“È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere”.

 – Ef 2:8,9.

“A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?”.

“L’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto”.

Gc 2:14,24.


Fede oppure opere? Paolo dice che è la grazia di Dio a salvarci e sembra dire che ciò che ci occorre sia solo la fede senza le opere. Giacomo domanda retoricamente se la fede può salvarci, e dà lui stesso la risposta affermando che non serve a nulla dichiarare la fede se non si hanno le opere. Fede oppure opere?

   Se si esaminano le parole di Paolo meno frettolosamente, si scopre che la sua logica non contraddice affatto l’affermazione di Giacomo. Difatti, Paolo spiega chiaramente che la grazia “è il dono di Dio”. La grazia, essendo un dono divino, non può essere meritata. Se fosse qualcosa di meritato, non sarebbe grazia ma ricompensa. Paolo fa notare che la grazia ‘non viene da noi’: “È il dono di Dio”. Confermando che questo dono non è qualcosa che venendo da noi ci si è guadagnato, rende ancora più chiaro il concetto dicendo che “non è in virtù di opere” e spiega anche perché: “Affinché nessuno se ne vanti”. – V. 9.

   Da ciò ad arrivare ad affermare che le opere non siano necessarie, ce ne corre. Per uscire dal torpore religioso dei ragionamenti di certi cristiani che si riempiono la bocca della parola “grazia” escludendo del tutto le opere, proponiamo un esempio. E lo prendiamo dalla Bibbia. Ci riferiamo a Mt 7:21 in cui Yeshùa dichiarò: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Qui si parla di un insieme di persone che riconoscono Yeshùa come Signore, e ciò di per sé già avvia alla salvezza: “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto . . . sarai salvato” (Rm 10:9). Tuttavia, Yeshùa distingue all’interno dell’insieme di persone che lo riconoscono come Signore: “Non chiunque”, ma solo “chi fa la volontà del Padre”. La fede da sola non basta: “L’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto”. – Gc 2:24.

“Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?”. – Gc 2:20.

   Troppo spesso abbiamo la tendenza a trascurare la grazia che Dio ci dona. Dio, motivato dal suo amore, ha mandato Yeshùa perché fosse il salvatore dell’umanità. La salvezza che è offerta da Dio è assolutamente gratuita e completa. Il Dio perfetto che salva desidera che noi pure siamo resi perfetti.

   Non possiamo aggiungere proprio nulla a questa salvezza, tanto meno qualche nostro merito. Caricarci di mortificazioni imponendoci regole e precetti nostri, equivarrebbe a mancare di fede nel Dio misericordioso che ci dona la grazia. D’altra parte, accettare la grazia senza rispondere con gratitudine, sarebbe irriconoscenza. Le opere fatte con fede sono allora la nostra risposta. Non opere in virtù delle quali guadagnarci la salvezza, ma opere in risposta alla salvezza che ci è donata. Non si tratta di dire: Ubbidisco alla tua Legge per avere la salvezza, ma: Ubbidisco alla tua santa Legge perché mi hai salvato.

   La giusta relazione con Dio inizia non col fare qualche cosa, ma col credere in qualcosa che è già stato fatto per noi da qualcuno. È in questa realtà che consiste la buona notizia (vangelo): Dio ha incaricato Yeshùa di compiere la nostra redenzione. È questa la grazia, il dono gratuito di Dio. Non c’è più condanna per qualsiasi peccatore o peccatrice che si ravvede e crede in Yeshùa, il Signore alla gloria di Dio. Yeshùa stesso sintetizzò ciò in cui consiste la vita vera che ne deriva: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17:3). Il conoscere non va inteso secondo il nostro pensiero occidentale ovvero come l’acquisizione di conoscenza intellettuale, ma secondo il pensiero biblico per cui la conoscenza è data da un’esperienza personale.

