i tuoi figli ritorneranno entro le loro frontiere’”.

   In questa profezia Dio promette il rientro in èretz Israèl, la terra di Israele, dei discendenti ebrei. Rachele è presa a simbolo del pianto ebraico. “I tuoi figli ritorneranno entro le loro frontiere”, promette Dio. A chi si riferisce? Rachele fu la madre naturale di Giuseppe (Gn 30:23,24) e di Beniamino (Gn 35:18). Questi due capostipiti d’Israele hanno a che fare con i due regni divisi dopo la morte di Salomone. Efraim era il primogenito di Giuseppe (Gn 41:51) e finì col rappresentare il Regno del Nord (di cui era la tribù più importante), la cui popolazione fu portata in elisio in Assiria (2Re 17:1-6;18:9-11) e da lì fu dispersa nel mondo (tribù perdute della Casa di’Israele). Beniamino finì col rappresentare invece il Regno del Sud o Regno di Giuda, di cui faceva parte. Rachele, come antenata di tutta Israele, poteva rappresentare così la madre del popolo di Dio che piange i suoi figli. “L’opera tua sarà ricompensata”, le garantisce Dio consolandola: non aveva generato figli invano.

   Il nome di Rachele riecheggia anche in Mt 2:16-18 a proposito della strage infanticida attuata da Erode: “Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”. Ciò avveniva a Betlemme, e la tomba di Rachele era nei pressi. Più che appropriato riferirsi al suo pianto.

   L’eco più bella della voce di Rachele, anche se non così esplicita per il lettore della Bibbia, si trova nelle parole, che tradiscono l’amore materno, che Dio rivolge al suo popolo, rappresentato dalla tribù di Efraim (la più importante del Regno del Nord) e dalla tribù di Giuda (la più importante del Regno del Sud): “Efraim e Giuda, che dovrò fare per voi?” (Os 6:4, PdS). C’è qui l’esasperazione di una madre che di fronte al figlio incorreggibile, non dimentica che è frutto del suo ventre e si arrende: Che mai devo fare con te?

Ragazza (נַעֲרָה, naaràh, “ragazza”)

“Alcune bande di Siri, in una delle loro incursioni, avevano portato prigioniera dal paese d’Israele una ragazza che era passata al servizio della moglie di Naaman”. – 2Re 5:2.

   La parola ebraica נַעֲרָה (naaràh) indica una giovane donna da poco sposata (Gdc 19:3) o anche una giovane vedova (Rut 2:6). In Pr 9:3 indica una serva. È con questo senso di serva che appare la ragazza di 2Re 5:2. Il termine “ragazzina” usato qui da TNM è indubbiamente appropriato, giacché le ragazze in età da marito erano in Israele molto giovani, ragazzine, appunto.

   Questa giovanissima donna appare come persona di fede. Fatta prigioniera dai siri e messa al servizio della moglie del generale siro, ebbe un ruolo decisivo nella guarigione di questo importante uomo che “era lebbroso” (2Re 5:1). “La ragazza disse alla sua padrona: ‘Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che sta a Samaria! Egli lo libererebbe dalla sua lebbra!”. – V. 3.

   “Naaman dunque venne con i suoi cavalli e i suoi carri, e si fermò alla porta della casa di Eliseo [il profeta indicato dalla ragazza]. Ed Eliseo gli inviò un messaggero a dirgli: ‘Va’, làvati sette volte nel Giordano; la tua carne tornerà sana, e tu sarai puro’. Ma Naaman si adirò e se ne andò, dicendo: ‘Ecco, io pensavo: egli uscirà senza dubbio incontro a me, si fermerà là, invocherà il nome del Signore, del suo Dio, agiterà la mano sulla parte malata, e guarirà il lebbroso. I fiumi di Damasco, l’Abana e il Parpar, non sono forse migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei lavarmi in quelli ed essere guarito?’ E, voltatosi, se n’andava infuriato. Ma i suoi servitori si avvicinarono a lui e gli dissero: ‘Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l’avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha detto: Làvati, e sarai guarito? Allora egli scese e si tuffò sette volte nel Giordano, secondo la parola dell’uomo di Dio; e la sua carne tornò come la carne di un bambino; egli era guarito”. – 2Re 5:9-14.

Ragazze (נְעָרֹות, nearòt, “ragazze”)

“Mentre percorrevano la salita che conduce alla città, trovarono delle ragazze che uscivano ad attingere acqua e chiesero loro: ‘È qui il veggente?’ Quelle risposero: ‘Sì, c’è; è là dove sei diretto; ma va’ presto, poiché è venuto oggi in città, dato che oggi il popolo fa un sacrificio sull’alto luogo. Quando sarete entrati in città, lo troverete di certo, prima che egli salga all’alto luogo a mangiare. Il popolo non mangerà prima che egli sia giunto, perché è lui che deve benedire il sacrificio; dopo di che, i convitati mangeranno. Salite dunque, perché proprio ora lo troverete’”. – 1Sam 9:11-13.

   Saul era un ragazzo e cercava di Samuele affinché gli dicesse come ritrovare le asine di suo padre, perché “le asine di Chis, padre di Saul, si erano smarrite” (1Sam 9:3). Chis aveva detto a suo figlio Saul: “Prendi con te uno dei servi, e va’ in cerca delle asine” (1Sam 9:4). “Non le trovarono. Quando giunsero nel paese di Suf, Saul disse al servo che era con lui: ‘Vieni, torniamo indietro, altrimenti mio padre smetterà di pensare alle asine e comincerà a preoccuparsi per noi’ Il servo gli disse: ‘Ecco, in questa città c’è un uomo di Dio, che è tenuto in grande onore; tutto quello che dice succede sicuramente; andiamoci; forse ci indicherà la via che dobbiamo seguire’”. – 1Sam 9:4-6.

   Trovarono così delle ragazze cui domandare dove si trovava Samuele. Certe religioni insegnano che le donne dovrebbero sempre rispondere agli uomini in modo sottomesso, così da non offendere, poverini, la loro virilità. A confutare questa baggianata abbiamo l’esempio si queste ragazze. Saul aveva posto una domanda, e loro risposero in modo molto diretto: “Ma va’ presto . . . Salite dunque”.  Gli incontri casuali con ragazze e donne adulte da parte uomini avvenivano con gran flessibilità più in Palestina che in Grecia. Nota interessante, c’è qui un notevole aspetto di psicologia femminile: Saul era un bell’uomo (1Sam 9:1,2) e le ragazze, nel rispondergli premurosamente, intanto lo trattengono con lunghe spiegazioni.

