La prima volta che il quarto Comandamento è riferito, suona così (indichiamo le varianti e le aggiunte tra le due enunciazioni):
“Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato”. – Es 20:8-11.
In Dt è ripetuto così:
“Osserva il giorno del riposo per santificarlo, come il Signore, il tuo Dio, ti ha comandato. Lavora sei giorni, e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città, affinché il tuo servo e la tua serva si riposino come te. Ricòrdati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo”. – Dt 5:12-15.
Nella seconda formulazione ci sono due varianti e tre aggiunte che è bene tener presente.
La prima variante è data dalla parola iniziale: זָכֹור (sachòr) in Es; שָׁמֹור (shamòr) in Dt.
- “Ricorda” – זָכֹור (sachòr) – Es 20:8.
Si tratta della forma qal (attiva), infinito assoluto. Sbaglia la nota in calce di TNM che erroneamente afferma: “Questo verbo non è all’imperativo, ma all’infinito assoluto, indefinito in quanto al tempo”. L’autorevole Guida allo studio dell’ebraico biblico (Società Biblica Britannica & Forestiera) a pag. 60 spiega che “l’infinito assoluto . . . talvolta viene usato per esprimere un comando” e cita come esempio proprio lo זָכֹור (sachòr) in questione. “Used also as imperative” (“utilizzato anche come imperativo”) afferma l’Analytical Hebrew and Chaldee Lexicon di B. Davidson alla voce זָכֹור (sachòr). – Samuel Bagster & Sons Ltd., London, pag. 238.
- “Osserva” – שָׁמֹור (shamòr) – Dt 5:12.
Anche qui si tratta della forma qal (attiva), infinito assoluto. Valgono le stesse considerazioni grammaticali appena fatte. In Dt 16:1, pur mettendo una nota in calce che spiega che è “un verbo all’infinito assoluto”, TNM traduce qui il verbo שָׁמֹור (shamòr) – lo stesso identico di 5:12 – con “vi sia l’osservanza”, che è poi uno strano giro di parole per dire: “Osserva”. La seconda persona singolare (tu) è molto significativa nei Comandamenti, aspetto che sfugge a TNM. Infatti, il “tu” è riferito non solo al singolo, ma alla nazione ebraica. In Es 19:2 è detto: “E partivano da Refidim e giungevano nel deserto del Sinai e si accampavano nel deserto; e là Israele si accampava davanti al monte” (TNM). Si noti: “Si accampavano”, al plurale, perché nel deserto sembravano delle singole sparse; “si accampava”, al singolare, perché “davanti al monte” c’era come il centro di riunione per tutti e a esso si volgevano insieme come popolo.
La prima aggiunta nella versione deuteronomica è: “Come il Signore, il tuo Dio, ti ha comandato”. Nel momento in cui il primo di questi due testi (quello di Es) fu udito – mentre “tutto il popolo udiva i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante” e “a tal vista, tremava e stava lontano” (Es 20:18) – il sabato non era per gli ebrei una cosa del tutto nuova. Quando fu data miracolosamente la manna, “il sesto giorno raccolsero il doppio di quel pane” (Es 16:22) e Mosè spiegò: “Questo è quello che ha detto il Signore: ‘Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro al Signore; fate cuocere oggi quello che avete da cuocere, e fate bollire quello che avete da bollire; tutto quel che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani” (v. 23). Quando Mosè poi dice che “il Signore non stabilì questo patto con i nostri padri, ma con noi” (Dt 5:3), non sta dicendo che i padri o gli antichi patriarchi non conoscessero i Comandamenti, ma che ora Dio stava facendo un patto proprio con loro presenti al Sinày. Di Abraamo, il capostipite del popolo ebraico con cui Dio aveva fatto un patto particolare (Es 2:23; cfr. Gn 17:4-6), Dio dice chiaramente: “Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi” (Gn 26:5). È inutile che TNM traduca qui “comandi” invece di “comandamenti”; al massimo svia solo i lettori ignari. La parola ebraica del testo è מִצְוֹת (mitzvòt), la stessa identica tradotta proprio “comandamenti” da TNM in Es 20:6 e contenuta proprio nel Decalogo: “Amorevole benignità verso la millesima generazione nel caso di quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti [מִצְוֹת (mitzvòt)]” (TNM). Inoltre, Es 31:16,17 spiega che quello del sabato divenne “un segno perenne” tra Dio “e i figli d’Israele”. Di là del fatto che Abraamo aveva conosciuto e praticato i Comandamenti di Dio (Gn 26:5), di là del fatto che quei Comandamenti (quello del sabato compreso) entrarono a far parte della Toràh, il sabato rivestì una caratteristica particolare per Israele: divenne “segno” per volontà di Dio.
