A proposito della festività biblica di Pasqua, Es 12:14 dice: “Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione, e lo celebrerete come una festa in onore del Signore; lo celebrerete di età in età come una legge perenne”. Come abbiamo visto in un precedente studio che tratta della Pasqua, l’agnello pasquale era preparato il 14 di nissàn e la celebrazione avveniva dopo che era calata l’oscurità della notte all’inizio del 15 di nissàn. Ora si noti come prosegue Es 12 al v. 15: “Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case; perché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo, sarà tolto via da Israele”. Siccome la stessa Pasqua andava mangiata con pane non lievitato o azzimo (Es 12:8), questi sette giorni iniziano dal 15 di nissàn e terminano il 21.
La festa dei Pani Azzimi (menzionata in Es 12:8,15,17-20;13:3-7;23:15;34:18; Dt 16:3,8,16) cade perciò dal 15 al 21 nissàn di ogni anno. Il nome della Festa è dato dai pani non lievitati che per tutta la durata della festa devono essere usati: מַצֹּות (matzòt), “azzime”. Le azzime sono impastate usando solo acqua, senza lievito. “Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà qualcosa di lievitato, sarà eliminato dalla comunità d’Israele, sia egli straniero o nativo del paese”. – Es 12:19.
Il passo di Es 12:15 richiede attenzione: “Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case”. Ora, all’inizio del v. 16 è detto: “Il primo giorno avrete una riunione sacra”. Sembrerebbe strano che nel “primo giorno” le famiglie ebree potessero essere impegnate sia a ripulire le loro case dalla presenza di ogni traccia di lievito sia a partecipare alla riunione collettiva. Che il lavoro domestico di cercare e di rimuovere qualsiasi frammento di cibo lievitato non dovesse essere fatto il primo giorno ovvero il 15, è dato non solo dal buon senso ma soprattutto da Lv 23:7: “Il primo giorno avrete una santa convocazione; non farete in esso nessun lavoro ordinario”; le pulizie erano quindi escluse. Nella Bibbia, la parola “sabato” (che significa “riposo”) si applica non solo al settimo giorno ma anche a ogni santa festività di Dio; anzi, ciascuna di queste era chiamata “grande sabato” (Gv 19:31). Il passo di Es 12:15 va quindi esaminato meglio. In TNM, che tende sempre al letterale, la frase – così com’è tradotta – conserva l’incongruenza, anzi la peggiora: “Sì, il primo giorno dovete togliere la pasta acida dalle vostre case”. Non ci rimane che rivolgerci direttamente alla Bibbia. L’istruzione divina dice: תַּשְׁבִּיתוּ (tashbìtu), “farete cessare”; il verbo è dalla radice שׁבת (shabàt), la stessa di “sabato”. Traduce bene la versione francese Louis Segond del 1910: “Dès le premier jour, il n’y aura plus de levain dans vos maisons”, “Dal primo giorno, non ci sarà più del lievito nelle vostre case”.
Il giorno precedente, il 14, è detto appunto giorno della preparazione (Mr 15:42; Lc 23:54; Gv 19:14,31.42), giorno adatto sia per approntare l’agnello pasquale sia per ripulire le case da ogni traccia di lievito.
La Pasqua e la festa dei Pani Azzimi, come si comprende facilmente, sono strettamente collegate. Il 15 di nissàn è sia il giorno in cui si consuma la Pasqua sia il primo giorno degli Azzimi. Tutto il periodo, era chiamato dagli ebrei Pasqua, tanto che in Lc 22:1 è detto: “La festa degli Azzimi, detta la Pasqua”.
Significato della Festa. Perché il normale pane dove essere sostituito dalle azzime ovvero da pane non lievitato durante questo periodo? La spiegazione si trova in Dt 16:3 in cui è detto di mangiare “pane azzimo, pane d’afflizione, poiché uscisti in fretta dal paese d’Egitto, affinché per tutta la vita ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d’Egitto”. Il pane non lievitato doveva far ricordare ogni anno agli ebrei che loro erano partiti in fretta dall’Egitto, tanto che non ebbero il tempo di far lievitare il pane: “Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie nei suoi vestiti e se le mise sulle spalle” (Es 12:34). Il pane non lievitato rammentava l’afflizione e la schiavitù da cui erano stati liberati da Dio. Dovevano rendersi conto e riconoscere, non dimenticandolo, che la loro libertà (personale e nazionale) la dovevano a Dio.
Celebrazioni della Festa menzionate nella Bibbia. In 2Cron 8:12,13 la celebrazione di questa Festa è menzionata insieme con le altre come una consuetudine al tempo del regno di Salomone. Più in particolare sono menzionate altre due circostanze rilevanti in cui la Festa fu celebrata in Palestina prima dell’elisio babilonese.
