“Perciò, fratelli santi …” (Eb 3:1). L’omileta si rivolge per la prima volta direttamente ai suoi ascoltatori. Dopo le profonde considerazioni appena fatte, ne trae una conclusione per esortare il suo uditorio: “Di conseguenza, fratelli santi …” (Ibidem, TNM). Egli invita a prendere in considerazione “Gesù, l’apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo, il quale è fedele a colui che lo ha costituito, come anche lo fu Mosè, in tutta la casa di Dio” (3:1,2), rimarcando però la superiorità di Yeshùa su Mosè perché “anzi, è stato ritenuto degno di una gloria tanto più grande di quella di Mosè” (3:3). Yeshùa, dice l’agiografo, “è fedele a colui che lo ha costituito” ovvero a Dio. I fedeli lo devono prendere in considerazione (v. 1: “considerate Gesù”) e, come Yeshùa è fedele a Dio, così loro devono essere fedeli. L’atteggiamento di fedeltà è visto nel rapporto tra Creatore e creatura. Dio è il Creatore, Yeshùa è una creatura ubbidiente, così come lo fu Mosè e così come devono esserlo ora i credenti. Di Mosè Dio aveva detto: “È fedele in tutta la mia casa” (Nm 12:7). E lo scrittore Eb commenta: “Certo ogni casa è costruita da qualcuno, ma chi ha costruito tutte le cose è Dio. Mosè fu fedele in tutta la casa di Dio come servitore per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunciato, ma Cristo lo è come Figlio, sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi se manteniamo ferma sino alla fine la nostra franchezza e la speranza di cui ci vantiamo”. – Eb 3:4-6.

   I ruoli ben diversi di Yeshùa e di Mosè sono espressi dalle loro diverse posizioni. Mosè “fu fedele in tutta la casa di Dio come servitore” e il suo ruolo era di portavoce di Dio “per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunciato”. Ma Yeshùa fu fedele “come Figlio” e non come semplice rappresentante di Dio ma “sopra la sua casa”; anzi, qui non si usa il suo nome ma “Cristo”, “unto” (consacrato), dando così più forza alla sua posizione. Più avanti, in 10:21, si dirà molto chiaramente di Yeshùa: “Un grande sacerdote sopra la casa di Dio”.

   “La sua casa siamo noi” (v. 6), è detto. Per Mosè la casa di Dio era Israele, per Yeshùa è l’Israele spirituale e allargata. C’è però una condizione che deve essere soddisfatta: “Se manteniamo ferma sino alla fine la nostra franchezza e la speranza di cui ci vantiamo” (Ibidem). Proprio come Israele, il nuovo popolo di Dio è a rischio se trascura di ubbidire a Dio. E qui l’omileta inserisce quella che potremmo definire un’omelia nell’omelia:

“Perciò, come dice lo Spirito Santo:

«Oggi, se udite la sua voce,

non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione,

come nel giorno della tentazione nel deserto,

dove i vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova,

pur avendo visto le mie opere per quarant’anni!

Perciò mi disgustai di quella generazione, e dissi:

‘Sono sempre traviati di cuore;

non hanno conosciuto le mie vie’;

così giurai nella mia ira:

‘Non entreranno nel mio riposo!’»”. – Eb 3:7-11.

 

   Questa non è una specie di divagazione che l’autore fa; non è una parentesi ma è un approfondimento. Non si tratta di riflessioni personali condivise ma di parola di Dio, sostenuta dalle chiare citazioni dal Tanàch.

  • Sl 95:7-11: “Egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo di cui ha cura, e il gregge che la sua mano conduce.

Oggi, se udite la sua voce,

non indurite il vostro cuore come a Meriba,

come nel giorno di Massa nel deserto,

quando i vostri padri mi tentarono,

mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere.

Quarant’anni ebbi in disgusto quella generazione,

e dissi: «È un popolo dal cuore traviato;

essi non conoscono le mie vie».

Perciò giurai nella mia ira:

«Non entreranno nel mio riposo!»”.

 

   L’atteggiamento di Dio con il suo popolo fu duro, ma duro era stato il cuore degli israeliti nella loro disubbidienza.

“Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso, e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge suo figlio, così il Signore, il tuo Dio, corregge te. Osserva i comandamenti del Signore tuo Dio; cammina nelle sue vie e temilo”. – Dt 8:2-8.