Rebecca (רִבְקָה, Rivqàh, “colei che avvince con la bellezza”)

“Betuel generò Rebecca”. – Gn 22:23.

   Questa di Gn 22:23 è la prima menzione di Rebecca nella Bibbia. Come per molte genealogie, ciò potrebbe apparire casuale o irrilevante; invece, ci fornisce un’informazione importante: Rebecca fa parte della linea di discendenza che porta a Yeshùa. Lei è legata ad Abraamo tramite il suo matrimonio con Isacco, figlio di Abraamo.

   La scenografia diGn 24 vede il servo di Abraamo inviato a cercare una moglie per Isacco. – Gn 24:1-14.

   “Isacco era uscito, sul far della sera, per meditare nella campagna; e, alzando gli occhi, guardò, e vide venire dei cammelli. Anche Rebecca alzò gli occhi, vide Isacco, saltò giù dal cammello, e disse al servo: ‘Chi è quell’uomo che viene per la campagna incontro a noi?’ Il servo rispose: ‘È il mio signore’. Ed ella, preso il velo, si coprì. Il servo raccontò a Isacco tutto quello che aveva fatto. E Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, la prese, ed ella divenne sua moglie, ed egli l’amò. Così Isacco fu consolato dopo la morte di sua madre”. – Gn 24:63-67.

   Come sua suocera Sara, Rebecca era sterile. Dopo le suppliche di Isacco a Dio, lei partorì due gemelli, Esaù e Giacobbe, e Dio le promise che sarebbe divenuta madre di due grandi nazioni (Gn 25:20-26). “Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand’ebbe concepito figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre; poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: ‘Il maggiore servirà il minore’ . . . Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! . . . Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia”. – Rm 9:10-16, passim.

   Quando Rebecca morì, fu sepolta nella tomba di famiglia, con Abraamo e Sara, dove poi sarebbero stati sepolti anche Isacco, Lea e Giacobbe. – Gn 49:29-31;50:13.

Regina – definizione (ebraico: מַּלְכָּה, malkàh; שֵׁגַל, shegàl; greco: βασίλισσα, basìlissa; “regina”)

“Nella Bibbia non si fa menzione esplicita delle regine prima che compaia “la regina di Seba” (1Re 10:1). Lei è detta מַּלְכָּה (malkàh), “regina”. Il fatto che questa regina fosse straniera ci mette sull’avviso. Infatti, le mogli dei re d’Israele non erano chiamate con questo nome. Quando in Sl 45:9 (v. 10 nel Testo Masoretico) si legge: “Alla tua destra sta la regina” – alla destra del re d’Israele -, la parola per “regina” non è מַּלְכָּה (malkàh), ma שֵׁגַל (shegàl).

   In 1Re 11:19 si cita la “regina Tacpenes”. Anziché “regina”, TNM ha qui “signora”. Tutte e due le traduzioni sono errate. L’ebraico ha גְּבִירָה (gheviràh), che a prima vista potrebbe apparire un titolo onorifico; ma non si capirebbe come una vera regina potrebbe essere tale honoris causa: se è regina, è regina. La prima volta che nella Bibbia compare questo termine è riferito a Sarai, che la sua schiava Agar chiama “padrona” (Gn 16:4,8,9). La volta successiva, questo nome compare in 1Re 11:19 applicato alla “regina Tacpenes”. Il termine compare poi in 1Re 15:13 in cui si parla di Maaca, “regina” (“signora” per TNM); stessa cosa nel passo parallelo di 2Cron 15:16. In 2Re 5:3 riappare il senso di “padrona”, applicato da una ragazzina ebrea schiava alla moglie del generale siro Naaman. La parola גְּבִירָה (gheviràh) la troviamo poi in 2Re 10:13 quando si parla dei “figli del re [Acazia, re di Giuda] e i figli della regina [“signora” in TNM]”. Poi, in Is 24:2, la gheviràh è di nuovo “padrona” (VR) o “signora” (TNM). Cosa interessante, in Is 47:5,7 i termini appena così tradotti s’invertono e le due versioni se li scambiano: “padrona” per TNM e “signora” per VR; qui si parla di Babilonia, “la signora dei regni” (VR), “Padrona dei regni” (TNM; il maiuscolo è di TNM). “Dite al re e alla signora” di TNM diventa “Di’ al re e alla regina” di NR in Ger 13:18; l’ebraico continua ad avere גְּבִירָה (gheviràh). In Ger 29:2 si continua ad avere “regina” (VR) e “signora” (TNM) come traduzione di gheviràh. Sl 123:2 e Pr 30:23 mettono d’accordo VR e TNM che traducono tutte e due “padrona”.

   Abbiamo esaminato tutti i passi biblici in cui compare la parola גְּבִירָה (gheviràh). E abbiamo visto come le traduzioni la rendano, secondo i casi, “regina” o “signora” o “padrona”. Ora, ci sembra che “regina” non vada bene: adatta per vere regine, questa parola è inadatta per Sara e per la moglie del generale siro. D’altra parte, “padrona” va bene per Sara e per la moglie del generale ma non del tutto per le regine. In quanto alla parola “signora”, sembra adatta per una padrona ma debole per una regina. Come rendere allora la parola ebraica גְּבִירָה (gheviràh)? In italiano una parola adatta c’è, ed è “sovrana”. La definizione che ne dà il dizionario italiano non è univoca: può indicare, nell’ordine d’importanza: 1. Chi sta sopra, più in alto; 2. Chi è superiore a tutti quelli di cui si parla nel contesto; 3. Chi ha potere e dignità sue proprie; 4. Chi è a capo di una monarchia. A ben vedere, “sovrana” si adatta bene a tutte le figure menzionate più sopra. In particolare, quando si applica ad una vera regina, la parola גְּבִירָה (gheviràh) designa la regina madre.

