Qual è il senso della vita? Le persone spesso sono assillate da questa e da altre domande fondamentali: Cosa posso conoscere che sia vero? Cosa posso sperare? Cosa posso fare per migliorare la mia vita? Chi sono davvero?
Per i credenti la Sacra Scrittura è parola di Dio. È quindi una fonte primaria per trovare risposte alle domande che ciascuno prima o poi si pone; soprattutto, per sapere qual è il senso della vita.
Per capire i significati della Scrittura abbiamo bisogno di una forza o potenza particolare, non umana, ma divina. La Bibbia chiama tale energia spirito santo. Si tratta di spirito perché non è materiale; è santo perché proviene da Dio. Fu infatti la potenza santa di Dio ad ispirare gli Scritti Sacri: “Degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” (2Pt 1:21). “Ogni Scrittura è ispirata da Dio”. – 2Tm 3:16.
Abbiamo la garanzia che possiamo avere lo spirito divino per comprendere la Scrittura: “Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14:26). Siamo certi che Dio ce lo concederà? “Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete” (Mt 11:24). La condizione indispensabile è che viviamo la fede: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (Gv 15:7). Perché, allora, spesso non si ottiene ciò per cui preghiamo? “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male” (Gc 4:2,3, CEI). “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie”. – Gc 1:5-8.
Per comprendere la Scrittura occorre anche il nostro impegno personale. E qui ci sono di aiuto le ricche esperienze fatte da uomini e donne fedeli dell’antichità: uomini santi e donne sante che lungo i secoli hanno letto la Bibbia.
La lectio divina è un approccio graduale al testo biblico che risale all’uso rabbinico. È un modo di rispondere a Dio per persone che nutrono una salda fede nella sua iniziativa di parlare al genere umano. La parola di Dio giunge al credente per mezzo della Sacra Scrittura. La vita non consiste nel consumare i propri anni al meglio e nulla più. La nostra vita dovrebbe essere una risposta a Dio, ubbidendogli. Dio ha parlato e ci parla: tocca a noi ascoltare. Gli agnostici, i non credenti e – a volte – anche coloro che asseriscono di essere credenti, domandano: Dov’è Dio? Eppure, questa è proprio la domanda che Dio stesso per primo rivolse all’uomo: “Dove sei?”. – Gn 3:9.
Nessun credente può rendere accessibile la parola di Dio contenuta nella Scrittura se la sua vita non è un continuo desiderio di rispondere personalmente a Colui che lo interpella.
La lectio divina è un modo particolare di leggere la Sacra Scrittura; comporta diversi aspetti. In latino, lectio significa lettura. Questi aspetti non vanno considerati come fasi nettamente separate, ma come aspetti di un singolo atto che è insieme semplice e complesso. Semplice, perché fondamentalmente è un tentativo di rispondere alla parola di Dio con il nostro sentimento; complesso, perché fondamentalmente è un tentativo di rispondere alla parola di Dio con tutto il nostro sentimento. Nell’atto concreto della lectio divina questi aspetti possono essere distinti l’uno dall’altro, ma mai separati. In quanto distinti, possono costituire il punto focale su cui porre l’attenzione. In tal senso, ad esempio, il primo aspetto (lectio, la lettura del testo biblico, appunto) è il momento in cui l’attenzione viene concentrata sullo studio accurato della Bibbia per scoprirne il significato nella sua situazione originaria. Nella pratica degli studi biblici tale studio spesso appare come un aspetto separato. Ma se stiamo davvero cercando di ascoltare la parola di Dio leggendo la Scrittura, tutti gli altri aspetti devono essere presenti, almeno implicitamente e potenzialmente.
Cos’è dunque la lectio divina? È un modo particolare di accostarsi alla parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura soprattutto in vista della preghiera. Si tratta di un vero e proprio ascolto-risposta. Questo metodo ci aiuta a trovare risposte agli interrogativi fondamentali che ci poniamo. Confrontarci con il testo sacro secondo questo metodo ci permette di capire il testo e ci guida alla fede, alla speranza e all’amore. “Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore”. – 1Cor 13:13.
