Nel campo artistico ogni cultura e ogni epoca ha i suoi propri stili. Un competente, guardando un quadro, può identificarne l’epoca e perfino l’autore. Lo stile dipende da tanti fattori: i gusti dell’epoca, il materiale costruttivo, i mezzi a disposizione. Il cemento armato ha portato una vera rivoluzione nell’edilizia e ha permesso la costruzione di grattacieli e di ponti che in passato non si potevano nemmeno supporre. Nuove esigenze creano espressioni artistiche corrispondenti. A Milano, nella seconda metà del 20° secolo si tese a salire per esigenza di spazio; in Svezia, ad eccezione delle grandi città, si amano case basse ma larghe con spaziosi giardini. Il tempio ha le sue esigenze: è un luogo di riunione diverso dall’appartamento, dove si abita. Oggi v’è la tendenza a rendere tutto più razionale, ad utilizzare lo spazio per rendere l’ambiente sempre più accogliente.
I sumeri avevano l’oro, ma non il ferro. Il ferro, perciò, essendo più prezioso, veniva incorniciato entro l’oro. Anche la letteratura ha i suoi stili, le sue espressioni, proprie dell’epoca o delle nazioni. Gli stili, per ciò che concerne la letteratura, si chiamano “generi letterari”. Lo scrittore, pur con la sua personalità, non può fare a meno di utilizzare il genere letterario proprio dell’epoca. È in un certo senso la spiegazione che a suo modo dava Plutarco al fatto che gli oracoli di Pizia, prima emessi in poesia, al suo tempo erano presentati in prosa: “Gli uomini in passato avevano un temperamento felice, dotato di una naturale tendenza alla poesia; il loro animo si accendeva facilmente, preso da slanci e ispirazioni . . . E non soltanto gli astronomi e i filosofi erano spinti a usare quel linguaggio abituale, ma sotto la subita influenza d’una viva emozione, d’un sentimento di dolore o di gioia, ciascuno si lasciava andare all’improvvisazione poetica, e le poesie e le canzoni amorose riempivano i festini e formavano la materia dei libri” (cfr. Salmi; il Cantico di Anna, di Simeone, il Benedictus, il Magnificat; povere e semplici donne arabe sotto l’impulso della gioia improvvisano anche oggi i loro cantici). “Anche l’entusiasmo profetico, come l’amoroso, si contentava di utilizzare le facoltà naturali, movendo ciascuna Pizia secondo la sua natura, e pertanto Apollo non rifiutava alla divinazione gli ornamenti e la grazia, e lungi dall’allontanare dal suo tripode una musa che si era onorata, piuttosto la favoriva, suscitando ed eccitando le disposizioni naturali della profetessa, e nutrendone e incoraggiandone l’immaginazione. Ma sopravvennero, col mutar dei tempi e degli uomini, cambiamenti e modifiche nella maniera di vivere . . . e si cercò la semplicità del vestire . . . Allora anche il linguaggio subì trasformazioni e spogliamenti. La storia discese dalla poesia come da una carrozza, e andando a piedi, separò la grazia [poetica] dalla prosa, la verità dalla leggenda. E allora anche il dio volle che la Pizia cessasse l’uso del verso, delle parole magniloquenti, delle metafore e delle perifrasi oscure e parlasse un linguaggio analogo a quello che le leggi usano con i cittadini, i maestri con i loro discepoli: in una parola non ebbe in vista che d’essere compreso e creduto”. – R. Flacelière, Deutarque, Sur les oracles de la Pythie, Texte et traduction et des notes, Paris, 1936.
