Il profetismo fu parte integrante della storia ebraica, da Mosè fino ai maccabei, benché in quest’ultimo periodo si parlasse del fenomeno profetico come di una realtà del passato che più non accadeva nella storia di Israele. Sebbene i libri di Maccabei non facciano parte del canone biblico, in essi abbiamo pur tuttavia la testimonianza della mancanza di profeti in quel periodo: “Riposero le pietre sul monte del tempio in luogo conveniente finché fosse comparso un profeta a decidere di esse”, “Finché sorgesse un profeta fedele”. – 1Maccabei 4:46;14:41, CEI.
Prima di Mosè il termine naviý (נָּבִיא) è già applicato ad Abraamo da parte dell’angelo che parlò con Abimelec re di Gherar: “Ora, restituisci la moglie a quest’uomo, perché è profeta” (Gn 20:7). Gli studiosi convengono che si tratti di un anacronismo. Il redattore di Gn avrebbe applicato ad Abraamo un nome (naviý) che era proprio del suo tempo ma non del tempo abraamico. Qui, infatti, il nome non ha il suo valore tecnico posteriore, ma quello generico di “uomo di Dio”.
I primordi
Per quanto sappiamo dai documenti a nostra disposizione, Mosè è presentato dai testi biblici come un “profeta”: “Per te il Signore, il tuo Dio, farà sorgere in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta come me” (Dt 18:18), “Non c’è mai più stato in Israele un profeta simile a Mosè” (Dt 34:10), “Mediante un profeta il Signore condusse Israele fuori d’Egitto; Israele fu custodito da un profeta” (Os 12:14). Anzi, si legge che invece dei mezzi illegittimi usati dagli altri popoli (divinazione, spiritismo, lecanomanzia o divinazione per mezzo di un bacino d’acqua) Dio invierà un profeta simile a Mosè il cui criterio di veridicità sarà dato dall’avverarsi della sua profezia: “Io farò sorgere per loro un profeta come te in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò. Avverrà che se qualcuno non darà ascolto alle mie parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome qualcosa che io non gli ho comandato di dire o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta sarà messo a morte. Se tu dici in cuor tuo: ‘Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta?’. Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non succede e non si avvera, quella sarà una parola che il Signore non ha detta; il profeta l’ha detta per presunzione; tu non lo temere”. – Dt 18:18-22.
Il profeta di cui qui si parla non può essere ridotto a una persona unica (il messia), ma va inteso come tutta la serie dei profeti che sarebbe apparsa nel corso dei secoli. Infatti, il contesto riguarda persone pubbliche che si succedettero nel tempo in una serie ininterrotta: re, sacerdote, giudice. Anche il profeta, in tale contesto, deve assumere un valore collettivo. In più, il profeta deve supplire agli indovini pagani (vv. 9-14), il che suppone una continua successione di persone e non può restringersi al solo messia. Come il messia potrebbe supplire, per gli ebrei vissuti prima di lui, agli indovini pagani? Inoltre, le indicazioni ai vv. 20-22 per distinguere i veri profeti dai falsi mostrano che si deve trattare di una serie in cui avrebbero cercato di infiltrarsi profeti falsi assieme a quelli veri.
Tuttavia, tale profezia – nell’interpretazione che ne fanno le Scritture Greche – si riferisce al messia: “Il Cristo che vi è stato predestinato, cioè Gesù, che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti. Mosè, infatti, disse: Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà. E avverrà che chiunque non avrà ascoltato questo profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo” (At 3:20-23). Si deve quindi supporre che la serie dei profeti deve culminare nel suo apice che è in Yeshùa, il profeta per eccellenza.
Mosè non era solo un profeta. Ma lo era, di fatto, perché annunciò i comandamenti di Dio al popolo e fu chiamato da Dio. Mosè fu anche un condottiero, come lo fu poi anche Giosuè: “Nessuno potrà resistere di fronte a te tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te”, “Il Signore disse a Giosuè: ‘Oggi comincerò a renderti grande agli occhi di tutto Israele, affinché riconoscano che come fui con Mosè così sarò con te’”. – Gs 1:5;3:7.
È al tempo di Mosè che appare una prima manifestazione profetica con la discesa collettiva dello spirito profetico sui settanta anziani che si misero a profetare, e a cui si aggiunsero anche Eldad e Medad che erano rimasti nel campo:
“Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole del Signore; radunò settanta fra gli anziani del popolo e li dispose intorno alla tenda. Il Signore scese nella nuvola e parlò a Mosè; prese dello Spirito che era su di lui, e lo mise sui settanta anziani; e appena lo Spirito si fu posato su di loro, profetizzarono, ma poi smisero. Intanto, due uomini, l’uno chiamato Eldad e l’altro Medad, erano rimasti nell’accampamento, e lo Spirito si posò su di loro; erano fra i settanta, ma non erano usciti per andare alla tenda; e profetizzarono nel campo. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè, e disse: ‘Eldad e Medad profetizzano nel campo’. Allora Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè fin dalla sua giovinezza, prese a dire: ‘Mosè, signor mio, non glielo permettere!’. Ma Mosè gli rispose: ‘Sei geloso per me? Oh, fossero pure tutti profeti nel popolo del Signore, e volesse il Signore mettere su di loro il suo Spirito!’. E Mosè si ritirò nell’accampamento, insieme con gli anziani d’Israele”. – Nm 11:24-30.
Molti critici ritengono questi passi una proiezione nel passato di dati posteriori. Ma hanno torto. La futura manifestazione profetica non nacque di colpo, ma ebbe qui i suoi germi. Non dobbiamo mai dimenticare che il profetismo è di origine divina e che quindi Dio lo amministra come vuole. Non possiamo mettere in dubbio che vi sia una speciale provvidenza divina per un popolo che ha saputo conservarsi integro per 4000 anni, nonostante tutte le persecuzioni che ha subito. Dove sono i discendenti degli antichi romani del grande impero mondiale? Non saranno mica i laziali di oggi, vero? E dove sono i discendenti dei grandi egizi? Non certo tra i moderni egiziani. Neppure i greci moderni hanno molto da spartire con gli antichi cultori della filosofia e della tragedia. E certo a nessuno viene in mente che gli iracheni siano figli del grande impero babilonese. Ma gli ebrei, loro, sono lì: in terra d’Israele. Sono sempre loro, ebrei discendenti da ebrei. “È un popolo che dimora solo e non è contato nel numero delle nazioni” (Nm 23:9). Si narra di un sovrano che chiamò il suo consigliere di corte e gli domandò: “Dammi una prova dell’esistenza di Dio, ma in fretta, che non ho tempo”. E l’altro: “Gli ebrei, maestà, gli ebrei”.