La lectio divina è un cammino con determinate fermate corrispondenti ciascuna a un determinato approccio al testo biblico. È una ricerca che ci fa rinnovare la fede, la speranza e l’amore.
Dedicarsi alla lettura della Scrittura
Dedicarsi o rendersi liberi per la lettura divina: in senso proprio la lectio divina denota la lettura della Bibbia, la necessità della lettura frequente e assidua. Il salmista cantava: “Beato l’uomo . . . il cui diletto è nella legge del Signore, e su quella legge medita giorno e notte” (Sl 1:1,2). La Scrittura costituire lo strumento imprescindibile – e spesso unico – della formazione del credente e del suo itinerario spirituale fino all’incontro con Dio.
La lectio divina (lettura divina) è la formula con cui si indica questa lettura approfondita, l’assimilazione della parola di Dio attraverso la lettura. La Bibbia costituisce la lettura essenziale, frequente e assidua del credente. La Scrittura alimenta abbondantemente la vita del credente, soprattutto attraverso un’esegesi (spiegazione, interpretazione, commento, analisi) spirituale. Indubbiamente la Bibbia è il libro del fedele. La preghiera consiste spesso nel ripetere lentamente, gustandoli, i versetti della Scrittura. Solo chi non conosce bene la preghiera biblica legge senza senso, senza prestarvi attenzione, una pagina stampata. Solo chi non conosce bene la preghiera biblica crede che non si debba leggere tal quale una pagina stampata. La preghiera non è solo quella cosiddetta del cuore, in cui le parole sono solo nostre, dette sul momento. Preghiera è anche usare le parole stesse della Bibbia. “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili [ἀλαλήτοις, alalètois, “inesprimibili”]” (Rm 8:26). In pratica, dato che “non sappiamo pregare come si conviene”, Dio accetta da noi le preghiere da lui stesso ispirate nella Bibbia, quando le leggiamo in preghiera, come se fossimo noi a dirle sul momento. I Salmi sono la raccolta per eccellenza delle preghiere conservate nella Bibbia, che venivano usate nella liturgia di Israele. Pur leggendo queste preghiere scritte, la nostra mente si ferma di volta in volta su parole particolari che in quel momento sentiamo nostre e che ci permettono di ampliare la nostra preghiera. Quelle parole bibliche sono punti in cui si innestano le nostre parole, e la preghiera diventa del cuore. Così, la stessa preghiera scritta è ogni volta nuova e diversa.
Alla base di questo profondo interesse per la Scrittura c’è la convinzione che esiste uno stretto legame tra vita spirituale e parola di Dio. In certo qual modo lo stesso spirito di Dio, che ha ispirato gli autori sacri, continua ad agire in coloro che li leggono e che cercano di ripetere quelle esperienze di cui parlano i sacri testi.
Tutta la Scrittura va vista nell’unità alla luce di Yeshùa. La chiave della Scrittura è Yeshùa. È Yeshùa la parola definitiva di Dio (Gal 3:24). Il mistero di Yeshùa continua nel mistero della sua congregazione e del credente: “La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”. – Col 3:3.
Da questa riflessione è scaturita la teoria dei diversi “sensi biblici”.
I quattro sensi biblici
Senso letterale. La lettera insegna i fatti. È la ricerca del senso originario del testo. Se vogliamo ascoltare con intelligenza la Scrittura è importante cercare il senso originario. Ciò può avvenire osservando le persone che agiscono, i luoghi, le condizioni in cui si svolsero i fatti, gli usi e i costumi, il tempo, la geografia, il contesto storico, le motivazioni. Nella lettura, l’attenzione al senso originario del testo cerca di dare una risposta a una serie di domande semplici: Chi? Cosa? Perché? Quando? Dove? Come? Ecco le domande da farsi:
• Chi agisce?
• Quali relazioni intercorrono tra le persone?
• Quali luoghi vengono menzionati nel testo?
• Quali tempi vengono indicati?
• Cosa accade?
• Quali mutamenti intervengono?
• Quali sono i motivi dell’agire che appaiono?
