Come abbiamo già osservato, le sante festività comandate da Dio nella Bibbia sono sette. Abbiamo anche visto che c’è una festività – Purìm (trattata nel precedente studio La festa di Purìm) – di cui la Bibbia parla e che, sebbene non istituita da Dio, fu ed è osservata dagli ebrei. C’è una seconda festa, menzionata nella Bibbia e osservata dalla tradizione ebraica anche oggi, che però non fa parte di quelle ordinate da Dio. Si tratta della Festa della Dedicazione. È anche conosciuta come Festa delle Luci.
Questa festa si chiama in ebraico חנכה (khanukàh) che significa “dedica”. Essa commemora la consacrazione o dedicazione di un nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme. La storia risale al 2° secolo prima di Yeshùa.
Dopo la liberazione dall’esilio babilonese e il rientro in Palestina nel 6° secolo a. E. V., gli ebrei non poterono mai riacquistare libertà assoluta, ma dovettero continuamente riconoscere questo o quel padrone, pagandogli imposte e fornendogli soldati. Comunque, erano relativamente liberi: si poteva dire che esisteva una nazione giudaica.
Fu del tutto naturale che nel 4° secolo a. E. V. gli ebrei, soggetti a continui mutamenti, fossero sommersi dal progressivo avanzare della cultura non ebraica che stava dilagando nel mondo: si trattava della cultura greca portata dalle conquiste di Alessandro il Grande. L’ebraismo si rivestì di una veste ellenica. Quando nel 332 a. E. V. il conquistatore greco Alessandro Magno penetrò nel Medio Oriente con una campagna lampo, fu bene accolto dagli ebrei quando entrò a Gerusalemme. I successori di Alessandro portarono avanti il suo piano di ellenizzazione. Tutto l’impero creato da Alessandro aveva ora la lingua, la cultura e la filosofia greca.
Nel 332 a. E. V. Alessandro Magno aveva occupato l’Egitto. Morto Alessandro (nel 323), L’Egitto diventa nel 301 uno dei quattro regni ellenistici. È sotto la dominazione di Tolomeo, e comprende anche la costa siro-palestinese. Gli ebrei si trovano quindi sotto i Tolomei d’Egitto. Dei quattro regni ellenistici (1Maccabei 1:5,6), oltre al regno d’Egitto sotto Tolomeo I, c’era anche il regno di Siria, sotto Seleuco I Nicatore. Questi due regni erano i più forti tra i quattro regni ellenistici che furono l’eredità di Alessandro. “Quando il regno [di Siria] fu consolidato in mano di Antioco, egli volle conquistare l’Egitto per dominare due regni: entrò nell’Egitto con un esercito imponente, con carri ed elefanti, con la cavalleria e una grande flotta e venne a battaglia con Tolomeo re di Egitto. Tolomeo fu travolto davanti a lui e dovette fuggire e molti caddero colpiti a morte. Espugnarono le fortezze dell’Egitto e Antioco saccheggiò il paese di Egitto”. – 1Maccabei 1:16-19.
Nel 198 a. E. V. Antioco il Grande, re di Siria, dopo essersi impadronito di Sidone (città della Fenicia, odierno Libano), conquistò Gerusalemme. “Antioco dopo aver sconfitto l’Egitto nell’anno centoquarantatré, si diresse contro Israele e mosse contro Gerusalemme con forze ingenti. Entrò con arroganza nel santuario e ne asportò l’altare d’oro e il candelabro dei lumi con tutti i suoi arredi e la tavola dell’offerta e i vasi per le libazioni, le coppe e gli incensieri d’oro, il velo, le corone e i fregi d’oro della facciata del tempio e lo sguarnì tutto; si impadronì dell’argento e dell’oro e d’ogni oggetto pregiato e asportò i tesori nascosti che riuscì a trovare; quindi, raccolta ogni cosa, fece ritorno nella sua regione. Fece anche molte stragi e parlò con grande arroganza” (1Maccabei 1:20-24). Il territorio di Giuda passò così sotto la dominazione dei Seleucidi (cfr. Dn 11:16). Gerusalemme rimase soggetta ai Seleucidi per trenta anni, fino al 168 a. E. V.. Antioco fece massacri enormi tra i giudei: “Piombò sulla città, le inflisse colpi crudeli e mise a morte molta gente in Israele [circa 80.000]. Mise a sacco la città [Gerusalemme], la diede alle fiamme e distrusse le sue abitazioni e le mura intorno. Trassero in schiavitù le donne e i bambini [circa 40.000]” (1Maccabei 1:30-32). Non contento, emise un decreto che obbligava gli ebrei a rinunciare alla Legge di Dio. – 1Maccabei 1:41,42,45-51.
Nel 168 a. E. V. il re di Siria Antioco IV Epifanie (1Maccabei 1:10), fece un tentativo per ellenizzare del tutto gli ebrei (1Maccabei 1:13). Fu per lui un grave errore. Volle dedicare al dio greco Zeus (il dio Giove dei romani) il Tempio di Gerusalemme (2Maccabei 6:2). Nel far questo profanò l’altare con un sacrificio non solo impuro ma di quanto più spregevole poteva esserci. La Bibbia non riporta i fatti, ma questi li apprendiamo dalla letteratura ebraica (dai libri storici di Maccabei, che appartengono agli apocrifi). “Il tempio infatti fu pieno di dissolutezze e gozzoviglie da parte dei pagani, che gavazzavano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne e vi introducevano le cose più sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato, né celebrare le feste tradizionali, né fare aperta professione di giudaismo”. – 2Maccabei 6:4-6.
