La lettera agli ebrei inizia con l’esaltazione di Yeshùa, Figlio di Dio, che è la conclusione escatologica di un evento primordiale.

“Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”. – Eb 1:1-3.

   Con un tono alquanto solenne viene subito affrontato il tema del discorso omiletico: Yeshùa è stato costituito dominatore secondo il Sl 110: “Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi” (v. 1). Questo inizio è stato preparato dal dotto autore di Eb con la massima cura, in tutti i particolari, nel suo greco molto elegante. Eppure non è un’introduzione vera e propria, almeno non come quelle che troviamo, ad esempio, all’inizio delle epistole. Ciò conferma che Eb non è una lettera. Si tratta piuttosto di un trattato esegetico, una predica (omelia) destinata a una certa comunità di credenti, cui si accenna indirettamente in Eb 13:17, pur se presentata in forma epistolare.

   In ogni caso, con questo esordio siamo di fronte a un capolavoro di stile. Il lettore, leggendone solo la traduzione, non può apprezzarlo dovutamente. Nel primo versetto ci sono ben cinque allitterazioni. Vediamole (e ascoltiamole) nel testo greco originale:

L’allitterazione

Allitterazione deriva dal latino adlitterare, che significa “allineare le lettere”. Si tratta di una figura oratoria che consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di un suono all’inizio di parole successive. Per fare degli esempi: Coca Cola, Mickey Mouse, Cip & Ciop.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Πολυμερῶς καὶ πολυτρόπως πάλαι ὁ θεὸς

Polymeròs kài polytròposs lai o theoòs

λαλήσας τοῖς πατράσιν ἐν τοῖς προφήταις

lalèsas tòis patràsin en tòis profètais

 

   La sequenza pol-pol-pal-pat-pro conferisce un ritmo che durante il culto trasformava l’omelia in un evento solenne.

    Questa capacità di stilizzare in modo così colorito e bello il linguaggio, ci fa comprendere che l’autore era certamente una persona molto erudita che conosceva la prosa artistica greca. Unita all’ottima conoscenza della Bibbia ebraica che l’autore mostra d’avere, possiamo ben dire di essere di fronte a un discepolo di Yeshùa colto e appartenente al mondo giudeo-ellenistico.

   L’inizio, così maestoso, di Eb, prende le mosse dal Dio uno e unico di Israele: “Dio …”. Si fa poi riferimento al carattere quantitativo e qualitativo della rivelazione, che è avvenuta “molte volte e in molte maniere”. Tal rivelazione, dice l’autore ispirato, è stata data “ai padri”. Chi ha in mente? Forse Abraamo, Isacco, Giacobbe e altri antichi patriarchi? Così non pare, perché è detto “per mezzo dei profeti”, che vengono così distinti dai “padri”. Pare quindi riferirsi, in generale, agli appartenenti al popolo di Dio (cfr. Eb 11:31 e sgg.). Con un colpo d’occhio panoramico l’agiografo guarda alla storia del popolo di Dio come puntellata dai suoi testimoni (Ibidem). Per lui questa testimonianza profetica si è conclusa, perché Dio “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Da come poi descrive Yeshùa, appare chiaro che la precedente rivelazione era non solo incompleta ma anche frammentaria, forse perfino oscura, perché ora c’è Yeshùa “che è splendore della sua gloria” e che “si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”. Con Yeshùa la rivelazione di Dio arriva al suo culmine e al suo compimento. È questa la grande novità: la rivelazione attuale, operata da Dio tramite Yeshùa, non può essere superata, perché è lui il depositario della piena rivelazione divina.

   C’è quindi un concetto profondissimo, “poiché in lui [in Yeshùa] sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili … tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1:16). Yeshùa fu “già designato prima della creazione del mondo” ed “è stato manifestato negli ultimi tempi” (1Pt 1:20). Si tratta del “mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra” (Ef 1:9,10). È Yeshùa, già nella mente di Dio prima dei tempi (preesistente presso Dio, nella concezione ebraica), che ha per così dire messo in moto tutto e ha motivato la creazione, essendone alla fine il compimento.

   Si noti anche la grande capacità oratoria dell’autore di Eb: con questo suo grandioso inizio, ciascuno – ascoltando o leggendo – si sente interpellato personalmente.