   Nelle Scritture Greche la parola βασίλισσα (basìlissa) è applicata solo ad una regina. In Mt 12:42 e in Lc 11:31 si parla della “regina del mezzogiorno”, che è poi la regina di Seba di 1Re 10:1, “regina” מַּלְכָּה (malkàh). E in At 8:27 si parla di “Candace, regina di Etiopia”. A parte questi, c’è solo un altro passo delle Scritture Greche in cui la parola βασίλισσα (basìlissa) viene usata, ed in in Ap o Riv 18:7, dove Babilonia la grande dice: “Io sono regina”.

   Per quanto riguarda l’espressione “regina del cielo” (in cui si usa la parola מַּלְכָּה, malkàh), si veda la voce Regina del cielo.

Le regine menzionate nella Bibbia (si vedano le rispettive voci) sono:

1.             Regina di Seba.

2.             Candace.

3.             Abigail.

4.             Azuba, madre del re Giosafat.

5.             Bat-Sceba (Betsabea).

6.             Ester.

7.             Iecolia.

8.             Ioaddan.

9.             Izebel.

10.          Micaia.

11.          Neusta.

12.          Vasti.

13.          Sibia.

Regina del cielo (מְלֶכֶת הַשָּׁמַיִם, nelèchet hashamàym, “regina dei cieli”)

 “Le donne impastano la farina per fare delle focacce alla regina del cielo e per fare libazioni ad altri dèi, per offendermi”. – Ger 7:18.

   Si fa qui riferimento ad una divinità pagana adorata in Israele in dispregio ai primi due comandamenti: “Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire” (Es 20:3-5). Tutta la famiglia era coinvolta in quest’adorazione pagana: “I figli raccolgono legna, i padri accendono il fuoco, le donne impastano la farina” (Ibidem). Gli ebrei furono talmente coinvolti in questa religione idolatrica, che rifiutarono decisamente la parola di Dio, arrivando al punto di sentirsi colpevoli di qualche mancanza verso quell’inesistente divinità quando ebbero delle difficoltà: “Quanto alla parola che ci hai detta nel nome del Signore, noi non ti ubbidiremo, ma vogliamo mettere interamente in pratica tutto quello che la nostra bocca ha espresso: offrire profumi alla regina del cielo, farle delle libazioni, come già abbiamo fatto noi, i nostri padri, i nostri re, i nostri capi, nelle città di Giuda e per le vie di Gerusalemme; allora avevamo abbondanza di pane, stavamo bene e non vedevamo nessuna calamità; ma da quando abbiamo smesso di offrire profumi alla regina del cielo e di farle delle libazioni, abbiamo avuto mancanza di ogni cosa; siamo stati consumati dalla spada e dalla fame”. – Ger 44:16-18.

   Il profeta Geremia cercò di raddrizzare il loro errato modo di ragionare, affermando che era avvenuto esattamente il contrario: era stato il loro rivolgersi alla Regina dei Cieli rinnegando Dio che aveva causato loro difficoltà. – Ger 44:20-30.

   Chi era mai questa falsa divinità, questa Regina dei Cieli? Potrebbe trattarsi della dea assira della fertilità, Ishtar, il cui nome non appare nella Bibbia. Ishtar era contemporaneamente dea benefica (amore, pietà, vegetazione, maternità) e demone terrificante (guerra e tempeste). A lei era dedicata una delle otto porte di Babilonia. Era collegata alla luna, il potere ricettivo della natura. Per gli assiri era Ishtar, per i sumeri Inanna (Anunita o Anunitu), conosciuta anche come Astarot, la Regina della Notte. La sumerica Inanna era similmente la dea della feconda madre terra, divinità anche del cielo. I suoi nomi alternativi sumerici comprendevano anche Innin, Ennin, Ninnin, Ninni, Ninanna, Ninnar, Innina, Ennina, Irnina, Innini, Nana e Nin; la loro derivazione è da “ana del cielo”, significando proprio “Regina del Cielo”. Alla divinità babilonese Ishtar, la corrispondente della sumerica Inanna, i testi accadici attribuiscono il titolo di “Regina dei Cieli”. Si noti poi che questa era la dea della terra feconda e della guerra. Quegli ebrei idolatri si lamentavano proprio di queste disgrazie per aver trascurato il culto della Regina del Cielo: “Abbiamo avuto mancanza di ogni cosa; siamo stati consumati dalla spada e dalla fame”. – Ger 44:18.

   Ishtar/Inanna era la principale divinità femminile del pantheon babilonese e assiro, e il suo culto si estese dai paesi mesopotamici a quelli circonvicini.

   Il culto di Ishtar si diffuse anche in Egitto; in una delle tavolette di Tell el-Amarna, Tushratta – scrivendo ad Amenofi III – cita “Ishtar, padrona del cielo”; un’iscrizione del regnante egizio Horemheb cita “Astarte [= Ishtar] signora del cielo”; su un pezzo di stele scoperto a Menfi è raffigurata Astarte, e l’iscrizione recita: “Astarte, signora del cielo”; A Siene (in arabo Aswan, l’attuale Assuan, menzionata in Ez 29:10;30:6), Astarte era soprannominata “la regina dei cieli”. Epifanio (nato in Palestina verso l’anno 310 e vissuto anche in Egitto) menziona la “regina dei cieli” e cita Ger 7:18;44:25. – Epifanio, Panarion 79, 8, 1, 2: cfr. Karl Holl, Epiphanius Vol. 3, pagg. 476, 482, 483,Lipsia, 1933.

   Nel sincretismo religioso la figura diIshtar si trova connessa con molte altre divinità del Medio Oriente, come Anath, Anutit, Aruru, Asdar, Asherat, Astarte, Ashtoreth, Athtar, Belit, Inanna, Innimi, Kiliti, Mash, Meni, Nana, Ninhursag, Ninlil e Nintud. Da questo fatto deriva anche la grande quantità di simboli diversi associati alla dea. In origine era una dea madre.

   Oggi, traccia di questo culto pagano rimane della venerazione della “Madonna”, chiamata “Regina del Cielo”, in latino Regina Coeli.

Regina di Seba (מַלְכַּת־שְׁבָא, malkàt-Shvà, “regina di Seba”)

“La regina di Seba udì la fama che circondava Salomone a motivo del nome del Signore, e venne a metterlo alla prova con degli enigmi”. – 1Re 10:1.