La seconda variante è in Dt 5:15 in cui Dio dice al popolo ebraico: “Ricòrdati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo”. Ciò mostra come il sabato commemori sia la salvezza che la creazione: nella motivazione addotta per l’osservanza del sabato in Es ci si rifà alla creazione, in Dt alla schiavitù egiziana. Dio ricorda a Israele quindi l’esperienza di schiavitù: era un popolo di schiavi e fu liberato da Dio; questa dura esperienza Israele non deve dimenticarla: ora che è un popolo libero, sa la differenza e quindi non può e non deve sopportare l’antica distinzione tra chi lavora e chi riposa. Anche per questo deve apprezzare il sabato e garantirne il godimento a tutti, schiavi e animali compresi (Dt 5:14). Gli ebrei dovevano rammentare che loro stessi erano stati schiavi e quindi non dovevano seguire l’esempio dei loro aguzzini egiziani, rammentando nel contempo che rimangono sottomessi al creatore. In Egitto, ovviamente, non avevano potuto osservare il sabato, e questo era andato in disuso. Quando alcuni israeliti erano usciti a raccogliere la manna di sabato, nonostante l’esplicito comando di Dio (anteriore – si noti – al Sinày), il fatto indica che l’osservanza del sabato era stata da poco ripristinata (Es 16:11-30). Anche i dubbi su come risolvere un caso di violazione del sabato dopo la promulgazione della Legge al Sinày indica che il sabato era stato ripristinato di recente. – Nm 15:32-36.
La seconda aggiunta nella versione deuteronomica è: “Né il tuo bue, né il tuo asino”. Come appena detto, il riposo sabatico doveva essere garantito a tutti, animali compresi. Quest’aggiunta è quindi solo una specificazione che rimarca ancor di più che davvero tutti dovevano godere del sabato (buoi e asini erano animali domestici molto comuni). L’indicazione “il tuo bestiame”, presente nelle due versioni, conferma che anche tutti gli altri animali partecipano al risposo.
La terza aggiunta nella versione deuteronomica è: “Affinché il tuo servo e la tua serva si riposino come te”. La parola chiave è qui כָּמֹוךָ (kamòcha), “come te”. Tutti, genitori e figli, padroni e schiavi, ebrei e stranieri, tutti sono equiparati. I figli non appartengono ai genitori: “I figli sono un dono che viene dal Signore” (Sl 127:3). E tutti siamo “schiavi di Dio” (Rm 6:22; 1Pt 2:14, TNM). Così, tutti acquistano durante il sabato la dignità umana ricordando che Dio è il creatore e il padrone del mondo intero.
L’osservanza del sabato non è dunque una novità del Decalogo: risale addirittura alla creazione. Ciò che nel Decalogo è nuovo non è il concetto di un giorno speciale che non è uguale agli altri né il concetto di un giorno tutto particolare consacrato a Dio. Il quarto Comandamento non ha lo scopo di introdurre un nuovo costume che il popolo deve seguire. Viene invece sublimato un costume esistente che è reso strumento di elevazione e di massima spiritualità, simbolo e realizzazione insieme di grandi ideali.
Questa è una caratteristica della Toràh, l’Insegnamento di Dio: essa non costruisce mai sul vuoto; Dio, pur volendo portare l’essere umano alla santità, non dimentica mai che è carne e sangue. È dall’umanità della persona che Dio parte. Pur volendo elevare la persona alla santità e all’eternità, Dio non le fa perdere la sua umanità. Cerca piuttosto di far sì che l’atto umano abbia in sé qualcosa che trasporti chi lo compie verso le vette dell’assoluto, del divino, dell’eterno. Nella Bibbia Dio non è trattato antropologicamente ma è l’essere umano che è considerato teologicamente; non somiglianza di Dio all’uomo ma somiglianza dell’essere umano a Dio.
Tornando al sabato, si rileva nella Scrittura che le motivazioni e gli scopi per cui Dio l’ha donato sono molteplici.
- Lo shabàt ricorda la creazione e va celebrato – se così è lecito dire – a imitazione di quel che Dio ha fatto dopo aver compiuto la sua creazione. – Gn 2:2.
- Il settimo giorno è un giorno che Dio ha decretato santo. – Gn 2:3.
- Il sabato non è un giorno qualunque: è di Dio, è suo. – Es 31:12; Lv 19:3,30; Is 56:4; Ez 20:12,16,21;22:26;23:38.
- Il sabato ha lo scopo di concedere un giorno di riposo a tutti. – Dt 5:14.