Strumenti d’aiuto possono essere diverse versioni commentate della Bibbia, dizionari biblici, diverse introduzioni alla Sacra Scrittura, atlanti.
Senso allegorico. L’allegoria (vedere con gli occhi della fede) insegna ciò che si deve credere. Siamo chiamati a guardare con gli occhi della fede. Si tratta di scoprire il mistero dell’agire di Dio e del suo consacrato, Yeshùa. Il brano scelto va letto nel contesto più ampio del libro biblico in cui si trova e nel contesto della Bibbia stessa. È necessario prestare grande attenzione al contenuto e all’unità della Sacra Scrittura nel suo insieme. Per riconoscere le tracce dell’operato di Dio e il significato permanente del testo possono essere d’aiuto le seguenti domande:
• In quale contesto più ampio dell’opera salvifica di Dio si colloca questo evento o questo brano?
• Quali brani della Bibbia conosco che abbiano un contenuto simile o dove posso trovarne altri?
Strumenti d’aiuto possono essere i riferimenti a passi paralleli della Bibbia (diverse edizioni della Bibbia li contengono), concordanze, un dizionario biblico.
Senso morale. Il senso morale ci insegna come comportarti. È la ricerca di un aiuto riguardo al modo di vivere e di concepire la vita. Questo aspetto della lectio divina affronta il cosiddetto senso morale. Oggi lo si potrebbe tradurre con “indicazioni per una vita riuscita”. Si tratta di trovare le indicazioni della parola di Dio su come condurre la nostra vita alla luce della fede. Questa ricerca si basa sulla convinzione che la parola di Dio è una parola viva e una parola di vita che ci aiuta nel cammino della vita. In tal modo il testo biblico diventa come uno specchio: “Se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare” (Gc 1:23-25). Confrontandoci con quanto dice la Sacra Scrittura possiamo comprendere meglio la nostra esistenza. Cerchiamo, cioè, di conoscere chi siamo realmente, che cosa possiamo e dovremmo fare.
Per capire meglio la vita quotidiana e gli eventi che ci accadono e che accadono intorno a noi, proviamo a rispondere alle seguenti domande:
• Dove sono arrivato/a?
• Com’è la mia vita?
• Per quale situazione della mia vita questo brano della parola di Dio è significativo?
Oppure si può seguire una sorta d’interpretazione psicologica:
• A quale personaggio del testo assomiglio?
• Quale problema menzionato o quale situazione menzionata nel testo mi tocca personalmente?
Strumenti di aiuto: uno sguardo al mondo e alle esperienze di vita quotidiana, uno sguardo anche ai giornali e a ciò che accade.
Senso anagogico, cioè escatologico o contemplativo. Anagogico è un aggettivo che deriva dal greco αναγογικός (anagoghikòs), utilizzato per indicare il senso che rivela il significato più profondo e recondito delle Sacre Scritture, mediante un procedimento che conduce dalle cose dell’esperienza sensibile a quella mistica. Escatologico è un aggettivo derivato dal greco ἔσχατος (éschatos, “ultimo”) e che riguarda “le cose ultime o finali” ovvero la “fine dei giorni”. Si tratta quindi di contemplare la nostra speranza. L’anagogia insegna a cosa si deve tendere. Si tratta della ricerca della nostra speranza. Ci mostra come il testo biblico risponde alla domanda fondamentale: In cosa posso sperare? Il testo può dare indicazioni anche riguardo al compimento della storia e della vita. Tali indicazioni indirizzano il nostro sguardo – come dice la stessa parola anagogia – verso l’alto. Il testo viene letto sullo sfondo delle domande che oggi ci poniamo sul significato della vita e sul futuro:
• Quali ragioni per la speranza si trovano nel testo?
• Che speranza posso nutrire nel contesto del mondo d’oggi?
Il valore della lectio divina
Il senso letterale è la base, gli altri tre sensi costituiscono l’approfondimento, il senso spirituale. Importanti sono l’aspetto esperienziale e l’aspetto escatologico. Il senso profondo che il credente scopre nella Scrittura è l’intendere la vita spirituale come compimento della storia sacra in ogni fedele.