   Questa regina aveva sentito parlare di Salomone e della saggezza che Dio gli aveva data. Andò da lui in cerca di conoscenza e di risposte alle domande difficili. “Lei giunse a Gerusalemme con un numerosissimo sèguito, con cammelli carichi di aromi, d’oro in gran quantità, e di pietre preziose. Andò da Salomone e gli disse tutto quello che aveva nel suo cuore”. – 1Re 10:2.

   Questa era una donna forte e manifestò il suo potere esibendo le sue ricchezze. Nei tempi antichi ciò giocava un ruolo importante in politica. Tanto più l’opulenza regale era esibita, tanto più il potere del sovrano veniva percepito. Eppure, questa regina aveva più che la ricchezza da offrire. Lei era capace di tenere una conversazione intelligente con uno degli uomini più saggi della storia.

   “Salomone rispose a tutte le domande della regina, e non ci fu nulla che fosse oscuro per il re e che egli non sapesse spiegare” (1Re 10:3). Salomone condivise la sua sapienza con lei. Rispose alle domande sulle cose più nascoste. NR non rende bene nella sua traduzione ciò che il testo biblico dice. TNM vi si avvicina ma non coglie il punto: “Non ci fu questione nascosta al re che egli non le dichiarasse” (TNM); la Bibbia non dice “nascosta al re”, ma “dal re” (מִנ־הַמֶּלֶךְ, min hamèlech). Si potrebbe pensare alle grandi questioni della vita. Nell’indagine dell’animo umano le donne sono più perspicaci.

   Molte volte agli uomini non piacciono le donne troppo intelligenti. Un uomo che però è consapevole di ciò che Dio dà alle persone, sa apprezzare ciò che Dio ha dato ad altri. Non tutti hanno gli stessi talenti, è come “un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità” (Mt 25:14,15). Come Salomone, quando siamo sicuri dei nostri doni, ci sentiamo di condividerli con piacere. Ci sono diversi uomini credenti che sanno apprezzare il meraviglioso dono dell’intelligenza e delle capacità particolari delle donne; anche noi abbiamo bisogno di dar credito alle donne e non di far finta di niente.

   “La regina di Seba vide tutta la saggezza di Salomone e la casa che egli aveva costruita, i cibi della sua mensa, gli alloggi dei suoi servitori, l’organizzazione dei suoi ufficiali e le loro uniformi, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nella casa del Signore. Rimase senza fiato”. – 1Re 10:4,5.

   L’espressione “rimase senza fiato” traduce l’ebraico לֹא־הָיָה בָהּ עֹוד רוּחַ (lo-hayàh vah od rùach), “non fu in lei più spirito”. La רוּחַ (rùach), tradotto spesso “spirito” è prima di tutto il vento, l’aria e, di conseguenza, il respiro. Questo significato deriva dall’uso iniziale della parola rùach come movimento d’aria. L’aria è ciò che respiriamo. Quindi, quando si dice che nella regina di Seba “non ci fu più rùach”, s’intende dire che le mancò l’aria, ovvero non riuscì più a respirare per lo stupore.

   “[La regina] disse al re: ‘Quello che avevo sentito dire nel mio paese della tua situazione e della tua saggezza era dunque vero. Ma non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa e non ho visto con i miei occhi. Ebbene, non me n’era stata riferita neppure la metà! La tua saggezza e la tua prosperità sorpassano la fama che me n’era giunta! Beata la tua gente, beati questi tuoi servitori che stanno sempre davanti a te, e ascoltano la tua saggezza! Sia benedetto il Signore, il tuo Dio, il quale ti ha gradito, mettendoti sul trono d’Israele! Il Signore ti ha fatto re, per amministrare il diritto e la giustizia, perché egli nutre per Israele un amore eterno’. Poi lei diede al re centoventi talenti d’oro, una grandissima quantità di aromi e delle pietre preziose. Non furono mai più portati tanti aromi quanti ne diede la regina di Seba al re Salomone”. (1Re 10:6-10). Gli “aromi” sono spezie (semi, frutti, radici, cortecce o sostanze vegetali). La parola ebraica del testo è בְשָׂמִים (vesamìm). In Cant 8:14 si parla di “monti degli aromi [בְשָׂמִים (vesamìm)]”, intendendo i monti coperti dalla balsamina, una pianta con proprietà antibatteriche. Niente a che fare con l’“olio di balsamo” di TNM. D’altra parte, la stessa TNM, pur traducendo in 2Cron 16:14 (in cui compare בְשָׂמִים, vesamìm) “olio di balsamo”, nella nota in calce spiega che il rogo funebre di cui lì si parla era in effetti “un rogo di spezie”. La parola בְשָׂמִים (vesamìm) finì col significare “spezie” in genere.

   Le spezie erano dei veri e propri tesori nei tempi antichi: venivano usate come conservanti, non solo come additivi per dare sapore ad un alimento.

   “Tutto quello che la regina di Seba desiderò e chiese, il re Salomone glielo diede, oltre a quello che egli le donò con la sua munificenza sovrana. Poi lei si rimise in cammino, e con i suoi servitori tornò al suo paese”. – 1Re 10:13.

   La storia si ripete in 2Cron 9:1-12.

   Yeshùa fece riferimento alla regina di Seba in Mt 12:42: “La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone!”. Yeshùa onorò questa donna per il suo desiderio di saggezza. Scribi e farisei non riuscirono a vedere la sapienza che colui che era più grande di Salomone offriva. La regina di Seba, però, aveva fatto un grande sforzo e sopportato grande fatica – “perché ella venne dalle estremità della terra” – per cercare la saggezza. Eppure fu solo la saggezza di un uomo, sebbene tra i comuni mortali ‘nessuno è stato simile a lui nel passato, e nessuno sarà simile a lui in futuro’. Ma Yeshùa era “più che Salomone!”

Reuma (רְאוּמָה, Reumàh, “sublime”)

“La concubina di lui [di Naor, fratello di Abraamo], che si chiamava Reuma, partorì anch’essa Teba, Gaam, Taas e Maaca”. – Gn 22:24.