   L’autore, richiamando questo fatto storico, lo usa per la sua esortazione che è anche un ammonimento, altrettanto duro: “Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore malvagio e incredulo, che vi allontani dal Dio vivente”  (Eb 3:12). Perché l’autore ispirato richiama proprio questo periodo storico di 40 anni nel deserto in cui Israele fu punita per la sua disubbidienza? Più avanti, trattando sempre della necessità di mantenersi ubbidienti a Dio, dirà: “Avete bisogno di costanza, affinché, fatta la volontà di Dio, otteniate quello che vi è stato promesso. Perché: «Ancora un brevissimo tempo e colui che deve venire verrà e non tarderà»” (Eb 10:36,37). Non possiamo esserne certi, ma forse l’autore vedeva un parallelo tra quei 40 anni e il suo tempo. Anche il giudaismo contemporaneo a Eb pensava a un periodo di 40 anni; scriveva rabbi Elizer nel primo secolo: “I giorni del messia sono quarant’anni” (bSanh. 99a). Yeshùa morì nell’anno 30 e la distruzione di Gerusalemme avvenne 40 anni dopo, nel 70. Eb fu scritto con tutta probabilità negli anni ’60 del primo secolo. Il “brevissimo tempo”, se è questo che egli aveva in mente, era davvero molto breve. In ogni caso, la sua esortazione si fa veramente molto urgente, addirittura quotidiana, per l’oggi: “Esortatevi a vicenda ogni giorno, finché si può dire: «Oggi», perché nessuno di voi s’indurisca per la seduzione del peccato”. – Eb 3:13.

   Il popolo di Dio può imparare da Mosè e ancor più da Yeshùa che cos’è ubbidienza e la fedeltà, ma può anche sapere come sia facile cadere nell’infedeltà. Non si tratta solo di esempi generici che l’autore trae dalla Bibbia. Egli è specifico. Quando inizia la sua precisa citazione, al v. 7 dice: “Perciò, come dice lo Spirito Santo”, collegando il suo διό (diò), “perciò”, con l’indiscutibile ispirazione divina (“dice lo Spirito Santo”). Servendosi del forte monito biblico, lo specifica come attuale: “Oggi” (v. 7). È del tutto indubbio che per lui ci sono al momento le stesse condizioni. Così egli sorprende e sbigottisce il suo uditorio, che possiamo immaginare a quanto punto con gli occhi puntati e in silenzio, completamente attento quando ode: “Siamo divenuti partecipi di Cristo, a condizione che manteniamo ferma sino alla fine la fiducia che avevamo da principio, mentre ci viene detto: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nel giorno della ribellione»”. – Eb 3:14,15.

   Ora che i credenti sono “partecipi della celeste vocazione” (3:1), non possono tornare indietro o fermarsi: “Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore malvagio e incredulo, che vi allontani dal Dio vivente” (Eb 3:12); la conseguenza sarebbe catastrofica: l’allontanamento dal “Dio vivente”.

   “I vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova, pur avendo visto le mie opere per quarant’anni!” (Eb 3:9). Richiamando queste parole di Dio da Sl 95:9, l’autore le cita evidentemente a memoria, perché non proprio esattamente, ma certamente le cita dalla versione greca della LXX (che qui troviamo in 94:9), che era la Bibbia in uso nella prima chiesa, inserendo però qualcosa che manca nel testo originale. Ecco il raffronto:

 

Eb 3:9,10,

Nestle-Aland

οὗ ἐπείρασαν οἱ πατέρες ὑμῶν ἐν δοκιμασίᾳ καὶ εἶδον τὰ ἔργα μου

ù epèirasan oi patères ymòn en dokimasìa kài èidon tà èrga mu

dove [mi] tentarono i padri di voi in prova e videro le opere di me

τεσσεράκοντα ἔτη διὸ προσώχθισα τῇ γενεᾷ ταύτῃ

tesseràkonta ète diò prosòchthisa tè gheneà tàute

per quarant’anni perciò detestai la generazione questa

Sl 95:9,10

LXX (94:9)

οὗ ἐπείρασαν οἱ πατέρες ὑμῶν, ἐδοκίμασαν καὶ εἴδοσαν τὰ ἔργα μου

ù epèirasan oi patères ymòn edokìmasan kài èidosan tà èrga mu

dove [mi] tentarono i padri di voi verificarono e provarono le opere di me

τεσσαράκοντα ἔτη προσώχθισα τῇ γενεᾷ ἐκείνῃ

tesseràkonta ète prosòchthisa tè gheneà ekèine

per quarant’anni detestai la generazione essa

Sl 95:9,10

originale ebraico

אֲשֶׁר נִסּוּנִי אֲבֹותֵיכֶם בְּחָנוּנִי גַּמ־רָאוּ פָעֳלִי׃

ashèr nisùniy avotechèm bekhanùniy gam-rau faallìy

che tentarono me padri di voi provarono me nonostante-videro azioni di me

אַרְבָּעִים שָׁנָה ׀ אָקוּט בְּדֹור

arbàìym shanà aqùt bedòr

quaranta anno mi disgustavo per generazione

 

   Inserendo un nuovo διό (diò), “perciò”, l’omileta cambia il senso della LXX. Questa traduzione, dicendo che gli ebrei nel deserto “provarono le opere” di Dio e che “per quarant’anni” Dio li detestò, fa intendere che le “opere” di Dio erano quelle punitive, perché il disgusto divino è messo in relazione alle opere. L’autore di Eb vede invece il disgusto di Dio come conseguenza del non aver accolto le sue opere prodigiose: “Videro le opere di me per quarant’anni perciò detestai la generazione questa”.