Ecco, è il mistero di Yeshùa il consacrato, della sua congregazione e di ciascuno di noi. A questo criterio deve ridursi il valore della lectio divina, nel senso di lettura oggettiva, cioè adattare a se stessi a ciò che dice la Scrittura, rivivere tutte le avventure del popolo ebraico, tutta la vita di Yeshùa e la vita degli apostoli.
La Scrittura ci dà il mezzo di passare attraverso le esperienze spirituali dei personaggi di cui parla. E, dato che tali esperienze sono le più varie, possono rispondere ai bisogni di tutti, di tutte le età e di tutte le situazioni spirituali. Dobbiamo provare gli stati d’animo interiori degli uomini santi e delle donne sante del popolo di Dio, realizzare i loro atti, riprodurre le loro virtù, imitare la loro devozione.
Così va intesa questa unione intima con la Scrittura. Bisogna vivere tutta la Bibbia, partecipare interamente a ciò che si legge. Fortificato da questo nutrimento, il credente penetra a tal punto i sentimenti espressi dai Salmi che egli li recita ormai non come composti dal salmista, ma come se ne fosse lui stesso l’autore, come espressione personale nella più profonda immedesimazione; o, quasi, pensa che i Salmi siano stati composti apposta per lui. Capisce così non solo ciò che i Salmi esprimono, ma che ciò non si avverò solo nei tempi biblici nella persona del salmista, ma trova anche in lui o in lei al momento presente il suo compimento. Si pensi all’angosciosa esperienza di Yeshùa morente sulla croce: aveva la consapevolezza di essere stato sempre fedele, eppure ora si trovava inchiodato ad un palo; i suoi discepoli pressoché tutti fuggiti, lui rimasto solo, esausto, sofferente fino all’inverosimile, con la certezza che stava per esalare l’ultimo respiro. Le parole che evocò furono allora quelle del salmista che prima di lui si era trovato in una situazione angosciosa. “Gesù gridò a gran voce: ‘Elì, Elì, lamà sabactàni?’ cioè: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’” (Mt 27:46): Yeshùa ripeteva le parole del salmista: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!”. – Sl 22:1.
Se tutto ciò è vero per i profeti delle Scritture Ebraiche, a maggior ragione vale per Yeshùa. Le Scritture Greche ci offrono l’occasione di penetrare il consiglio di Paolo: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù” (Flp 2:5). Ecco come tutta la Bibbia si legge con un solo filo conduttore: con la mente e con il cuore illuminati dal carisma profetico, come mistero di storia sacra, come storia della salvezza che deve compiersi fino al ritorno glorioso di Yeshùa. “Ora capite bene quel che dovete fare. Comportatevi da persone consacrate a Dio, che vivono alla sua presenza, mentre attendete l’arrivo del giorno di Dio”. – 2Pt 3.11,12.
Con questa mentalità dobbiamo accostarci anche oggi al sacro testo. La Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata attraverso l’intervento dello spirito santo, come parola che viene da Dio e a Dio conduce.
Il credente – che deve essere soprattutto persona di ascolto – è attento alla parola di Dio per accoglierla, custodirla, metterla in pratica, produrre frutti: “Quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto” (Mt 13:23). Scopo della lectio divina è la ricerca di Dio nella sua parola scritta.
Ecco perché la lectio divina è ritenuta uno dei mezzi più comuni e caratteristici della vita del credente. Si tratta di una lettura meditata della Scrittura. È una lettura spirituale che vale non per quello che ci fa acquisire (avere), ma per quello che ci fa diventare (essere). Ecco perché si parla di lettura sapienziale. Sapienza è gusto delle cose di Dio, è una contemplazione delle Scritture, una lettura in vista della preghiera. Allora è quindi una lettura sacra e divina. Tradotta in italiano, l’espressione latina lectio divina perde un po’ della sua forza. “Lettura” (lectio) è per noi un termine troppo superficiale; “studio” è troppo intellettuale; “meditazione” forse sa troppo di psicologico o filosofico. È preferibile quindi lasciare l’espressione nel latino lectio divina, oppure tradurre “pregare la parola” o “lettura pregata della Scrittura”.