   Dio ha fatto la pace con noi peccatori rimuovendo il peccato, e l’ha fatto di sua iniziativa, senza coinvolgerci nella sua azione di grazia. È un dono che ci offre perché noi l’accettiamo. Paolo, infatti, scrive: “Tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo . . . Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5:18,19). Tuttavia, questo meraviglioso dono non ci viene imposto. Dio offre la sua riconciliazione, e questa è la sua parte. La nostra consiste di riconciliarci a nostra volta con lui. Ecco perché Paolo implora: “Vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio”. –  2Cor 5:20.

   Il nostro riconciliarci con Dio non consiste semplicemente nell’accettare il suo dono della grazia. Questo è solo il primo passo. La nostra vera accettazione si dimostra con la gratitudine che si fa azione perseverante nell’ubbidienza: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8:31,32). Cos’è la sua “parola”, la parola di Yeshùa? È esattamente la parola di Dio, quella che Dio fece scendere nell’uomo Yeshùa (Gv 1:1,14), così che Yeshùa poté dire: “La parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato” (Gv 14:24). “Il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre” (Gv 5:19). Non esiste quindi una parola di Yeshùa diversa da quella di Dio. Perseverare nella parola di Yeshùa è la stessa identica cosa che perseverare in ciò che dice Dio stesso. Se ‘la parola di Dio non dimora in noi, non crediamo a colui che Dio ha mandato, Yeshùa’. – Gv 5:38.

   La parola di Dio non muta. Dio dice di sé: “Io, il Signore, non cambio” (Mal 3:6). Dio è il “Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento” (Gc 1:17). Dio mantiene valida la sua parola (Is 55:11). Parola di Dio e Legge di Dio vanno di pari passo. Nel parallelismo così tanto usato nella Scrittura, un termine viene ripetuto per dare enfasi usando un altro termine equivalente. Si noti il parallelismo tra parola di Dio e Legge di Dio:

“Da Sion, infatti, uscirà la legge,

e da Gerusalemme la parola del Signore”.

Is 2:3.

   E non si pensi che questa sia una profezia che riguardava l’antico popolo di Israele. Questa è una profezia che riguarda il futuro e i popoli, che riguarda noi: “Molti popoli vi accorreranno, e diranno: ‘Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri’. Da Sion, infatti, uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore”. – Ibidem.

   Il profeta Geremia rimproverò coloro che ipocritamente sostenevano di adeguarsi alla Legge di Dio: “Voi come potete dire: ‘Noi siamo saggi e la legge del Signore è con noi!’? . . . Ecco, hanno rigettato la parola del Signore; quale saggezza possono avere?” (Ger 8:8). Ieri come oggi, la parola di Dio è nella sua Legge. Dio non cambia. E così sarà anche domani, nel mondo a venire, quando tutte le nazioni si adegueranno alla Legge di Dio:

“Negli ultimi tempi,

il monte della casa del Signore

sarà posto in cima ai monti

e si eleverà al di sopra delle colline

e i popoli affluiranno ad esso.

Verranno molte nazioni e diranno:

‘Venite, saliamo al monte del Signore,

alla casa del Dio di Giacobbe;

egli c’insegnerà le sue vie

e noi cammineremo nei suoi sentieri!’

Poiché da Sion uscirà la legge,

da Gerusalemme la parola del Signore.

Egli sarà giudice fra molti popoli”.

Mic 4:1-3.

   Per conoscere la Legge di Dio, le persone dovranno rivolgersi ai giudei: “Così parla il Signore degli eserciti: In quei giorni avverrà che dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni piglieranno un Giudeo per il lembo della veste e diranno: ‘Noi verremo con voi perché abbiamo udito che Dio è con voi’”. – Zc 8:23.

   Questi eventi futuri dimostrano che la Legge di Dio non solo sussisterà ma che sarà osservata da tutti:  

“’Avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato,

ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me’, dice il Signore”. – Is 66:23.

   La grazia e la fede nella grazia dunque non esclude le opere in ubbidienza alla Legge di Dio, anzi, le richiede. “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?”. – Gc 2:14.