   Con questa nuova interpretazione del passo salmico, ovvero con questo nuovo punto di vista, l’uditorio rimane più impressionato: se da una parte vede l’atteggiamento incomprensibile degli antichi ebrei che si mostrarono ingrati, dall’altra comprende meglio la reazione di Dio. Il messaggio è quindi che quell’antico fallimento non si deve ripetere.

   Si noti anche che nel passaggio di Eb 3:7-11 sono completamente trascurate le località di Massa e Meriba, pur menzionate nel salmo citato:

 

Sl 95:8-10

“Oggi, se udite la sua voce,

non indurite il vostro cuore come a Meriba,

come nel giorno di Massa nel deserto,

quando i vostri padri mi tentarono,

mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere.

Quarant’anni ebbi in disgusto quella generazione”.

Eb 3:7-10

“Oggi, se udite la sua voce,

non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione,

come nel giorno della tentazione nel deserto,

dove i vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova,

pur avendo visto le mie opere per quarant’anni!

Perciò mi disgustai di quella generazione”

 

La LXX, da cui Eb cita, aveva fatto lo stesso:

 

Eb 3:8

μὴ σκληρύνητε τὰς καρδίας ὑμῶν ὡς ἐν τῷ παραπικρασμῷ κατὰ τὴν ἡμέραν τοῦ πειρασμοῦ ἐν τῇ ἐρήμῳ

mè sklerýnete tàs kardìas ymòn os en tò parapikrasmò katà tèn emèran tù peirasmù en tè erèmo

non indurite i cuori di voi come in la provocazione ne il giorno della tentazione in il deserto

Sl 94:8,

LXX

μὴ σκληρύνητε τὰς καρδίας ὑμῶν ὡς ἐν τῷ παραπικρασμῷ κατὰ τὴν ἡμέραν τοῦ πειρασμοῦ ἐν τῇ ἐρήμῳ

mè sklerýnete tàs kardìas ymòn os en tò parapikrasmò katà tèn emèran tù peirasmù en tè erèmo

non indurite i cuori di voi come in la provocazione ne il giorno della tentazione in il deserto

Sl 95:8

אַל־תַּקְשׁוּ לְבַבְכֶם כִּמְרִיבָה כְּיֹום מַסָּה

al-taqshù levavchèm kimeriyvàh kyòm masàh

non-inmdurite cuore di voi come [a] Meriba come [nel] giorno [di] Massa

 

   “Meriba” (Sl 95:8; cfr. Dt 32:51) viene sostituito nella LXX (e in Eb!) da “provocazione” e “nel giorno di Massa” (Sl 95:8; cfr. Dt 6:16;9:22;33:8) diventa “nel giorno della tentazione”.

   A prescindere dalla località geografica, certo conosciuta all’uditorio di Eb ma del tutto ininfluente, l’attenzione è posta sul comportamento come attitudine generale, caratterizzato dalla mancanza di fede. Quell’egoistica ingratitudine senza fede deve essere assolutamente evitata e le brutte esperienze passate non devono essere ripercorse in alcun modo. “Chi furono quelli di cui Dio si disgustò per quarant’anni? Non furono quelli che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto?”. – Eb 3:17.

   La meta è vicina, dice Eb. La chiesa è in cammino come Israele nel deserto. Il pericolo rimane quello di allora: l’apostasia per mancanza di fede. “Chi furono quelli che dopo averlo udito si ribellarono? Non furono forse tutti quelli che erano usciti dall’Egitto, sotto la guida di Mosè?” (Eb 3:16). Questa domanda interpella direttamente la comunità cui Eb era indirizzata: la risposta è scontata ed è data dall’autore stesso che fa così immedesimare i suoi ascoltatori. In Eb 3:16-19 il brillante ed efficace oratore pone tre domande. Alle prime due dà la risposta, scontata, tramite un’altra domanda la cui ovvia risposta è ‘certo che sì’. Alla terza e ultima domanda non risponde lui e, dopo le due precedenti, l’uditorio si dà una risposta interiore che li convince ancora di più.

1)       Eb 3:16. Domanda: “Chi furono quelli che dopo averlo udito si ribellarono?” Risposta: “Non furono forse tutti quelli che erano usciti dall’Egitto, sotto la guida di Mosè?”.

2)       Eb 3:17. Domanda: “Chi furono quelli di cui Dio si disgustò per quarant’anni?” Risposta: “Non furono quelli che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto?”

3)       Eb 3:18. Domanda: “A chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che furono disubbidienti?”.

   Poi la conclusione: “Infatti vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro incredulità” (Eb 3:19). Tirando le somme ed esortando a rimanere fedeli, l’abile oratore introduce ora un nuovo intrigante argomento. Ogni ascoltatore dell’uditorio, sempre più attento e coinvolto, è ormai immedesimato nella situazione. Sa perfettamente chi sono quelli a cui Dio “giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo”, prova per loro indignazione, sa cosa comportava quel riposo, si sente impaurito da sano santo timore di fronte al giuramento di Dio che potrebbe escludere lui pure. È responsabilizzato e sente di doversi mantenere fedele.