   Reuma fu una concubina di Naor, ma non faceva parte della stirpe promessa al pari di Milca, moglie di Naor (Gn 11:27, 29), che ebbe tra i suoi figli Betuel, che diventò padre di Rebecca. – Gn 22:20-23;24:15,24,47.

Rispa (רִצְפָּה, Ritspàh, “tizzone ardente”)

“Durante la guerra trala casa di Saul e la casa di Davide, Abner acquistava autorità nella casa di Saul. Saul aveva avuto una concubina di nome Rispa, figlia di Aia; e Is-Boset disse ad Abner: ‘Perché sei andato dalla concubina di mio padre?’ Abner si adirò moltissimo per le parole di Is-Boset, e rispose: ‘Sono forse una testa di cane di quelli di Giuda? Finora ho dato prova di lealtà verso la casa di Saul tuo padre, verso i suoi fratelli e i suoi amici, non ti ho dato nelle mani di Davide, e proprio oggi tu mi rimproveri lo sbaglio commesso con questa donna! Dio tratti Abner con il massimo rigore, se non faccio per Davide tutto quello che il Signore gli ha promesso con giuramento, trasferendo il regno della casa di Saul alla sua, stabilendo il trono di Davide sopra Israele e sopra Giuda, da Dan, fino a Beer-Sceba’. Is-Boset non poté replicare ad Abner, perché aveva paura di lui”. – 2Sam 3:6-11.

   Rispa, concubina del re Saul (ormai morto), diventa il centro d’intrighi politici. Is-Boset (il minore dei quattro figli di Saul e suo successore al trono) accusa falsamente Abner, zio di Saul e comandante del suo esercito. Il re Abner si adira. Rispa ha qualcosa a che fare con Abner? La Bibbia non lo dice. Sappiamo che avere rapporti sessuali con una donna del re implicava il tentare di prendere la sua autorità. In sostanza, Is-Boset accusa Abner di cercare di assumere il regno di Saul, quando lui si prende la concubina di Saul. Abner, pur non smentendo la sua relazione con la concubina, riafferma la sua lealtà.

   Nei prossimi passi biblici scopriremo che Rispa era una donna forte e coraggiosa. Sicuramente avrebbe potuto attirare l’attenzione di Abner.

   “Il re [Davide] prese i due figli che Rispa, figlia di Aia, aveva partoriti a Saul, Armoni e Mefiboset, e i cinque figli che Merab, figlia di Saul, aveva partoriti ad Adriel di Meola, figlio di Barzillai, e li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono assieme; furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si iniziava a mietere l’orzo. Rispa, figlia di Aia, prese un cilicio, lo stese sulla roccia e stette là dal principio della mietitura fino a che l’acqua non cadde dal cielo sui cadaveri; lei impedì agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di avvicinarsi di notte. Fu riferito a Davide quello che Rispa, figlia di Aia, concubina di Saul, aveva fatto. Davide andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Gionatan suo figlio presso gli abitanti di Iabes di Galaad, i quali le avevano portate via dalla piazza di Bet-San, dove i Filistei avevano appeso i cadaveri quando avevano sconfitto Saul sul Ghilboa. Egli riportò di là le ossa di Saul e quelle di Gionatan suo figlio; e anche le ossa di quelli che erano stati impiccati furono raccolte”. – 2Sam 21:8-13.

   Davide consegna i figli di Rispa e di Saul e i figli di Merab, figlia del defunto Saul, nelle mani del gabaoniti. I gabaoniti li impiccano e poi ne abbandonano i cadaveri agli elementi della natura. Rispa coraggiosamente impedisce l’ulteriore profanazione dei corpi. Giorno per giorno, notte dopo notte se ne sta accanto agli uomini della sua famiglia, respingendo gli uccelli predatori e gli animali affamati. La sua azione smuove Davide, che recupera i corpi sia di Saul che di Gionatan, oltre a quelli esposti, per inumarli in modo onorevole. Nei tempi moderni, con le nostre riguardose usanze funebri, abbiamo difficoltà a capire esattamente ciò che questa donna ha fatto. In primo luogo, ha lasciato tutti i suoi altri compiti a casa. Spesso i maschilisti insistono che la prima responsabilità delle donne è a casa, ma Rispa reputò che un atto di grande riguardo avesse la priorità. Poi lei prese un sacco e lo usò come una coperta su cui sedersi. Così iniziò la sua veglia a guardia dei corpi in putrefazione. Sappiamo che la durata della sua veglia andò dalla stagione del raccolto alla stagione delle piogge. Possiamo immaginarla quando arrivò e quando vide i corpi impalati dei propri figli? Possiamo immaginare quando lei rimase lì giorno dopo giorno, mese dopo mese, con quei corpi in decadimento? Lasciare i corpi all’aperto, in balia degli elementi, era stato un insulto voluto, ma la madre fece in modo di prevenire l’insulto finale, quello che i corpi dei suoi cari divenissero carogne. Davide, quando seppe la cosa, fece seppellire i cadaveri, sollevando Rispa dal doverli vegliare.

Rode (Ῥόδη, Ròde, “rosa”)

“Pietro dunque, consapevole della situazione, andò a casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove molti fratelli erano riuniti in preghiera. Dopo aver bussato alla porta d’ingresso, una serva di nome Rode si avvicinò per sentire chi era e, riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse dentro ad annunciare che Pietro stava davanti alla porta. Quelli le dissero: ‘Tu sei pazza!’ Ma ella insisteva che la cosa stava così. Ed essi dicevano: ‘È il suo angelo’. Pietro intanto continuava a bussare e, quand’ebbero aperto, lo videro e rimasero stupiti. Ma egli, con la mano, fece loro cenno di tacere e raccontò in che modo il Signore lo aveva fatto uscire dal carcere. Poi disse: ‘Fate sapere queste cose a Giacomo e ai fratelli’. Quindi uscì e se ne andò in un altro luogo”. – At 12:12-17.

   Questa donna, Rode, probabilmente era tra coloro che pregarono intensamente per la liberazione di Pietro (At 12:5) dopo che questi fu arrestato (At 12:3). Lei era una serva, evidentemente credente. Per la gioia di rivedere Pietro, libero, fu talmente emozionata che corse a comunicarne notizia dimenticandosi di aprirgli la porta. “Pietro intanto continuava a bussare”!

