Le dichiarazioni negative di Paolo sulla Legge non si riferiscono mai alla Legge in se stessa, ma piuttosto al modo di affrontarla. Il problema non è insito nella Legge, ma nel nostro approccio alla Legge. Quando Paolo ripete e ribadisce che “l’uomo non è giustificato per le opere della legge” (Gal 2:16;3:2,5,10 cfr. Rm 3:20), non attacca la Legge, ma il legalismo ovvero l’illusione di potersi salvare tramite i propri sforzi. Se Paolo si esprime con un linguaggio categorico e aggressivo, è perché si muove in un contesto di aspre polemiche. Egli utilizza lo stile letterario della diatriba, cioè una serie di domande e risposte contrapposte per indagare le argomentazioni dei suoi avversari e chiarire le sue posizioni: “Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo!” (Rm 6:1,2); “Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge”. – Rm 3:31.
Quando Paolo insiste sul concetto che ciò che salva non è lo sforzo umano, ma la grazia divina, nello stesso tempo non trascura gli aspetti punitivi della Legge, perché non ci si può beffare dei comandi di Dio espressi nella sua Legge con la scusa che siamo sotto la grazia.
È del tutto evidente che la Legge non è stata promulgata per condannare a tutti i costi, ma se la teniamo come unico riferimento, avremo sempre la sensazione di essere sotto accusa perché da soli mai riusciremo a osservarla. Diventare giudici inflessibili di noi stessi o degli altri, ricorrendo alla Legge come a un codice penale punitivo, ci porta solo a condannare. Paolo invita i credenti a fare esattamente l’opposto, esercitando “il ministero della riconciliazione”:
“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui”. – 2Cor 5:17-21.
La riconciliazione con noi stessi ci porterà a vederci come esseri unici e irripetibili, con il nostro posto nel mondo. Dio non ci ha donato solamente la vita: ci chiama all’eternità. “Dio, che fa rivivere i morti” (Rm 4:17) ci ama come siamo e può trasformarci. Comprendendolo, potremo iniziare un cammino di trasformazione. Accettando noi stessi, accetteremo anche gli altri.
Paolo dice che “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge” (Gal 3:13), e gli insensati leggono come se Paolo maledisse la Legge, proprio lui che la definisce “santa” (Rm 7:12)! Davvero, nelle sue lettere “ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (2Pt 3:16). Quando Paolo parla di maledizione della Legge, si riferisce alla maledizione di chi, commettendo peccato, la trasgredisce; infatti, continua dicendo: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: ‘Maledetto chiunque è appeso al legno’”. – Gal 3:13.
Yeshùa ci ha liberati dalla maledizione della Legge (Gal 3:13) che gravava su di noi a causa del nostro peccato, non dalla Legge e dai suoi precetti. Come l’osservanza della Legge ci reca infinite benedizioni, la sua trasgressione ci espone a rischi innumerevoli:
“Ora, se tu ubbidisci diligentemente alla voce del Signore tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti . . . tutte queste benedizioni verranno su di te e si compiranno per te, se darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio . . . Il Signore ordinerà, e la benedizione verrà su di te . . . Il Signore, il tuo Dio, ti colmerà di beni . . . Sarai sempre in alto, e mai in basso, se ubbidirai ai comandamenti del Signore tuo Dio, che oggi ti do perché tu li osservi e li metta in pratica, e se non devierai né a destra né a sinistra da alcuna delle cose che oggi vi comando . . . Ma se non ubbidisci alla voce del Signore tuo Dio, se non hai cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti e tutte le sue leggi che oggi ti do, avverrà che tutte queste maledizioni verranno su di te e si compiranno per te: sarai maledetto . . . e andrai brancolando in pieno giorno, come il cieco brancola nel buio; non prospererai nelle tue vie, sarai continuamente oppresso e spogliato e nessuno ti soccorrerà”. – Dt 28:1,2,8,11,13,14-16,29; cfr. 30:1-20.
La Legge si riassume nell’amore, per cui la maledizione della Legge cade su chi è incapace di amare pienamente Dio. Gli esseri umani sono egoisti al punto di non essere capaci di rispondere all’amore di Dio. Perfino i cosiddetti cristiani non si rendono conto che hanno bisogno di vivere rispettando la santa Legge di Dio. Chi “non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo”. – 1Gv 2:4,5.
La teologia paolina non può essere davvero compresa senza la soluzione che Paolo indica. Il centro della teologia di Paolo non è la Legge ma Yeshùa. Yeshùa occupa il posto principale ed è il centro del progetto di Dio. Il rispetto della Legge è per Paolo il risultato della sua profonda relazione con Yeshùa. Questa relazione era così intima che Paolo arrivò dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Gal 2:20). E aggiunse: “Io non annullo la grazia di Dio; perché se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque morto inutilmente” (v. 21). Paolo è consapevole che mai da soli si potrebbe ottenere la condizione di giusti tramite la Legge, data la nostra incapacità di osservare la Legge. Ma la grazia di Dio attraverso Yeshùa colma la nostra incapacità. Nel “nuovo patto” la Legge non solo è scritta nella nostra mente, ma abbiamo l’aiuto dello spirito divino per poterla osservare. Se Yeshùa, lui osservante perfetto della Legge, vive in noi, possiamo ubbidire con riconoscenza e fedeltà.