Evidentemente la Sacra Scrittura è l’oggetto principale e fondamentale della lectio divina, ma l’orizzonte si può allargare. La lectio divina non è in ragione del testo letto, ma in ragione del modo con cui il testo viene letto. Leggere la Bibbia per semplice curiosità intellettuale o per spirito polemico non è lectio divina; leggere i giornali per discernere, attraverso i fatti politici e i vari avvenimenti, i segni di Dio nella storia, può essere lectio divina (in questo caso si tratterebbe di leggere la storia quotidiana al modo dei profeti di Israele).
Alcuni riferimenti biblici ci aiuteranno a comprendere meglio alcuni aspetti della lectio divina.
In Nee 8:1-12 possiamo notare una specie di teologia della liturgia della parola. Dopo il ritorno dall’esilio, inizia per i giudei una nuova fase storica, e ciò avviene con una solenne liturgia cui tutto il popolo è invitato. Dopo una benedizione di lode al Signore, si legge la parola di Dio per un’intera giornata, brano per brano, traducendo dall’ebraico al popolo che conosceva ormai solo l’aramaico, con spiegazione e commento (esegesi, diremmo noi) a cura di Esdra e dei leviti. Il popolo, pensando alla sua infedeltà all’alleanza con Dio, è mosso a pentimento e piange.
“Tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, e disse a Esdra, lo scriba, che portasse il libro della legge di Mosè che il Signore aveva data a Israele. Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea, composta di uomini, di donne e di tutti quelli che erano in grado di capire. Egli lesse il libro sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, dalla mattina presto fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne, e di quelli che erano in grado di capire; e tutto il popolo tendeva l’orecchio, per sentire il libro della legge. Esdra, lo scriba, stava sopra un palco di legno, che era stato fatto apposta; accanto a lui stavano, a destra, Mattitia, Sema, Anania, Uria, Chilchia e Maaseia; a sinistra, Pedaia, Misael, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e Mesullam. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava nel posto più elevato; e, appena aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani; e s’inchinarono, e si prostrarono con la faccia a terra davanti al Signore. Iesua, Bani, Serebia, Iamin, Accub, Sabbetai, Odia, Maaseia, Chelita, Azaria, Iozabad, Anan, Pelaia e gli altri Leviti spiegavano la legge al popolo, e tutti stavano in piedi al loro posto. Essi leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile; ne davano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano. Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i Leviti, che insegnavano, dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non siate tristi e non piangete!» Tutto il popolo infatti piangeva, ascoltando le parole della legge. Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate cibi grassi e bevete bevande dolci, e mandate delle porzioni a quelli che non hanno preparato nulla per loro; perché questo giorno è consacrato al nostro Signore; non siate tristi; perché la gioia del Signore è la vostra forza». I Leviti calmavano tutto il popolo, dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non siate tristi!». Tutto il popolo se ne andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri, e a fare gran festa, perché avevano capito le parole che erano state loro spiegate” . – Nee 8:1-12.
Ecco una caratteristica della lectio divina: nella sua parola Dio si fa presente, tocca e penetra i cuori; allora la persona è disarmata di fronte a Dio e si arrende; immediatamente appare la contraddizione tra l’iniziativa da parte di Dio e l’infedeltà da parte nostra; ed ecco il pentimento. Si tratta però di un pianto salutare per la salvezza. Quindi viene la parola di consolazione: “Non piangete”… . – V. 9.
In Lc 4:21 Yeshùa ci dà un approfondimento del metodo della lectio divina: “Egli prese a dir loro: ‘Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite.’” Primo, perché egli realizza in sé ciò che le Scritture dicevano; secondo, perché egli riferisce all’oggi la parola di Dio. Il brano di Is 61:1,2 (“Lo spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato,
per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti”) trova il suo adempimento (“oggi”) nella predicazione di Yeshùa: “Oggi si realizza” (Lc 4:21, PdS). Ebbene, la parola di Dio nella Sacra Scrittura non è stata detta – lo sappiamo – solo nel momento in cui Dio parlò tramite il suo portavoce, ma è detta (in un senso ancora più forte) ogni volta che il testo viene proclamato, in qualunque forma (sia nella celebrazione comunitaria sia nella lettura privata). Questo perché sempre, ma sempre, “la parola di Dio è vivente ed efficace” (Eb 4:12). “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”. – Is 55:10,11.