Tutto ciò provocò l’insurrezione armata dei giudei. Capo militare della rivolta fu un ebreo di nome Giuda, soprannominato Maccabeo (1Maccabei 2:4;3:1). Μακκαβαῖος (Makkabàios) significa in greco “martello”. L’intera famiglia dei rivoltosi furono quindi chiamati Maccabei; ma anche Asmonei, nome derivato forse dalla cittadina di Esmon o forse dal nome di un loro antenato. – Gs 15:27.
Il dominatore greco si era illuso di far scomparire la tipicità giudaica proibendo la pratica della Legge, ma la rivolta armata glielo impedì. Sotto Antioco IV Epifane i giudei furono progressivamente forzati a infrangere la Toràh. Il culmine, inaccettabile, fu quando il Tempio gerosolimitano fu profanato, spogliato dei suoi tesori e utilizzato per il culto pagano. Il 25 kislèv 167/168 a. E. V. fu immolato un maiale (animale impuro) sull’altare sacro e con parte della sua carne si fece un brodo che fu spruzzato per tutto il Tempio in segno disprezzo per il Dio degli ebrei, profanando al massimo il Santuario. Poi il Tempio profanato fu dedicato al dio pagano Zeus Olimpio. Nel 165/166 a. E. V. la ricolta giudaica ebbe pieno successo e il Tempio fu liberato e consacrato di nuovo. La festa di Khanukàh fu istituita proprio da Giuda Maccabeo e dai suoi fratelli per celebrare questo evento.
“Vi fu gioia molto grande in mezzo al popolo, perché era stata cancellata la vergogna dei pagani. Poi Giuda e i suoi fratelli e tutta l’assemblea d’Israele stabilirono che si celebrassero i giorni della dedicazione dell’altare nella loro ricorrenza, ogni anno, per otto giorni, cominciando dal venticinque del mese di Casleu, con gioia e letizia”. – 1Maccabei 4:58.59, CEI.
Giuda ordinò anche che le luci del candelabro fossero riaccese. Le luci furono accese anche nelle abitazioni. Da qui il nome di Festa delle Luci. Il Talmud, che raccoglie per iscritto ciò che è considerata Toràh orale, narra un miracolo di cui nell’apocrifo Maccabei non si fa cenno.
La narrazione del Talmud racconta che dopo la riconquista del Tempio, i maccabei lo spogliarono di tutte le statue pagane e lo sistemarono secondo l’uso ebraico. Secondo il rituale, la menoràh (il candelabro a sette bracci che serviva da fonte luminosa nel Santo, il primo compartimento del Tempio – Es 25:31-38;37:18-23; Lv 24:2; Nm 4:9) doveva rimanere accesa in permanenza con olio d’oliva puro. Nel Tempio però trovarono olio sufficiente solamente per una giornata. Lo accesero comunque mentre si apprestavano a produrne dell’altro. Miracolosamente, quel poco olio durò il tempo necessario a produrre l’olio puro: otto giorni. Per questo motivo gli ebrei accendono ogni giorno della festa una candela in più rispetto al giorno precedente. Per la festa si usa uno speciale candelabro a otto bracci, chiamato khanukiyàh (חנוכייה). Secondo un’altra tradizione, pure presente nel Talmud, il primo giorno s’accendono tutt’e otto le candele e ogni giorno se ne spegne una.
La festività dura quindi 8 giorni e il primo giorno, chiamato Èrev Khanukàh (“sera di khanukàh”), inizia dopo tramonto del 24 del mese di kislèv (nostro novembre-dicembre), con l’oscurità che dà inizio al 15. È l’unica festività ebraica che si svolge a cavallo di due mesi: inizia a kislèv e finisce in tevèt. Kislèv può durare, secondo gli anni, 29 giorni, e in tal caso la festa termina il 3 tevèt; quando kislèv ha 30 giorni, finisce il 2 tevèt.
Assieme a Purìm (la seconda delle feste stabilite per decreto rabbinico), Khanukàh non fa parte della Toràh. La Festa della Dedicazione o Festa delle Luci assomiglia alquanto alla Festa delle Capanne. È un’occasione di grande gioia.
Per la festa i cortili del Tempio erano tutto un bagliore di luce. Tutte le abitazioni ebraiche erano anche illuminate da lampade sistemate vicino all’ingresso che dava sulla strada, così che dall’esterno tutti vedevano la luce.
“Provavano tanto piacere nel rinnovarsi delle loro consuetudini e nell’avere inaspettatamente riacquistato dopo tanto tempo il diritto di tenere la loro celebrazione, che imposero per legge ai loro discendenti di celebrare il ripristino del servizio del tempio per otto giorni. E da quel tempo fino al presente celebriamo questa festa, che chiamiamo festa delle Luci, dandole questo nome, suppongo, per il fatto che avevamo riavuto il diritto di adorare quando meno ce lo aspettavamo”. – Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XII, 324, 325.
Questa festa poteva essere celebrata in tutta Israele, oltre che a Gerusalemme. Gli ebrei si radunavano nelle sinagoghe, che pure erano illuminate da molte luci, come le case.
Nella Bibbia abbiamo un riferimento a questa festa: Yeshùa vi partecipò. “Era inverno. A Gerusalemme, si celebrava la festa della riconsacrazione del Tempio. Gesù passeggiava nel portico di Salomone lungo il cortile del Tempio” (Gv 10:22,23, PdS). Il portico di Salomone – detto אוּלָם (ulàm) – era costituito dal colonnato coperto che si trovava sul lato orientale del cortile esterno del Tempio, il cortile dei gentili, dove molti si radunavano. – Cfr. 1Re 6:3;7:21; 2Re 11:14;23:3; 2Cron 3:4; At 3:11;5:12.