Ruama (רֻחָמָה, rukhamàh, “compianta”)

“Dite ai vostri fratelli: ‘Ammi!’ e alle vostre sorelle: ‘Ruama!’”. – Os 2:1; nel Testo Masoretico è in 1:3.

   Alla voce Lo-Ruama si spiega come Dio ordinasse ad Osea di sposare Gomer (si veda la voce Gomer), un’adultera, e come imponesse alla figlia adulterina di lei il nome il nome di Lo-Ruama (Os 1:6), “non compiangere”, per simboleggiare il rigetto divino di Israele come popolo (Os 1:6-8). S’intende qui, per Israele, il Regno di Israele o Regno del Nord. In Os 2:13 è riportata la decisione di Dio: “La punirò”. Poi, al v. 14, Dio dice: “’Io l’attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Quel giorno avverrà’, dice il Signore, ‘che tu mi chiamerai: Marito mio! . . . Io ti fidanzerò a me per l’eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore’”. – Os 2:16-20, passim.

   Ecco allora spiegato l’annuncio di dire “Ruama!”, “Compianta!”. “Avrò compassione di Lo-Ruama; e dirò a Lo-Ammi [= “non popolo”]: Tu sei mio popolo! ed egli mi risponderà: ‘Mio Dio!’”. – Os 2:23.

   Pietro, parlando ai pagani convertiti a Yeshùa (1Pt 1:1), richiamando la profezia di Os, dice: “Voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia”. – 1Pt 2:10

Rut (רוּת, Rut, “amica”)

“Questi sposarono delle moabite, delle quali una si chiamava Orpa, e l’altra Rut; e abitarono là per circa dieci anni”. – Rut 1:4.

   Rut era la moglie, poi vedova, di Malon, figlio di Naomi. Rut viveva in Moab, dove gli ebrei Elimelec e sua moglie Naomi si erano trasferiti a causa di una carestia (Rut 1:1,2). Qui i due loro figli, Malon e Chilion, avevano sposato due sorelle moabite, Orpa e Rut. “Elimelec, marito di Naomi, morì . . . Poi Malon e Chilion morirono anch’essi” (Rut 1:3-5), così Rut rimase sola con sua sorella Orpa e la loro suocera Naomi.

   Naomi “si alzò con le sue nuore per tornarsene dalle campagne di Moab, perché nelle campagne di Moab aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli del pane. Partì dunque con le sue due nuore dal luogo dov’era stata, e si mise in cammino per tornare nel paese di Giuda” (Rut 1:6,7). Senza uomini che provvedessero per loro, queste tre donne vedove dovettero provvedere alla loro vita. Naomi decise allora di portare con sé in Israele le sue due nuore Orpa e Rut. Sulla strada, però, Naomi decide di rimandarle a casa loro: “’Andate, tornate ciascuna a casa di sua madre; il Signore sia buono con voi, come voi siete state con quelli che sono morti, e con me! Il Signore dia a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito!’ Le baciò; e quelle si misero a piangere ad alta voce, e le dissero: ‘No, torneremo con te al tuo popolo’. E Naomi rispose: ‘Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho forse ancora dei figli nel mio grembo che possano diventare vostri mariti? Ritornate, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per risposarmi; e anche se dicessi: Ne ho speranza, e anche se avessi stanotte un marito, e partorissi dei figli, aspettereste voi finché fossero grandi? Rinuncereste a sposarvi? No, figlie mie! Io ho tristezza molto più di voi’”. – Rut 1:8-13.

   “Allora esse piansero ad alta voce di nuovo; e Orpa baciò la suocera, ma Rut non si staccò da lei. Naomi disse a Rut: ‘Ecco, tua cognata se n’è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro anche tu, come tua cognata!’” (Rut 1:14,15). A questo punto la figura di Rut inizia a risplendere. Mentre Orpa approfitta dell’insistenza di Naomi e torna dal suo popolo, Rut rimane con la suocera. Si hanno qui delle espressioni di Rut che sono tra le più belle e commoventi della Bibbia: “Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio”. – Rut 1:16.

   Rinunciando alla sicurezza che poteva avere tra la sua gente, Rut è disposta ad affrontare un futuro incerto e forse senza la tranquillità di un nuovo matrimonio. Emerge qui l’amore di Rut per la suocera, ma anche l’amore per Dio e per il popolo di Dio.

 

“Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio”.

   Il suo amore fedele per la suocera sarà anche riconosciuto poi a Naomi dalla gente di Betlemme, dove andranno ad alloggiare: “Tua nuora che ti ama, e che vale per te più di sette figli”. – Rut 4:15.

   Rut si mostra subito laboriosa e a Betlemme esce nei campi a spigolare. Il meraviglioso Insegnamento (Toràh) di Dio aveva riguardo per gli indigenti: “Quando mieterete la raccolta della vostra terra, non mieterai fino all’ultimo angolo il tuo campo, e non raccoglierai ciò che resta da spigolare della tua raccolta; nella tua vigna non coglierai i grappoli rimasti, né raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero e per lo straniero. Io sono il Signore vostro Dio” (Lv 19:9,10: cfr. Dt 24:19-21). Rut va quindi a racimolare il sostentamento per Naomi e per sé.

   La sua laboriosità viene notata da un soprintendente di Boaz, che era “uomo potente e ricco, della famiglia di Elimelec” (Rut 2:1), il defunto marito di Naomi, nel cui campo Rut stava spigolando (Rut 2:3); questo vigilante dice a Boaz, suo principale: “È venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora; soltanto adesso si è seduta nella casa per un po’”. – Rut 2:7.

   Il carattere amabile di Rut appare nella sua risposta grata a Boaz quando questi le raccomanda di rimanere nel suo campo (Rut 2:8,9): “Rut si gettò giù, prostrandosi con la faccia a terra, e gli disse: ‘Come mai ho trovato grazia agli occhi tuoi, così che tu presti attenzione a me che sono una straniera?’” (Rut 2:10). Il dialogo tra i due ci offre alcuni elementi sugli usi ebraici del tempo, come i ringraziamenti esagerati. La particolare espressione che Rut usa circa il rispetto di Boaz verso una straniera potrebbe anche riferirsi al fatto che egli sta accettando qualcuno come membro della famiglia sebbene non lo sia. Boaz le dice allora che la fama della sua bontà l’ha preceduta. – Rut 2:11,12.