In Es 19:1 troviamo questo aspetto della lectio divina che la Bibbia fa su se stessa. Normalmente questo versetto viene così tradotto: “Il terzo mese da che i figli d’Israele erano usciti dal paese d’Egitto, lo stesso giorno, giunsero nel deserto del Sinai” (TNM); “Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai” (CEI). “Lo stesso giorno”, “proprio in quel giorno”. NR addirittura salta la frase: “Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d’Egitto, i figli d’Israele giunsero al deserto del Sinai”. Pare esserci un imbarazzo dei traduttori, di cui il lettore non si avvede perché non ha di fronte il testo originale ebraico. Il versetto, nell’originale, dice: בַּיֹּום הַזֶּה (bayòm hazèh), “nel giorno il questo”. “Questo”. Tale espressione sconcertò gli antichi rabbini: In questo giorno?! Si sarebbe dovuto dire: in quel giorno. Ecco perché TNM e CEI si permettono addirittura di correggere la Bibbia, e NR salta la frase. Non ne hanno capito il senso vero: il giorno in cui venne data la Toràh (l’Insegnamento di Dio) non è cosa passata; quel giorno è questo giorno, ogni giorno. Dio parla a ciascun credente oggi, qui, in questo momento. L’attualizzazione della parola di Dio “qui e ora”, hic et nunc, kan veachshàv (כאן ועכשיו), è il perno della lectio divina: “Oggi si compie in voi questa Scrittura”. È il passaggio del Mar Rosso, la manna nel deserto, il vino miracoloso di Cana, la guarigione del sordomuto, il perdono dell’adultera, la gioia della samaritana che prima era stata scettica, la vittoria della cananea su Yeshùa costretto da lei a guarirle la figlia concedendole le briciole del pane negato ai cani. “Oggi ci compie”. Ecco perché si parla di lettura personale, di un confronto continuo con la Scrittura. La Bibbia è lo specchio in cui si deve veder riprodotta l’immagine da seguire (Gc 1:23-25). Se la nostra immagine si discosta da quella biblica, è nostro dovere ridurre o eliminare lo scarto che rende la persona difforme dal modello biblico. Dio rivolge a ciascuno di noi un messaggio personale e unico, ma ciò attraverso un messaggio universale anteriore a noi, che nella Bibbia è proposto a tutti. Tocca quindi a ciascuno di noi renderlo individuale, interiorizzarlo, attualizzarlo per sé. Nei racconti e nei libri storici della Scrittura, il lettore o la lettrice confronterà la sua esperienza con quella dei personaggi biblici, vedrà l’iniziativa di Dio e la risposta umana. Ogni cosa servirà come simbolo della nostra vita spirituale.
Fra le tante parti così diverse che compongono la Bibbia, ciascuno avrà delle legittime preferenze: chi si nutre molto bene dei Profeti, chi della Legge; a qualcuno piace particolarmente Paolo, ad altri piacciono i Vangeli; chi preferisce i Sinottici, chi Giovanni; qualcuno si trova meglio coi i libri sapienziali o i Salmi, qualcun altro con le Lettere. Nella Bibbia si trova di tutto, ci si può riferire a tutti i casi: che ciascuno di noi ponga di fronte al testo sacro le questioni e i problemi suoi, e Dio darà la risposta adatta a lui o a lei. Ciò accade perché la lectio divina è un dialogo d’amore in cui il cuore si lascia toccare da ciò che Dio dice. Dio parla e noi rispondiamo. È un rispondere alla Persona viva che ci interpella e ci coinvolge in una comunicazione di vita. È questa la grande, suprema esegesi. È questo il significato prezioso della lectio divina.