Sotto il re giudeo Ezechia, nell’ottavo secolo a. E. V., nel suo primo anno di regno, la Festa si celebrò dopo che era stata trascurata per anni. Siccome però i lavori di riparazione del Tempio duravano fino al 16 di nissàn (2Cron 29:17), ci si avvalse della possibilità prevista dalla Legge di posticipare la Pasqua (e, di conseguenza, la festa dei Pani Azzimi) di un mese (Nm 9:10,11), così il “popolo si riunì a Gerusalemme per celebrare la festa degli Azzimi, il secondo mese: fu un’assemblea immensa” (2Cron 30:13). “I figli d’Israele che si trovarono a Gerusalemme celebrarono la festa degli Azzimi per sette giorni con grande gioia; e ogni giorno i Leviti e i sacerdoti celebravano il Signore con gli strumenti consacrati ad accompagnare le sue lodi. Ezechia parlò al cuore di tutti i Leviti che mostravano grande intelligenza nel servizio del Signore; e si fecero i pasti della festa durante i sette giorni, offrendo sacrifici di riconoscenza e lodando il Signore, Dio dei loro padri” (2Cron 30:21,22). Quella festa fu talmente gioiosa e partecipata che i sette giorni previsti non bastarono loro: “Tutta l’assemblea deliberò di celebrare la festa per altri sette giorni; e la celebrarono con gioia durante questi sette giorni”. – 2Cron 30:23.
Un’altra occasione notevole è menzionata in 2Cron 35:1-19 e fu nel settimo secolo a. E. V., sotto il re giudeo Giosia, prima dell’invasione babilonese che avrebbe condotto i giudei in elisio, oltre a distruggere Gerusalemme.
Dopo il rientro dei giudei in Palestina, il Tempio di Gerusalemme fu ricostruito per la pressante esortazione dei profeti Aggeo e Zaccaria (Esd 5:1,2), nel sesto secolo a. E. V., e il culto ristabilito. “Celebrarono con gioia la festa degli Azzimi per sette giorni, perché il Signore li aveva rallegrati”. – Esd 6:22.
Tutto questo entusiasmo ritrovato scemò man mano, e perfino i sacerdoti divennero incuranti, tanto che la celebrazione del culto divenne solo di facciata, non sentita, recitata senza convinzione.
“Il Signore dell’universo dice ai sacerdoti: ‘Un figlio onora suo padre e un servo il suo padrone. Se io sono vostro padre, dov’è l’onore che mi è dovuto? E se io sono il vostro padrone, dov’è il rispetto che mi è dovuto? Voi mi disprezzate e poi osate domandare: ‘In che modo ti disprezziamo?’. Offrite sul mio altare cibi indegni di me e dite: ‘In che modo abbiamo offeso la tua dignità?’. Ebbene mi avete offeso quando avete trattato il mio altare con leggerezza. Quando portate un animale cieco, zoppo o malato, per offrirmelo in sacrificio, pensate forse che non ci sia niente di male? Provate a offrirlo al vostro governatore! Credete che egli sarà contento e pronto ad accordarvi i suoi favori? Ve lo domando io, il Signore dell’universo”. – Mal 1:6-8, PdS; cfr. 1:12-14;2:1-3;3:8-10.
Yeshùa manifestò la stessa lamentela verso gli scribi e i farisei che erano scrupolosissimi nell’osservare i dettagli della Legge di Dio ma lo facevano ipocritamente. – Mt 15:1-9;23:23,24; Lc 19:45,46.
L‘osservanza della Festa è tuttora richiesta. I cosiddetti cristiani non sono propensi a ubbidire alla Legge di Dio; distorcendo molti passi biblici, trovano più comodo ritenerla abolita. Nella loro religiosità annacquata, buttano tutto sul simbolico. Così, poveretti, arrivano a dire che questa Festa comandata da Dio va accolta in senso metaforico, perché la vita del cristiano sarebbe tutta una festa. Così fanno anche con il santo giorno di Dio, il sabato: dicendo che per loro ogni giorno è sabato, lo profanano. La vita della persona fedele che Dio approva è sì una festa perenne, ma nell’ubbidienza a Dio, perché è l’ubbidienza che dà la vera gioia.
Che i discepoli di Yeshùa siano tenuti a osservarla appare chiaramente da 1Cor 5:7,8, in cui Paolo dice che questa Festa va osservata con sincerità, liberandoci dal lievito della malizia e della malvagità: “Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità”.
Queste parole furono scritte sotto ispirazione da Paolo più di due decenni dopo la morte di Yeshùa, che secondo la stragrande maggioranza dei cosiddetti cristiani avrebbe segnato la fine della validità della Legge di Dio. Cosa di per sé assurda, perché la parola “Toràh”, tradotta “Legge”, significa “Insegnamento”, e non si può sostenere (a meno di bestemmiare) che l’Insegnamento di Dio sia stato abolito. Oggi come allora i veri fedeli, dopo venti secoli, sono ancora tenuti a osservare questa Festa con sincerità e verità, come tutte le altre sante festività di Dio.
Un momento particolare, poco compreso, della Festa. Circa questa Festa alcuni aspetti sono ben chiari. Le Festa dura sette giorni. Il primo giorno (15 nissàn) e il settimo giorno (21 nissàn) sono giorni considerati “sabati” ovvero da santificare con il riposo e con il culto: “Il primo giorno avrete una riunione sacra, e un’altra il settimo giorno. Non si faccia nessun lavoro in quei giorni; si prepari soltanto quello che è necessario a ciascuno per mangiare, e non altro”. – Es 12:16.
C’è però un aspetto che è trascurato perché non è compreso. Riguarda Lv 23:10,11: “Porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al Signore, perché sia gradito per il vostro bene; l’agiterà il giorno dopo il sabato”. Questo evento consisteva nell’agitazione dei covoni costituiti da fasci di spighe d’orzo, che era il primo raccolto dell’anno ovvero la prima delle primizie della terra.
Quest’aspetto così importante merita una considerazione specifica, che faremo nel prossimo studio, intitolato L’offerta dei covoni.