   Non c’è alcuna contraddizione tra le parole dell’apostolo Paolo e quelle di Giacomo. Paolo guarda alla salvezza nella sua radice, nell’azione gratuita di Dio; Giacomo pensa ai suoi frutti. Paolo spiega che la fede è l’opera di Dio che produce una vita nuova; Giacomo spiega che le nostre opere sono la prova di questa nuova vita. Quindi, opera di Dio (Paolo) e, come risposta, nostre opere (Giacomo).

   Si abusa della fede, quando ci si crogiola in essa non operando. Si abusa delle opere, quando si praticano legalisticamente con l’intento di guadagnarci una salvezza che è già donata da Dio gratuitamente. Mentre Paolo combatte quest’ultima tendenza, Giacomo combatte la prima.

   Abbiamo bisogno di far nostri entrambi gli insegnamenti.

  • Se scadiamo nell’autocompiacimento vantandoci di compiere le opere, Paolo ci richiama e ci rammenta che “che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge” (Rm 3:28). E qui bisogna capire bene ciò che Paolo sta dicendo. Le traduzioni non aiutano, perché suggeriscono con quel “senza” l’idea che le opere non siano necessarie. In verità, la parola usata nel testo biblico è χωρίς (chorìs) che significa “separatamente” e “oltre a”. Come in Mt 14:21: “Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, oltre [χωρίς (chorìs)] alle donne e ai bambini”. Qui si parla di “circa cinquemila uomini”, ma ciò non esclude che ci fossero anche donne e bambini, anzi è specificato che il numero è considerato era χωρίς (chorìs), “oltre” a quello di donne e bambini. Si conferma qui il pensiero di Paolo: le opere ci sono, ma da sole non bastano a darci la salvezza.
  • Se scadiamo nella passività gloriandoci della fede, è Giacomo a richiamarci e a ricordarci che “l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto”. – Gc 2:24.

   Con Paolo e con Giacomo, potremmo dire: non opere soltanto e non fede soltanto, ma con opere dettate dalla fede. Esiste una “legge della fede” (Paolo in Rm 3:27) e “la fede senza le opere non ha valore” (Giacomo in Gc 2:20). Accettando tutt’e due gli insegnamenti, possiamo controllare e dirigere bene la nostra vita di credenti. Paolo e Giacomo non si contraddicono: si completano.

   Noi non adoriamo Dio per essere salvati e liberati, ma perché l’amiamo. Noi non possiamo fare davvero nulla per la nostra salvezza. La nostra natura peccaminosa non ci consentiva né di amare Dio né di ubbidirgli. È stato Dio a fare tutto, donandoci la sua grazia attraverso Yeshùa. Il culto che offriamo a Dio e la nostra osservanza della sua santa Legge è semplicemente l’espressione della nostra riconoscenza e della nostra obbedienza. È il modo che abbiamo di ringraziare Dio e di celebrare la sua grandezza e il suo amore per noi.

“In fin dei conti,
una sola cosa è importante:
‘Credi in Dio e

osserva i suoi comandamenti‘.
E questo solo vale per ogni uomo”.

Ec 12:13, PdS.

   Dobbiamo capire bene che è Dio che per primo ci ha donato grazia: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5:8, CEI). Per essere riconoscenti, tocca a noi rendergli grazie per ciò che ha fatto per noi. Il nostro amore è risposta al suo amore: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4:19). Come esprimere il nostro amore per lui? Attraverso il vero amore, quello che la sua stessa parola definisce:

Questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti”. – 1Gv 5:3.

   Il vero amore per Dio si esprime nella nostra ubbidienza alla sua Legge. Amare a parole senza le opere indica una fede morta (Gc 2:17). La vera fede è operante, non è l’adesione a un credo religioso e al suo apparato dottrinale.

   “Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: ‘Io l’ho conosciuto’, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo”. – 1Gv 2:3-5.