   “Lei gli disse: ‘Possa io trovare grazia agli occhi tuoi, o mio signore! Poiché tu m’hai consolata, e hai parlato al cuore della tua serva, sebbene io non sia neppure come una delle tue serve’” (Rut 2:13). Osservando che egli ha parlato, come dice il testo ebraico, “al cuore” (עַל־לֵב, al-lev) di lei (2:13), Rut non riconosce soltanto la generosità di Boaz, ma anche il suo corteggiamento. Non va dimenticato che per gli antichi ebrei il cuore non è la sede dei sentimenti (come per gli occidentali), ma del ragionamento (Mt 15:19). Allo stesso modo, quando Rut dice di non essere la sua serva (2:13) fa presagire il suo ruolo futuro di moglie.

   D’altro canto, Boaz usa parole cariche di molteplici significati: “Ho ordinato ai miei servi che non ti tocchino; e quando avrai sete, andrai a bere dai vasi l’acqua che i servi avranno attinta . . . ‘Non offendetela!’ . . . ‘e non la sgridate!’” (2:9,15,16); si preoccupa che Rut non sia infastidita. La elogerà poi perché ‘non è andata dietro a dei giovani, poveri o ricchi’ (3:10). Carica di dolcezza è anche l’immagine del pranzo, quando lei intinge il suo boccone nel vino inacidito e lui le porge dell’orzo arrostito: “Al momento del pasto, Boaz le disse: ‘Vieni qua, mangia del pane, e intingi il tuo boccone nell’aceto’ . . . Boaz le porse del grano arrostito, e lei ne mangiò” (2:14). Porgendole il boccone, recita la parte dello sposo. – Cfr. 2Sam 12:3.

   Rut continua a presentarsi come una donna previdente e attenta: “Lei ne mangiò, si saziò, e ne mise da parte gli avanzi” (2:14); ha avanzato del cibo anche per Noemi (2:18), e questa osservazione fa presagire sin d’ora l’immagine di una nuova famiglia, in cui Rut mantiene la sua lealtà verso Noemi. La sua laboriosità e previdenza si riscontra anche dal fatto che, sebbene Boaz avesse predisposto in modo da assicurarle una buona spigolatura, lei “spigolò nel campo fino alla sera . . . rimase dunque con le serve di Boaz, a spigolare, fino alla conclusione della mietitura dell’orzo e del frumento”. – 2:17,23.

   La suocera è stupefatta della buona sorte di Rut: “Quest’uomo è nostro parente stretto; è di quelli che hanno su di noi il diritto di riscatto” (2:20). Questa espressione va spiegata. L’ebraico ha לָנוּ הָאִישׁ מִגֹּאֲלֵנוּ הוּא (lànu haìysh migoalènu hu), letteralmente: “Vicino a noi l’uomo tra riscattanti noi lui”. Chi ha un po’ di dimestichezza con i termini ebraici avrà riconosciuto nel termine גֹּאֲלֵנוּ (goalènu) la parola גֹּאֵל (goèl), “ricompratore”. Costui era il parente più stretto e aveva l’obbligo, imposto da Lv 25:48,49, di “ricomprare” (verbo ebraico גאל, gaàl) ovvero di liberare, recuperare o riacquistare la persona, la proprietà o l’eredità del parente più stretto caduto in difficoltà. L’obbligo di essere un goèl ricadeva sui maschi della famiglia: prima sul fratello, poi – se non c’erano fratelli – sullo zio, poi sul figlio dello zio e così via (cfr. Nm 27:5-11). Boaz, quale “parente stretto”, era quindi tra i goèl di Naomi e di sua nuora Rut.

   Qui si fa riferimento anche alla legge del levirato. La parola “levirato” deriva dal latino levir ch significa “cognato”; questa legge biblica è nota quindi anche col nome di “matrimonio del cognato”. Il levirato era un’antica usanza, praticata dagli ebrei e dagli arabi, secondo la quale, se un uomo sposato moriva senza figli, suo fratello o il suo parente maschio più prossimo doveva sposarne la vedova; il loro figlio primogenito sarebbe stato considerato legalmente figlio del defunto. Quest’usanza è codificata dalla Bibbia in Dt 25:5-10.

   Lo scopo di questa legge era quella di assicurare al defunto una discendenza, cosa che era ed è tuttora ritenuta di grande importanza tra i popoli semitici; ma essa aveva anche un’altra importante funzione sociale, quella di garantire un marito alla vedova, in una società in cui le donne non potevano lavorare e quindi avevano bisogno di un uomo che provvedesse al loro sostentamento.   

   È curioso notare che mentre Noemi ringrazia Dio per la benedizione avuta, Rut sottoliena il ruolo di Boaz: “Naomi disse a sua nuora: ‘Sia egli benedetto dal Signore, perché . . . E Rut, la Moabita, disse: ‘Mi ha anche detto: Rimani con i miei servi, finché abbiano finita tutta la mia mietitura’”. – 2:20,21.

   Il capitolo 2 di Rut si chiude con una annotazione che potrebbe apparire strana: Rut annuncia che Boaz l’ha autorizzata a stare con i suoi servi (maschi) a spigolare; Noemi la invita invece a stare con le sue serve (femmine). “Rut, la Moabita, disse: ‘Mi ha anche detto: Rimani con i miei servi, finché abbiano finita tutta la mia mietitura’. E Naomi disse a Rut sua nuora: ‘È bene, figlia mia, che tu vada con le sue serve’” (2:21,22). Noemi è saggia e lungimirante, la sa lunga. Da una parte fa in modo che lui la noti tra le lavoratrici, dall’altra che Rut eviti pericolose vicinanze con altri giovani uomini nel suo delicato percorso verso il matrimonio.