I generi letterari sono oggi impiegati in ogni studio della letteratura, anche se si ammette, con Benedetto Croce, che il genio sa dominarli procedendo in modo del tutto originale (cfr. B. Croce, Estetica, capp. 9-15). Per fare un esempio contemporaneo, si può citare il caso di James Joyce. Questo scrittore irlandese, ormai ritenuto il più grande del 20° secolo, con il suo romanzo Ulisse ha completamente trasformato e rinnovato la prosa narrativa mondiale. Il suo ultimo romanzo (Finnegans Wake H.C.E.), composto all’incirca tra il 1920 e 1930, trova tuttora enormi difficoltà di traduzione (l’inglese è frammisto ad altre lingue – una ventina, scoperte finora). Da decenni e decenni gli studiosi sono ancora all’opera, tuttora, per interpretarlo. Quando sarà “decifrato”, di certo aprirà nuove frontiere e sconvolgerà di nuovo la prosa narrativa.
Circa gli stili narrativi, se ne può vedere la differenza osservando la descrizione ben diversa che della stessa malattia ci dà un trattato di medicina o un racconto popolare o un romanzo. L’astronomia ha il suo stile, i suoi vocaboli, le sue espressioni, che riescono difficili e talvolta incomprensibili ad un profano. La “disfunzione catarrale sintomatica dell’infiammazione di una membrana mucosa, specialmente rinolaringea, che causa un aumento del muco” è, per la gente comune, un “raffreddore”. La scelta di una forma impegna l’autore a esprimersi in accordo con il genere letterario che si è scelto, naturalmente secondo la propria capacità e abilità.
Il genere letterario è quindi la chiave per l’esatta comprensione di un libro. Colui che ebbe il merito indiscusso di richiamare l’importanza dei generi letterari anche per lo studio biblico fu, verso il 1900, E. Gunkel (cfr. Gunkel, Die Sagen der Genesi, 1901; Israel und Babylonien, 1903; Die Israelitische Literatur, 1906; Die Psalmen, 1925; Einleitung in die Pasalmen I, 1927). Dopo molte opposizioni dei cattolici che pretendevano di mantenere il carattere unico della Bibbia, i generi letterari finirono per avere diritto di cittadinanza anche nel cattolicesimo ad opera specialmente di P. Lagrange, F. von Hummelauer e altri. Essi furono codificati con l’enciclica Divino afflante Spiritu del 1943, che così dice: “Ciò che quelli autori [gli autori sacri] abbiano voluto dire con le parole, non basta determinarlo con le sole leggi della grammatica o della filologia, né con il solo contesto. È assolutamente necessario che l’interprete ritorni mentalmente a quei remoti secoli dell’Oriente, affinché aiutato convenientemente dalle risorse della storia, dell’archeologia e dell’etnologia e delle altre discipline, capisca e pienamente comprenda quali generi letterari, come suol dirsi, abbiano voluto adoperare e abbiano in realtà adoperato gli scrittori di quella remota età . . . Essi si servivano di quei procedimenti che erano in uso presso gli uomini del loro paese. Quali però fossero, l’esegeta non può stabilirlo a priori, ma solo mediante un’accurata indagine dell’antica letteratura orientale. Siffatta indagine, condotta in questi ultimi decenni con maggiore cura e diligenza che per l’innanzi, ha più chiaramente rivelato quali forme di dire sia nel descrivere poeticamente le cose, sia nello stabilire norme di vita e leggi, sia infine nel narrare fatti od eventi storici” (EB 558). Questa stessa idea ricorre nella Costituzione Dei Verbum (Concilio Vaticano II): “Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, l’interprete della Sacra Scrittura, per capire bene ciò che egli voleva comunicarci, deve riconoscere con attenzione che cosa gli agiografi abbiano voluto significare, o a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole . . . Nella S. Scrittura si manifesta così l’ammirabile condiscendenza della eterna sapienza; le parole di Dio infatti sono espresse con lingua umana e diventano simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’Eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile all’uomo”. – N. 12.13.
È evidente che l’ispirazione lascia che l’autore sotto il suo impulso agisca e scelga i generi letterari in uso al suo tempo. Occorre di conseguenza evidenziare quei generi come esistevano presso gli orientali nel millennio prima di Yeshùa e nel primo secolo dell’era apostolica, per vederne l’applicazione anche negli scritti biblici.