- Il settimo giorno ci ricorda che siamo stati liberati da tutte le schiavitù egiziane passate e moderne. – Dt 5:25; Col 1:13.
- Il sabato è “segno” del patto tra Dio e il suo popolo, perché “Giudeo è colui che lo è interiormente”. – Es 31:16,17; Rm 2:29.
- Lo shabàt è luogo spirituale, santo, tutto particolare, fatto del tempo eterno di Dio in cui egli ci concede di entrare. – Eb 4:9.
- Il settimo giorno è pegno del mondo futuro in cui tutti osserveranno il giorno santo di Dio. – Is 66:23.
Dio volle consacrare il sabato per tutta l’eternità e lo fece nel modo più grandioso:
“Il settimo giorno,
terminata la sua opera,
Dio si riposò.
il settimo giorno
aveva finito il suo lavoro.
Dio benedisse il settimo giorno
e disse: ‘È mio!’”. – Gn 2:2,3, PdS.
A un pagano che scioccamente obiettava che se davvero Dio si fosse riposato nel settimo giorno non avrebbe dovuto far soffiare i venti, scendere la pioggia e far crescere le piante, il rabbino del primo secolo Akibà Ben Yosèf rispose: “Come è concesso a chi sta in casa sua spostare oggetti da un punto all’altro, così il Signore cui appartiene tutto il mondo sposta gli elementi senza con ciò dare un esempio di profanazione della santità del sabato”. In questa risposta (che appare scherzosa e più con l’intento di prendersi gioco dell’interlocutore che di quello di persuaderlo) c’è un pensiero molto profondo. Il sabato ricorda agli esseri umani che è Dio l’unico che dispone senza limiti del mondo e delle forze che in esso agiscono. Per l’essere umano il mondo è ciò che nel mondo si trova e tutto viene dato da Dio in godimento gratuito, ma il dominio assoluto è di Dio. Così, chi gode di una casa non sua dimentica facilmente di non esserne il proprietario. Il sabato ci rammenta ogni settimana che il sovrano è Dio, il creatore. In fondo, tutte le proibizioni del sabato si riassumono nel principio che di sabato è vietato all’essere umano d’esercitare autorità sulla natura. Astenendosi dal lavorare in giorno di sabato, si riconosce che la natura e il mondo non appartengono agli uomini: più che mai ricordiamo e celebriamo il fatto che la creazione è di Dio.
La prescrizione di applicare l’osservanza del sabato anche agli animali non va ricondotta a chissà quale diritto degli animali. Piuttosto, l’animale deve essere lasciato risposare perché è strumento di lavoro e perché è appartenente come tutto al creatore.
Nello stesso ambito va vista la proibizione di accendere il fuoco durante il sabato: “Non accenderete il fuoco in nessuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato” (Es 35:3). Anticamente, l’accensione del fuoco era un vero e proprio lavoro. Il divieto di lavoro durante il sabato viene fatto risalire nella Bibbia all’esempio di Dio stesso: “Il settimo giorno, Dio . . . si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta” (Gn 2:2). Per sei giorni Dio aveva operato sulla creazione da lui stesso voluta, ora smetteva di operare non intervenendo più nella trasformazione della natura. L’essere umano doveva fare altrettanto, smettendo di lavorare per celebrare il sabato. Quando Dio entrò nel suo riposo, nulla mancava al creato; così, al venerdì sera ogni cosa deve essere pronta perché nulla manchi di sabato e non si debba incorrere nella sua profanazione lavorando per approntare qualcosa. Il sabato non sarebbe sabato se chi l’osserva non sente che ogni cosa dipende da Dio e che in quel giorno si mette nelle condizioni di vivere come se potesse farlo senza il proprio lavoro. Chi ragiona senza conoscere il valore concreto che la Bibbia attribuisce alle azioni rituali, dirà che di sabato per l’osservante c’è solo l’illusione di vivere senza il proprio lavoro, perché di fatto è come se vivesse di rendita avendo fatto il lavoro in precedenza, magari – ad esempio – cucinando di venerdì pomeriggio. In verità, l’essere umano all’origine viveva senza lavoro: fu solo con il peccato che il lavoro faticoso divenne una dura realtà: “Mangerai il pane con il sudore del tuo volto” (Gn 3:19). Nella concreta simbologia della Bibbia, di sabato si ritorna alla condizione originale in cui ogni cosa è data da Dio.
Chi trascura d’osservare il sabato, rinnega di fatto la sovranità di Dio sulla creazione, sull’universo intero. Ciò spiega la severa punizione sancita nella Toràh per chi sprezzantemente profana il sabato. Il sabato tratta direttamente dell’esistenza di Dio e della sua sovranità.