   Questo modo di fare è diverso dai tipici racconti biblici di un uomo e una donna che alla fine si sposeranno (si pensi a Gn  24 e 29): in questo caso Rut svolge il ruolo che spetterebbe all’uomo. È lei che ha lasciato la sua patria in cerca di fortuna e che incontra delle difficoltà. D’altro canto, Boaz si comporta gentilmente nei suoi confronti ed è curioso in maniera quasi romantica quando indaga discretamente sul perché ha lasciato sua madre e la sua patria per venire in mezzo ad un popolo che le era sconosciuto (2:11). Si potrebbe dire che Boaz vide già allora l’interezza di Rut e fu questa valutazione accurata che gli fornì la motivazione per sposarla.

   “Naomi, sua suocera, le disse: ‘Figlia mia, io devo assicurarti una sistemazione perché tu sia felice . . . Làvati dunque, profumati, indossa il tuo mantello e scendi all’aia . . . E quando se ne andrà a dormire, osserva il luogo dov’egli dorme; poi va’, alzagli la coperta dalla parte dei piedi, e còricati lì; e lui ti dirà quello che tu debba fare’. Rut le rispose: ‘Farò tutto quello che dici’” (3:1-5). Così Rut si avvicina di soppiatto, scopre i piedi di Boaz e si corica accanto a lui. A mezzanotte Boaz si sveglia di soprassalto. “’Chi sei?’ le chiese. E lei rispose: ‘Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto’”. Tremando, si chinò in avanti. Non riconoscendola nell’oscurità, chiese: “Chi sei?” “Sono Rut la tua schiava”, fu la sua risposta, “e devi stendere il tuo lembo sulla tua schiava, poiché tu sei un ricompratore”. – 3:6-9.

   “Stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva”. La richiesta di essere coperta col suo mantello diventa un’implicita richiesta di essere accolta come sposa: “Poiché tu sei un ricompratore”. Ancora oggi in molte culture c’è l’usanza di coprire gli sposi, durante la cerimonia del matrimonio, con uno stesso velo. Rut agisce con audacia, ma soprattutto con un delicato riserbo, e Boaz ne rimane sorpreso, anzi, turbato. Il testo biblico non dice come traduce NR: “Verso mezzanotte, quell’uomo si svegliò di soprassalto, si voltò, ed ecco una donna era coricata ai suoi piedi” (3:8), ma יֶּחֱרַד הָאִישׁ וַיִּלָּפֵת (yekheràd haìysh vayelafèt), “tremò e l’uomo e fu scosso”.

   I particolari sono molto indicativi. E anche ricchi di significati spirituali: la mezzanotte è l’ora dell’arrivo dello sposo nella parabola delle dieci vergini (Mt 25:1-13). È qui interessante il commento di Paulus Cassel, studioso biblico: “Senza dubbio questo metodo simbolico di affermare il più delicato di tutti i diritti presuppone modi di una semplicità e virtù patriarcale. La fiducia della donna si basa sull’onore dell’uomo. Il metodo, tuttavia, non era di facile attuazione. Infatti qualsiasi anticipazione o segno premonitore al riguardo avrebbe strappato il velo del silenzio e del riserbo nuocendo alla modestia della richiedente. Ma una volta preso il via, la richiesta privilegiata non poteva essere negata senza disonorare la donna o l’uomo. Quindi possiamo esser certi che Naomi non mandò la nuora con questa ambasciata senza la massima fiducia che avrebbe avuto successo. Infatti è sicuro che nel caso in questione a tutte le altre difficoltà si aggiungeva anche questa: cioè che Boaz, come Rut stessa dice, era sì un goel, ma non il goel. Anche la risposta di Boaz lascerebbe intendere che tale richiesta non gli giungeva del tutto inaspettata. Non che egli si fosse messo d’accordo con Naomi e avesse così fatto in modo di trovarsi da solo sull’aia, perché il fatto che egli fu colto di sorpresa nel sonno mostra che non prevedeva affatto quella visita notturna. Tuttavia l’idea che prima o poi Rut gli facesse presente il proprio diritto basato sui vincoli di sangue poteva essergli passata per la mente. Ma anche questa congettura sulla possibilità o probabilità che ciò avvenisse non può essere usata per sollevare Rut dall’onere di manifestare il proprio libero arbitrio seguendo questa procedura simbolica”. – J. P. Lange, Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das Buch Ruth, 1865, pag. 226.

  La risposta di Boaz fu: “Sii benedetta dal Signore, figlia mia! La tua bontà d’adesso supera quella di prima, poiché non sei andata dietro a dei giovani, poveri o ricchi. Non temere, dunque, figlia mia; io farò per te tutto quello che dici, perché tutti qui sanno che sei una donna virtuosa. È vero che io ho il diritto di riscatto; ma ce n’è un altro che ti è parente più prossimo di me. Passa qui la notte; e domattina, se quello vorrà far valere il suo diritto su di te, va bene, lo faccia pure; ma se non gli piacerà di far valere il suo diritto, io farò valere il mio, com’è vero che il Signore vive! Sta coricata fino al mattino»”. – Rut 3:10-13.

   Quando poi il parente più stretto rifiutò di fare da goèl, Boaz mantenne la sua parola e sposò Rut. Rut partorì Obed da Boaz. – Rut 4:1-21.

   Così Rut, una donna straniera non appartenente alla razza eletta, divenne antenata di Yeshùa. – Mt 1:5.

   La femminilità di Rut – diversamente da quella di altre grandi donne della Bibbia – non si manifestò in alcuna impresa eccezionale, né tanto meno cruenta, né in uno spirito nazionalista, ma si espresse in una serie di situazioni umane comuni, possibili nella vita di tutti.

   Protagonista centrale di questa storia, lei è stata capace di un amore più forte di ogni calcolo e di una fede sincera e totale nel Dio della promessa. Rut ama di un amore totale, che non chiede garanzie o rassicurazioni, e si fida del Dio di Naomi, il Dio d’Israele. Lo fa perdutamente, senza calcolo o misura. Questa fede pura, priva di ogni presupposto umano, ricorda quella del patriarca Abraamo. Rut è la figura del povero che si affida a Dio e cui Dio fa grazia: ed è al tempo stesso la nuora giovane e generosa che per amore della suocera vedova e sola non esita ad abbracciare l’umiliante lavoro di raccogliere le spighe dimenticate da altri per sopravvivere. Tale lavoro lo vive poi senza risparmio di forze.

   Accolta nel popolo di Israele come una di loro, entrò direttamente nella genealogia del messia atteso e promesso, venendo così largamente compensata